QUANDO IL BUE DICE CORNUTO ALL’ASINO

Uno dei peggiori vizi che praticamente tutti gli uomini condividono è quello di attribuire agli altri i propri difetti. L’avaro pensa che tutti siano avari, il vanitoso che tutti passino il proprio tempo davanti allo specchio, l’invidioso si sente invidiato, il bue dice cornuto all’asino, e via discorrendo.
Da questo vizio non sono ovviamente immuni i giornalisti, che hanno gli stessi difetti e le stesse debolezze (soprattutto le debolezze…) della gente comune, dalla quale alcuni di loro si distinguono, semmai, per la pretesa di avere diritto a trattamenti di favore. Era perciò inevitabile che quei due-tre luminari della penna che hanno costruito la propria fama sull’anti-italianismo e sulle disgrazie altrui finissero, nell’ambito della vicenda-Bolelli, per attribuire alla FIT lo stesso senso di scorno che provano loro quando un tennista o una tennista azzurra ottengono dei bei risultati. E’ bastato che il bravo Simone vincesse una partita perché i fucili, ben oliati durante l’interminabile pausa invernale, cominciassero a sparare le pallottole così a lungo tenute in canna, riempiendo i giornali di fandonie tipo quella che i dirigenti federali tiferebbero contro Bolelli.
Se il fenomeno del transfert non fosse ormai stato sviscerato dalla psicologia, dentro certi articoli gli studiosi troverebbero un sacco di materiale interessante. Ma in questa specifica vicenda non può comunque mancare il sospetto che, oltre all’inconscio, un ruolo lo stia giocando la malafede. Perché un giornalista – specie quando si considera più bravo degli altri – dovrebbe tenere conto dei fatti. E i fatti sono che più di una volta (la prima quando ne annunciò la sospensione; l’ultima ieri, ai microfoni di Radio Rai), il presidente Binaghi ha detto e ripetuto che la FIT fa il tifo per Bolelli e si augura che raggiunga i massimi traguardi possibili nei tornei individuali.
Ci mancherebbe altro! Bolelli è uno dei primi e più sugosi frutti della politica di rinnovamento di questa Federazione, la quale ha contribuito in maniera decisiva alla sua crescita, e ogni sua vittoria è anche una vittoria dell’intero movimento. Non giocherà più in Nazionale perché così impongono le regole dell’intero sport italiano e perché è eticamente inaccettabile che qualcuno indossi la maglia azzurra dopo averle anteposto gli interessi personali. Ma questo non c’entra un bel niente con i sentimenti con i quali vengono accolti i suoi risultati nei tornei, che non sono e non possono essere diversi dalla felicità in caso di successo e dispiacere in caso di sconfitta, così come avviene nei confronti di qualsiasi altro giocatore italiano, qual che sia il livello della competizione.
Piaccia o no ai luminari della penna, la realtà – documentata – è questa. Se vogliono continuare a distorcerla noi non potremo far altro che scuotere sorridendo la testa, come d’altronde facciamo da una vita. Anche se, stavolta, alla compassione si mescolerà un pizzico di preoccupazione. Perché questa patetica vicenda ha un risvolto talmente paradossale da risultare inquietante: non sarà che l’essere costretti a tifare per un tennista italiano finirà per provocare un cortocircuito nei già sovraccarichi neuroni di questi signori? Ecco dove, forse, gli psicologi potrebbero scoprire qualcosa di veramente inedito.

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ACCENDETE LA VOSTRA PASSIONE!

