Per celebrare la bellissima vittoria nel Wta di Lussemburgo, ripercorriamo la vicenda sportiva della più spettacolare delle nostre tenniste, dotata di un gioco tanto antico quanto bello da vedere, ma frenata da un fisico fragile e da un carattere troppo sensibile. Ora, con la ritrovata condizione atletica, Robertina può essere uno splendido testimonial per il nostro tennis.
Roma, 2 maggio 1999 – Al Foro Italico si gioca il secondo turno delle qualificazioni del torneo femminile. C’è un pubblico variegato, anche se non troppo numeroso, in cui si mescolano veri appassionati a semplici curiosi, che girano fra i campi interessati più alle fattezze delle giocatrici che all’aspetto agonistico. A poco a poco, però, tutti quanti si ritrovano a guardare lo stesso match. “Aho, venite qua, c’è
una che serve e va a rete…”. Sul campo n. 1 va in scena un affascinante contrasto di stili, fra due ragazze giovanissime. Da una parte, una diciottenne slava, splendida atleta, fisico da sprinter, piedi che sembrano volare sul campo, due fondamentali fluidi, potentissimi, ma anche un servizio tremebondo, funestato da un lancio di palla spesso sciagurato. La sua avversaria italiana è una ragazza piccolina, di soli 16 anni, dall’aspetto decisamente mediterraneo: forme generose, piuttosto sfornita di muscoli, non troppo potente, né troppo veloce. Ma dotata di un braccio fatato. Nettamente inferiore nello scambio di forza da fondo campo, la sedicenne mette in mostra un armamentario tecnico di rara bellezza, che illumina il pomeriggio. Un back di rovescio tagliente e sicuro, con cui anestetizza la potenza della rivale, serve & volley impeccabili, palle corte imprevedibili, improvvise accelerazioni di diritto, uso sapiente degli angoli stretti, pallonetti millimetrici. Uno spettacolo. La ragazza slava si guarda intorno, smarrita. Non ha mai affrontato una che gioca così. Piega più che può le sue magnifiche gambe, ma fa una fatica enorme ad imprimere potenza alle bassissime rasoiate di rovescio con cui la sua avversaria la sta torturando. Tra l’entusiasmo del pubblico, la piccolina si aggiudica il primo set con un netto 62, e a suon di colpi vincenti si procura un break di vantaggio nel secondo. Ma la russa non molla. Inizia a trovare il ritmo, cerca di spostare la rivale, di stancarla, di tenerla lontana dalla rete. Il match si fa più duro ed equilibrato. Fa caldo. La piccolina è al servizio, avanti 43, 40-30. Cerca una traiettoria esterna, e la segue a rete. La slava risponde con un rabbioso lungolinea di rovescio. La piccola italiana arriva in equilibrio precario sulla volèe bassa di diritto, ma trova un ottimo impatto, e manda di là una profonda traiettoria incrociata, che atterra nei pressi della riga. Le magnifiche gambe della ragazza slava sprintano, e la portano a un gran passante lungolinea. La piccolina, intelligente, ha chiuso l’angolo alla sua sinistra, ma la palla è molto bassa e violenta. Ne esce una bella volèe incrociata di rovescio, che pare definitiva. Pare. La slava riparte a mille, arriva sul rovescio di gran corsa. L’italiana, di puro istinto, si appiccica a rete, per chiudere l’angolo. E viene scavalcata da un magnifico lob liftato, che atterra ben dentro al campo, fra gli oooohhh! di meraviglia del pubblico. E’ la resa. Il fiato della nostra si fa sempre più corto, l’altra prende fiducia. L’atletismo slavo prevale sulla fantasia mediterranea, e il match si chiude con un netto 26 64 62. Il pubblico sfolla, un po’ deluso, ma soddisfatto per lo
spettacolo. “Certo però che gioca bene questa russa… Come hai detto che si chiama?” “Aspetta… Dementieva, Elena Dementieva. Pare sia una grande promessa.” Peccato per la nostra però… Bellissima da vedere, fa i miracoli, ma se non hai il fisico, oggigiorno…”.
Quel match, che la talentuosa Roberta Vinci, giocò sedicenne, da n. 650 Wta, contro una tennista che sarebbe diventata ben presto una delle protagoniste del tennis mondiale, racchiude un po’ tutta la sua vicenda sportiva. La vicenda di una tennista d’altri tempi, dotata di un talento notevole e di un gioco altamente spettacolare, che ha avuto forse un solo torto. Quello di nascere con un paio di decenni di ritardo.