Oggi abbiamo presentato alla stampa, agli sponsor e al mondo federale il canale tv della FIT, “SuperTennis”. C’erano il presidente del Coni Gianni Petrucci, che ci ospitava nel Salone d’Onore del Palazzo H, e un sacco d’altra gente che ha dedicato la propria vita allo sport. E’ stata una bella mattinata e m’è parso di capire che, oltre all’ovvio interesse per quella che è un’iniziativa per certi versi rivoluzionaria, “SuperTennis” abbia riscosso molta sincera simpatia. Tutti si rendono conto che un successo del canale del tennis finirebbe in ultima analisi per schiudere le porte della televisione digitale ad altre discipline sportive, incoraggiando altre federazioni a percorrere il nostro stesso cammino e dando così voce a tanti atleti e dirigenti i cui sacrifici non godono della visibilità che meriterebbero assai più dei calciatori multimilionari, delle veline, delle moviole e degli ultras che oggi gliela sottraggono..
Per chi, come me, è nato quando ancora la televisione la si poteva vedere solo sui film di fantascienza, questa rivoluzione ha davvero un profumo di magìa. E non posso fare a meno di pensare, anche, che la moltiplicazione dei canali resa possibile dalla tecnologìa viene a risarcire i cosiddetti “sport minori” dello scippo di pubblico operato a loro danno dalla televisione 50 anni fa, quando la gente cominciò a restarsene rintanata a guardare i programmi della Rai anziché uscire di casa per andare ad assistere – specie d’estate – alle partite di pallanuoto, o di baseball, o di tutte le altre piccole discipline che offrivano un grande spettacolo serale.
Sono soprattutto felice che, dopo tanti decenni trascorsi a fare informazione sportiva su più livelli, la vita mi abbia offerto l’opportunità di affiancare un gruppetto di giovani entusiasti come quelli che fanno parte della redazione del nuovo canale, nella loro corsa verso un futuro così ricco di stimoli nuovi di zecca. Spero di riuscire ad aiutarli a crescere insieme al nostro meraviglioso sport, e a far crescere, con loro, la passione di tutti coloro che amano il tennis. So che faremo un sacco di sbagli. E che qualche volta ci capiterà di non essere all’altezza delle vostre aspettative. Ma sono convinto che ci perdonerete.

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ACCENDETE LA VOSTRA PASSIONE!

Oggi abbiamo presentato alla stampa, agli sponsor e al mondo federale il canale tv della FIT, “SuperTennis”. C’erano il presidente del Coni Gianni Petrucci, che ci ospitava nel Salone d’Onore del Palazzo H, e un sacco d’altra gente che ha dedicato la propria vita allo sport. E’ stata una bella mattinata e m’è parso di capire che, oltre all’ovvio interesse per quella che è un’iniziativa per certi versi rivoluzionaria, “SuperTennis” abbia riscosso molta sincera simpatia. Tutti si rendono conto che un successo del canale del tennis finirebbe in ultima analisi per schiudere le porte della televisione digitale ad altre discipline sportive, incoraggiando altre federazioni a percorrere il nostro stesso cammino e dando così voce a tanti atleti e dirigenti i cui sacrifici non godono della visibilità che meriterebbero assai più dei calciatori multimilionari, delle veline, delle moviole e degli ultras che oggi gliela sottraggono..
Per chi, come me, è nato quando ancora la televisione la si poteva vedere solo sui film di fantascienza, questa rivoluzione ha davvero un profumo di magìa. E non posso fare a meno di pensare, anche, che la moltiplicazione dei canali resa possibile dalla tecnologìa viene a risarcire i cosiddetti “sport minori” dello scippo di pubblico operato a loro danno dalla televisione 50 anni fa, quando la gente cominciò a restarsene rintanata a guardare i programmi della Rai anziché uscire di casa per andare ad assistere – specie d’estate – alle partite di pallanuoto, o di baseball, o di tutte le altre piccole discipline che offrivano un grande spettacolo serale.
Sono soprattutto felice che, dopo tanti decenni trascorsi a fare informazione sportiva su più livelli, la vita mi abbia offerto l’opportunità di affiancare un gruppetto di giovani entusiasti come quelli che fanno parte della redazione del nuovo canale, nella loro corsa verso un futuro così ricco di stimoli nuovi di zecca. Spero di riuscire ad aiutarli a crescere insieme al nostro meraviglioso sport, e a far crescere, con loro, la passione di tutti coloro che amano il tennis. So che faremo un sacco di sbagli. E che qualche volta ci capiterà di non essere all’altezza delle vostre aspettative. Ma sono convinto che ci perdonerete.

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ADDIO FEDERICO, LA TUA E’ UNA MORTE INGIUSTA

Questa è una rasoiata. Un colpo improvviso, secco e silenzioso, di quelli che aprono ferite nitide e diritte, impossibili da suturare prima che il sangue ne sia sgorgato fuori di getto. Un colpo così inconcepibilmente brutale da non farti né capire da…

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ADDIO FEDERICO, LA TUA E’ UNA MORTE INGIUSTA

Questa è una rasoiata. Un colpo improvviso, secco e silenzioso, di quelli che aprono ferite nitide e diritte, impossibili da suturare prima che il sangue ne sia sgorgato fuori di getto. Un colpo così inconcepibilmente brutale da non farti né capire da dove è arrivato né sentire dolore: guardi la ferita e ti chiedi come sia stato possibile che te l’abbiano inferta senza che te ne accorgessi. Anche perché cose così, se proprio devono accadere, non accadono a uno come Federico, che la forza di vivere – e di vivere come voleva lui – la portava scritta in faccia, sul quel sorriso da lenza che opponeva, come una barriera, alle lusinghe e alle minacce del destino.
Nella piccola storia del nostro tennis, proprio questo Federico in qualche modo rappresentava: la capacità di essere se stesso nel bene e nel male, l’impermeabilità alle infiltrazioni, la baldanza da toscano incosciente. Ricordate? Nel 2001 l’appena eletto presidente Binaghi si trovò a fronteggiare uno “sciopero della maglia azzurra” da parte di decine di giocatori e giocatrici. C’era da andare a giocare in Davis a Helsinki, contro la Finlandia dell’astro nascente Nieminen, e il neocapitano Barazzutti puntò su di lui, che era poco più che un ragazzino, su quel genio stravagante di Mosè Navarra, su Vincenzo Santopadre e su un altro baby di belle speranze, Filippo Volandri.
Poteva essere una catastrofe, e invece l’Italia vinse, gettando la prima pietra della rivoluzione che avrebbe rigenerato la FIT. Nel match che aprì la sfida Luzzi batté 14-12 al quinto set Liukko, imprimendole subito la svolta decisiva.
14-12: ecco, nel punteggio di quel quinto set c’è una bella fetta di Federico Luzzi, della sua tignosa caparbietà e della combattività che potevano farne un campione, un sorta di nuovo Gardini, e che invece sono rimaste armi utilizzate più nella vita, a rincorrere chissà quali obiettivi, che nel tennis. Sempre sorridendo malandrino, Federico diede un breve seguito all’impresa finlandese, raggiungendo gli ottavi al Foro Italico e quindi mettendo alla frusta, in settembre, la Croazia del campione di Wimbledon Ivanisevic nello spareggio-promozione di Coppa Davis. Ma poi si infortunò e non si riprese neppure quando guarì. Sempre battagliero, ma sempre meno a suo agio, lui così leggero, nel confronto con i bombardieri del nuovo tennis, Luzzi ha mancato ogni tentativo di ritornare al vertice, anche se per un giorno, poco più di un anno fa, riuscì persino a ritrovar posto nella squadra di Coppa Davis e a vincere il suo singolare a risultato acquisito contro il Lussemburgo ad Alghero.
Adesso non c’è più, cancellato nel giro di pochi giorni dalla ottusa furia di una malattia di quelle che non avvisano e non perdonano. Lo piangono gli amici del cuore, i pochi che sapevano che cosa si celasse davvero dietro a quel sorriso. Lo piangono coloro che hanno continuato a tifare per lui anche nei challenger, delusi da quel che poteva essere e non era stato e tuttavia disposti a perdonare una così simpatica canaglia. Lo piangono persino, ne sono certo, quelli – e non sono stati pochi – che ci hanno litigato, in campo e fuori. Perché a uno come Federico Luzzi, in fondo in fondo, non si poteva non volere bene. Ed è anche per questo che la sua morte ci appare come una di quelle ingiustizie così insopportabili da farci persino dubitare che la vita abbia davvero un senso.