Roberta Vinci da Taranto, classe 1983, si fa notare ben presto per la sensibilità del
tocco e per la pulizia dei suoi gesti. A livello juniores, gioca spesso con la sua quasi coetanea e corregionale Flavia Pennetta, più anziana di un anno, sotto la guida tecnica di Michelangelo Dell’Edera. Le due pugliesi in quel 1999 si aggiudicano il titolo di doppio al Roland Garros juniores.
Poi, con l’ingresso nel professionismo, le due ragazze prendono strade diverse. La determinata brindisina si accasa a Milano, con Barbara Rossi, mentre la nostra tarantina si sistema a Roma, al Parioli, alla corte di Vittorio Magnelli. E lì per lì, non
sembra credere troppo alla possibilità di emergere in singolare, in un circuito dominato da possenti valchirie. Le sue prime affermazioni Roberta le coglie in doppio, dove affianca la “francese de Roma” Sandrine Testud, moglie di Magnelli. Il sodalizio ha successo. L’azzurra arriva, diciottenne, al n. 12 delle graduatorie mondiali di specialità, e le due ragazze nel 2001 si qualificano per il master finale Wta.
Poi piano piano, iniziano ad arrivare soddisfazioni anche in singolare, per lo più sulle superfici veloci. Nel 2002, una semifinale sul cemento di Tashkent, dove la palla rimbalza bassissima.
Per l’exploit vero e proprio, tuttavia, bisogna aspettare il 2005, e la stagione sull’erba. La tarantina, ancora fuori dalle prime 100 del mondo, si iscrive alle qualificazioni del torneo di Eastbourne, prestigioso prologo di Wimbledon. Le passa di slancio, e si ferma solo in semifinale, mettendo in fila, per strada, gente come Zvonareva e Myskina, con il suo impeccabile tennis d’attacco. Sul sito della Wta nelle news del torneo inglese, scrivono: Anastasia Myskina of Russia defeated by Italian serve-and-volleyer Roberta Vinci… A leggere l’asciutta prosa anglosassone, c’è da inorgoglirsi.
Pochi giorni dopo, ai Championships di Church Road, la nostra arriva al terzo turno, dove ha l’onore di sfidare, sul centrale, nientemeno che Kim “Kong” Clijsters, in diretta tv su Sky. In termini di chili e di centimetri, è un match impari, ma Roberta, pur sconfitta, ne esce bene, ricevendo una valanga di complimenti da un ammiratissimo Gianni Clerici. Rino Tommasi, dal canto suo, non tradisce la sua estrazione statistica: “Epperò… 3 aces di fila. A mia memoria, non ricordo una tennista italiana capace di mettere a segno tre aces consecutivi”. Insomma, un
figurone. Il segreto di questa nuova Roberta Vinci è in realtà uno solo: l’amore. Il rapporto con il tecnico siciliano Francesco Palpacelli, avviato in quel periodo, le conferisce stabilità psicologica, le infonde fiducia e convinzione nei propri mezzi. E la porta da Roma a Palermo, dove, seguita da Francesco Cinà, trova finalmente l’habitat ideale per affermarsi nel circuito professionistico.
L’anno successivo l’azzurra raggiunge il suo best ranking (37 Wta), ma poi a causa di una lunga serie di guai fisici, esce nuovamente dalle prime 100, per rientrarci fragorosamente nel 2007, con la vittoria sulla terra in altura di Bogotà, la sua prima
affermazione in un torneo del circuito maggiore. Poi, ancora infortuni su infortuni: il ginocchio, la spalla, la schiena. Un calvario.
E finalmente ecco l’ultima resurrezione, targata 2009. Una gran battaglia contro la Ivanovic a Brisbane, i quarti a Marbella mettendo paura alla Jankovic, fino alla cavalcata trionfale di Barcellona. Nell’ultimo anno, l’azzurra si conferma a buoni livelli: raggiunge ancora una finale a Barcellona (persa da una Schiavone intenta a scaldare i motori per il Roland Garros) e poi ritrova la miglior condizione in questo ultimo scampolo di stagione, dove tra tournee asiatica e indoor europei si permette di battere gente come Petrova, Pironkova, Kuznetsova e Bondarenko. A Linz la ferma solo una Ivanovic mostruosa, ma poi a Lussemburgo trova la settimana perfetta, dominando in finale la potente ma acerba pin-up tedesca Goerges.