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L’IGNOBILE LINCIAGGIO DI FOGNINI

Premetto che non ho visto il match in questione, dunque non sono in grado di esprimere alcun giudizio di merito sui fatti. Però in tanti mi stanno segnalando che è in corso un autentico linciaggio mediatico ai danni di Fabio Fognini, reo – pensate un po’!… – di essere stato seccamente battuto dal numero 18 del mondo, Gael Monfils, nel Masters Series di Madrid.
C’è chi mi dice che nel linciaggio si sarebbero distinti, fra gli altri, i commentatori di SKY, a cominciare da Raffaella Reggi e Rino Tommasi, ma mi rifiuto di crederci. A sentirla una volta sola, magari di sfuggita, anche una frase severa può essere scambiata per una sciabolata selvaggia. Piuttosto, ho letto con i miei occhi, sul sito di Eurosport, un pezzo che definire disgustoso è poco. Lo ha scritto un certo Andrea Tabacco – una firma talmente sconosciuta che se non è uno pseudonimo ha quanto meno l’aria di esserlo – ed è così pieno di livore da lasciare a bocca aperta, anche perché uno si chiede come sia possibile che una testata di grande prestigio come Eurosport – che tanto ha contribuito al successo mondiale della nostra amata disciplina – possa incorrere in un infortunio grave come quello di farsi rappresentare da una mezza calzetta.
Chiaro che Fognini paga quella che gli indomiti nemici del tennis italiano e i loro degni imitatori giudicano una colpa infamante e imperdonabile: aver ottenuto un posto in tabellone grazie alla wild card che gli organizzatori madrileni avevano concesso alla FIT in cambio di consimile concessione loro fatta in occasione degli Internazionali d’Italia. E’ bastato questo per far diventare un crimine quello che ha tutta l’aria di esser stato un normalissimo passo falso.
Sono i frutti avvelenati del clima di linciaggio permanente alimentato da certi media nei confronti del tennis italiano: il primo ragazzino al quale mettono la penna in mano si sente autorizzato a fare il verso a quelli che considera i suoi “maestri”. Non ci resta che allargare sconsolati le braccia e augurarci che Fognini sappia metabolizzare quest’ingiustizia e la trasformi in un fattore di crescita. Campioni si diventa anche imparando a distinguere gli amici dai nemici.

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L’IGNOBILE LINCIAGGIO DI FOGNINI

Premetto che non ho visto il match in questione, dunque non sono in grado di esprimere alcun giudizio di merito sui fatti. Però in tanti mi stanno segnalando che è in corso un autentico linciaggio mediatico ai danni di Fabio Fognini, reo – pensate un po’!… – di essere stato seccamente battuto dal numero 18 del mondo, Gael Monfils, nel Masters Series di Madrid.
C’è chi mi dice che nel linciaggio si sarebbero distinti, fra gli altri, i commentatori di SKY, a cominciare da Raffaella Reggi e Rino Tommasi, ma mi rifiuto di crederci. A sentirla una volta sola, magari di sfuggita, anche una frase severa può essere scambiata per una sciabolata selvaggia. Piuttosto, ho letto con i miei occhi, sul sito di Eurosport, un pezzo che definire disgustoso è poco. Lo ha scritto un certo Andrea Tabacco – una firma talmente sconosciuta che se non è uno pseudonimo ha quanto meno l’aria di esserlo – ed è così pieno di livore da lasciare a bocca aperta, anche perché uno si chiede come sia possibile che una testata di grande prestigio come Eurosport – che tanto ha contribuito al successo mondiale della nostra amata disciplina – possa incorrere in un infortunio grave come quello di farsi rappresentare da una mezza calzetta.
Chiaro che Fognini paga quella che gli indomiti nemici del tennis italiano e i loro degni imitatori giudicano una colpa infamante e imperdonabile: aver ottenuto un posto in tabellone grazie alla wild card che gli organizzatori madrileni avevano concesso alla FIT in cambio di consimile concessione loro fatta in occasione degli Internazionali d’Italia. E’ bastato questo per far diventare un crimine quello che ha tutta l’aria di esser stato un normalissimo passo falso.
Sono i frutti avvelenati del clima di linciaggio permanente alimentato da certi media nei confronti del tennis italiano: il primo ragazzino al quale mettono la penna in mano si sente autorizzato a fare il verso a quelli che considera i suoi “maestri”. Non ci resta che allargare sconsolati le braccia e augurarci che Fognini sappia metabolizzare quest’ingiustizia e la trasformi in un fattore di crescita. Campioni si diventa anche imparando a distinguere gli amici dai nemici.

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CONSIGLIERE FLAVIA

Quale altra federazione sportiva nazionale può vantare un Consiglio Federale all’interno del quale siede un atleta che figura tra i migliori del mondo? Dal novembre del 2003 nel CF della FIT c’è Flavia Pennetta, campionessa iridata a squadre nel 2006, abbastanza stabilmente fra le Top 20 della classifica WTA. Ieri sera Flavia ha scritto un’altra pagina della sua bella carriera, qualificandosi per i quarti di finale dell’US Open. Poteva essere l’occasione giusta per sottolineare questo fatterello, non foss’altro quale nota di colore. Ma, guarda caso, nessuno sembra esserselo ricordato, né quelli che sulla loro memoria lunga hanno costruito una carriera di successo né, ça va sans dire, quelli che quando un italiano vince – qualsiasi italiano a qualsiasi livello – l’unica cosa di cui si preoccupano è di scrivere che “la FIT non ha alcun merito”.

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FORZA E TALENTO

Aldilà degli aspetti più squisitamente tecnici, è un fatto che Federer e Nadal (o dovrei piuttosto dire Nadal e Federer?) danno carne e muscoli alle due anime del tennis: talento e forza. La rivalità che li contrappone trascende loro stessi, che infatti si rispettano al limite dell’adorazione. E’ la rivalità fra due modi d’essere. C’è chi vince perché è nato bravo e chi vince perché bravo ci è diventato lavorando e scarificandosi. Per opposti motivi, sia l’uno sia l’altro suscitano in noi comuni mortali ammirazione e spirito di emulazione. Dunque il tennis ha bisogno di entrambi.
Se stesse a significare che la forza ha preso definitivo sopravvento sul talento, la vittoria di Nadal a Wimbledon sarebbe una jattura. Ma non è così. Questa è solo la ripetizione, alla rovescia, di quanto accaddenel 1981, quando fu il talento di McEnroe a metter fine al regno della forza di Borg.
Passano gli anni, cambiano le racchette, le palle, le tecniche di preparazione e persino l’erba di Wimbledon, eppure il tennis è sempre lo stesso.
Anche se Federer dovesse trarre dalla sconfitta di ieri le stesse conseguenze che all’epoca ne trasse Borg, già sappiamo che, prima o poi, un altro semidio dal tocco fatato tornerà a deliziare i nostri neuroni.

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FORZA E TALENTO

Aldilà degli aspetti più squisitamente tecnici, è un fatto che Federer e Nadal (o dovrei piuttosto dire Nadal e Federer?) danno carne e muscoli alle due anime del tennis: talento e forza. La rivalità che li contrappone trascende loro stessi, che infatti si rispettano al limite dell’adorazione. E’ la rivalità fra due modi d’essere. C’è chi vince perché è nato bravo e chi vince perché bravo ci è diventato lavorando e scarificandosi. Per opposti motivi, sia l’uno sia l’altro suscitano in noi comuni mortali ammirazione e spirito di emulazione. Dunque il tennis ha bisogno di entrambi.
Se stesse a significare che la forza ha preso definitivo sopravvento sul talento, la vittoria di Nadal a Wimbledon sarebbe una jattura. Ma non è così. Questa è solo la ripetizione, alla rovescia, di quanto accaddenel 1981, quando fu il talento di McEnroe a metter fine al regno della forza di Borg.
Passano gli anni, cambiano le racchette, le palle, le tecniche di preparazione e persino l’erba di Wimbledon, eppure il tennis è sempre lo stesso.
Anche se Federer dovesse trarre dalla sconfitta di ieri le stesse conseguenze che all’epoca ne trasse Borg, già sappiamo che, prima o poi, un altro semidio dal tocco fatato tornerà a deliziare i nostri neuroni.

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W SKY!