Le interviste ci parlano una Roberta Vinci ancora diversa, più matura e sicura di sè. La sua storia con Francesco Palpacelli è finita ormai da tempo, ma Roberta sembra non risentirne, e pare anzi aver ancora migliorato il suo repertorio tecnico. Vediamolo nel dettaglio.
Un colpo molto importante per l’azzurra è il bellissimo servizio. Un gesto di grande fluidità e coordinazione, con una azione della spalla e del braccio armoniosa e continua, splendidamente sincronizzata con la spinta delle gambe e culminante in un mulinello rapidissimo. Roberta conosce benissimo ogni traiettoria e ogni variazione di effetto. E nonostante la statura contenuta, i muscoli non certo da wonder woman, grazie alla sua tecnica di esecuzione strepitosa è in grado di sparare prime palle a oltre 170 km/h, di eseguire slice esterni di grande precisione e servire robusti kick avvelenati. Un servizio, insomma che se lo avesse Karin Knapp, con le sue spalle da canottiere, farebbe le buche per terra.
Altra caratteristica vincente del gioco di Roberta è la perniciosa (per le avversarie) disomogeneità dei fondamentali, dai quali scaturiscono due tipi di palla profondamente diversi, su cui trovare ritmo è impresa davvero improba.
Il rovescio è giocato sistematicamente in back, si giova di un gran controllo della profondità del colpo (micidiali e ben fintate le palle corte) e consente a Roberta di mettere in gran difficoltà le atletiche colpitrici del tennis attuale, non abituate a
fronteggiare queste rotazioni. Con il diritto invece l’azzurra, grazie ad una classica impugnatura eastern e ad una azione estremamente fluida del polso, è in grado di alternare parabole alte e morbide, cariche di top spin, ad improvvise accelerazioni perfettamente piatte, colpite con grande anticipo, che spesso le procurano il punto diretto o le propiziano la via della rete. A causa dell’apertura un po’ troppo ampia, questo colpo è il termometro del gioco dell’azzurra: quando funziona a dovere, vuol dire che Roberta è on fire.
Il gioco al volo è un grande punto di forza per la tarantina, e in genere vale da solo il
prezzo del biglietto per i suoi match. I gesti sono eleganti e sicuri (la voleè di rovescio in particolare coniuga splendidamente bellezza ed efficacia) e anche lo smash è impeccabile. Purtroppo, come è ovvio, la struttura fisica tutt’altro che imponente impedisce a Roberta di coprire sufficientemente la rete, e la costringe a centellinare le sue discese. Un gran peccato, perché la tecnica di esecuzione delle volèe è forse la migliore di tutto il circuito femminile.
Contro un simile modo di giocare, quando è sorretto, come in queste settimane, da una adeguata condizione atletica e da una sufficiente mobilità, molte delle tenniste contemporanee vanno in grandissima difficoltà. Parafrasando certe trame di fantascienza, il gioco di Robertina è come un virus estinto, appartenente ad una lontana era geologica, rimasto congelato per migliaia di anni, che improvvisamente si risveglia e va ad attaccare organismi che non hanno sviluppato i necessari anticorpi, con esiti devastanti.
Se ne è avuta la riprova anche nella finale di ieri. Julia Goerges, nettamente superiore per muscoli e centimetri, non è quasi mai riuscita a trovare continuità e ritmo, contro le incessanti variazioni della nostra. Variazioni che le hanno consentito, in carriera, di raccogliere un palmares già invidiabile: 3 titoli WTA (su quattro finali) in singolo e 5 in doppio, due Fed Cup (per ora) e quasi 2 milioni di dollari di prize-money… Tra i maschi sarebbe l’indiscussa n. 1 d’Italia.
Insomma, la nostra Robertina mette d’accordo davvero tutti: esteti e tifosi nazionalisti. Se riuscirà a mantenere questa condizione atletica (suo storico tallone d’achille) la ragazza tarantina può diventare un magnifico testimonial per il nostro
movimento. Un’ultima provocazione. A veder giocare la Vinci viene spontaneo chiedersi: ma perché i tecnici moderni non insegnano più questo tipo di tennis? Possibile che al mondo non nasce più una ragazzina dotata di sensibilità di tocco?
Non sarà forse che costruire in serie delle giocatrici basate sulla sola potenza è più semplice e rapido e quindi i ritorni economici arrivano prima?
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