Credo che nessuno sport abbia mai – mai e in nessun altra parte del mondo – goduto di una visibilità come quella che SKY SPORT sta dando in questi giorni al tennis. Sono ben 6 (scelti fra quelli che si disputano sugli otto campi coperti dalle telecamere) gli incontri del torneo di Wimbledon trasmessi contemporaneamente su altrettanti canali. Miracoli della tecnologia digitale, certo, ma miracoli, soprattutto, da parte di SKY, perché assicurare una programmazione così ricca e ben confezionata 9 ore al giorno per 14 giorni significa impegnarsi in uno sforzo stratosferico in termini di risorse umane e finanziarie.
Tutti noi appassionati di tennis dobbiamo dunque essere grati a SKY per questa che, prima ancora che di efficienza e di professionalità, è una prova di amore verso il nostro sport. Allo stesso tempo credo che dobbiamo anche essere orgogliosi del fatto che questa ondata di interesse e di passione siamo riusciti a suscitarla. Non staremmo in vetrina se i proprietari del negozio non fossero convinti che la gente si ferma a guardarci (e poi, magari, entra pure per comprare qualcosa).
W SKY!, dunque. Ma anche W IL TENNIS!…

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L’ULTIMO TANGO A PARIGI

A trent’anni di distanza dall’ultima occhiata dal vero, il visitatore ritrova il Roland Garros insieme scombussolato e identico a se stesso. Il Centrale, ora Philippe Chatrier, è diventato un palazzone ricco di piani, meandri e anfratti ma sempre lì d…

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L’ULTIMO TANGO A PARIGI

A trent’anni di distanza dall’ultima occhiata dal vero, il visitatore ritrova il Roland Garros insieme scombussolato e identico a se stesso. Il Centrale, ora Philippe Chatrier, è diventato un palazzone ricco di piani, meandri e anfratti ma sempre lì dove troneggiava prima se ne sta. Ci sono alcuni megacampi aggiuntivi e la Piazza dei Moschettieri che allora non c’erano, un sacco di boites e boutiques, un Museo piccolo ma pieno di roba grazie alle tecnologie digitali, un negozio che vende il merchandising del torneo per entrare nel quale bisogna mettersi in fila come giapponesi a Via Condotti, ristoranti, uffici e un tv compound che sembra il paddock di un circuito automobilistico durante un gran premio di F1 degli anni ’80. Un casino pazzesco e nuovo di zecca che ribolle all’interno di mura vecchie ed anguste. E’ come se un gigantesco bambino-demiurgo avesse prepotentemente e crudelmente compresso i pezzi di tre confezioni di mattoncini Lego dentro una sola scatola.
Se non sei un privilegiato o un riccone non riesci praticamente a far altro che muoverti con fatica in mezzo alla gente, meglio se in favore di corrente. Tennis giocato? Se hai fortuna puoi trovare un posticino per ammirare un doppio fra rampanti bambine provenienti dall’ex impero sovietico. E non parliamo di quel che ti costano un panino o un gelato.
Il tennis cresce in tutto il mondo, ma qui la crescita si avverte con più forza e meno soddisfazione, perché il “no” delle autorità parigine a concedere i nuovi spazi disperatamente richiesti dagli organizzatori della Federazione francese ha fatto del Roland Garros una pentola a pressione: alla fine il piatto messo in tavola è ottimo ma il processo di cottura è forzoso e per certi versi anche pericoloso. Qui si sperava nel successo della candidatura a ottenere i Giochi Olimpici del 2012, vinta invece da Londra: se ce l’avesse fatta, la municipalité di Parigi avrebbe concesso al tennis lo spazio vitale di cui ha disperatamente bisogno. Invece… Invece i confini sono rimasti quelli di sempre e l’ottuagenario impianto del Bois de Boulogne è una bolgia dove è difficile persino spostarsi. A parità di spettatori, Wimbledon e Flushing Meadows sono molto più fruibili.
Per noi italiani il pellegrinaggio è comunque istruttivo. Anzi: facendo di necessità virtù, gli amici francesi hanno sviluppato idee e soluzioni che possono essere di utile ispirazione a noi che ci occupiamo del Foro Italico, specie in vista dell’ormai imminente cambiamento di formula, con gli Internazionali d’Italia destinati a diventare un “combined event” nel giro di pochi anni, con tutto ciò che ne conseguirà, a cominciare dalla compressione del torneo dai sedici giorni attuali a una decina.
Dunque un ritorno felice, perdipù condito da tre set di tennis nazional-adrenalinico come quelli giocati dalla Pennetta contro Venus Williams e il primo della Knapp contro la Sharapova. Come dite? Che mi accontento di poco? Magari avete ragione. Ma se mi guardo alle spalle non è che, in questi trent’anni di digiuno, veda di meglio. Anzi…

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L’AMORE DI BUFFON PER IL TENNIS

A meno di due settimane dall’inizio degli Europei di calcio, vi ripropongo l’intervista, apparsa su “SuperTennis” nell’estate del 2005, con il più grande portiere del mondo, Gianluigi Buffon, che è anche un grandissimo appassionato di tennis.di UGO TR…

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L’AMORE DI BUFFON PER IL TENNIS

A meno di due settimane dall’inizio degli Europei di calcio, vi ripropongo l’intervista, apparsa su “SuperTennis” nell’estate del 2005, con il più grande portiere del mondo, Gianluigi Buffon, che è anche un grandissimo appassionato di tennis.

di UGO TRANI

L’ultimo vezzo del “numero uno” è il ciuccio in testa, che poi sarebbe soltanto un piccolo codino tenuto da un semplicissimo elastico, quasi fosse una cresta. Gianluigi Buffon, 27 anni, cambia spesso look. Ora, a parte la trovata per la capigliatura, ha pure i basettoni. Tutto questo per dire che il portiere della Nazionale e della Juve è la felicità per fotografi e operatori. Si presta all’immagine, anche scherzosa e gaudente, come pochi altri. Non si nasconde nei periodi delicati delle sue due squadre, e non sono due qualsiasi ma le più importanti d’Italia, concedendosi per interviste scomode almeno quanto per certe riprese o per fastidiosi flash. Non si nega nel privato. Mai.
Vederlo in tribuna per una partita di tennis non deve scatenare illazioni o altro. Nemmeno se lo trovi in posa sugli spalti del catino snob di Montecarlo, della scatola magica del Roland Garros o dell’arena al sole del Foro Italico. Non va lì, come certi presenzialisti, per farsi notare, per mettere in vetrina la sua immagine, cosa che pure può far piacere a sponsor e organizzatori. Se lui segue con interesse uno scambio, un gesto o un rituale, è solo perché… «Perché sono un semplice appassionato», assicura Gigi. «La verità è che di tempo ne ho poco, per la concomitanza dei miei impegni ufficiali di calciatore con i grandi tornei di tennis. Di foto ne sarebbero girate molte di più, ve l’assicuro. Appena posso, vado. Preferisco il tennis dal vivo, anche se mi devo accontentare, per cause di forza maggiore, di quello televisivo. Meglio che niente. Comunque non mi perdo un incontro, approfitto dei tanti ritiri, dei lunghi pomeriggi passati nelle stanze d’albergo», sospira il portiere azzurro.
– Andiamo con ordine. Come si è avvicinato a questo sport. Da praticante o da tifoso?
«Io nasco sportivo. Così da bambino ho preso la racchetta in mano. Un autodidatta, come accade a molti ragazzini. Tutti provano da soli, per divertirsi. Io ho iniziato per strada. Non giocando contro il muro, cosa che facevo quando ero piccolo in alcuni circoli. Io e un mio amico, all’età di dieci anni, cominciammo a sfidarci sull’asfalto. A casa mia, a Marina di Carrara. Erano le prime grandi partite, stando ben attenti alle auto ».
– Oggi invece dicono che sia addirittura un esperto, uno che dà giudizi e che commenta. Si sente tanto preparato?
«Non esageriamo. Da sei-sette anni il mio rapporto con il tennis è cambiato, diventando più assiduo. Leggo riviste specializzate, studio i personaggi, sono più curioso. Ho anche un idolo, proprio come succede ai bambini: Rafter».
– Prima di Rafter, quali altri campioni sono riusciti a farla restare per ore davanti al teleschermo?
«Tanti. Se, però, devo scegliere un match, penso ai tanti incontri tra Lendl e Becker. Due giocatori tanto diversi, capaci di appassionarti per i loro colpi. Una finale di un torneo con loro due in campo resta, emotivamente, il massimo. Almeno per me».
– Conoscendo Buffon, campione estroverso e stravagante, avrà fatto sempre il tifo per Becker, tra i due certamente giocatore più spettacolare.
«Non è questione di tifo né di caratteristiche tecniche. A me piaceva Lendl. Il suo approccio alla gara era sbalorditivo. Sapeva dosare le energie, era concreto all’eccesso, un computer, un campione del futuro. Un altro che seguivo, per la varietà dei colpi, era Wilander. Mi sono divertito molto sia con Connors che con Mc Enroe. Un tennis, ad altissimo livello, molto folcloristico, anche nella preparazione di un singolo game, nel vivere una pausa di gioco o un cambio di campo. Ma preferivo Lendl, lineare e tosto».
– Dalle sudate in strada a Marina di Carrara alle prime esperienze sulla terra rossa. Quando ha preso a fare sul serio con la racchetta?
«A vent’anni. Ho visto che mi trovavo bene sul campo. Qualche lezione per migliorare, i primi progressi, la sicurezza in partita».
– Racconti i suoi colpi, il migliore e il peggiore di Buffon tennista.
«Ho un buon diritto. Forte. Lo riesco anche a indirizzare con una discreta precisione. Faccio invece molta fatica a dare potenza con il rovescio. Gioco in back, mi trovo più a mio agio».
– E il servizio?
«C’è. Colpisco bene, ho una prima palla che può far male. Mi aiuta l’altezza».
– Torniamo ai giocatori. Dopo Rafter, altri idoli?
«Ha smesso. Il marocchino El Aynaoui. Lo seguivo perché lo apprezzavo per lo spirito con cui affrontava gli incontri. Mi dava l’impressione di chi, come me ne calcio, giocava sempre divertendosi. E dava priorità al fair play. Aveva un diritto come pochi. Potente, sempre in profondità».
– I campioni di questi giorni. Faccia un nome?
«Semplice. Federer è la perfezione stilistica. Il non plus ultra. Tra quelli che ho visto io, dall’85 a oggi per fissare un periodo, è sicuramente il più completo. Non riesco a trovargli un difetto. Contano anche le superfici: cambiandola, Nadal può essere ritenuto l’astro nascente».
– A chi vorrebbe somigliare?
«Un momento. Io ho voglia di praticare. Mi rilassa. Lo faccio per puro divertimento, visto che quando gioco a calcio, mi vorrei divertire ma alla fine la pressione è grande, perché conta il risultato. Quando gioco a tennis, faccio sport… Insomma, non cerco di imitare qualcuno. Penso a migliorare i miei colpi. Soprattutto non mi metto a sparare, a sfogarmi con la racchetta in mano. Cerco di non buttare mai via nemmeno una pallina».
– Come valuta il movimento tennistico nazionale?
«Si sta riprendendo dopo anni difficili. Prima erano competitive solo le donne, con rendimento medio-alto. Ora anche gli uomini cominciano a farsi rispettare. Volandri e Starace penso che siano brutti clienti per gli avversari».
– Quali errori ha notato in passato?
«Non è questo il discorso. Per troppo tempo non c’è stato un tennista di valore. Così molte volte i nostri giocatori entravano in campo timorosi nei confronti di altri. Partivano sconfitti. E’ mancata la sicurezza e la convinzione, anche se Gaudenzi, e a volte Sanguinetti, sono riusciti ogni tanto a lasciare il segno. Ora c’è più continuità».
– In tribuna quando si ripresenterà per un torneo di primo piano?
«Spero presto. Finora ho visto poco dal vivo. Tre anni fa sono stato a Montecarlo, due anni fa a Roma e ultimamente al Roland Garros. Non mi va di aspettare fine carriera… per essere più libero».

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COME TUTELARE GLI APPASSIONATI?

Mi scuso con i miei lettori se, tenendo faticosamente a bada il temperamento, non scrivo quel che penso di ATP, WTA e, più in generale, della Grande Anomalia del tennis, unico sport al mondo gestito non da una Federazione Internazionale ma dalle associazioni sindacali di chi lo fa per mestiere. Taccio anche sulla singolare coincidenza fra il moltiplicarsi degli infortuni e il passaggio dei controlli antidoping dai suddetti sindacati alla Federazione Internazionale. In certe circostanze è meglio stare zitti.
Una cosa, però, mi sento di scriverla. Il pubblico che va a vedere il tennis ha il diritto di assistere allo spettacolo per cui ha pagato. Dunque bisogna far sì che le regole del tennis garantiscano sempre e comunque tale diritto. Sebbene Sergio Palmieri mi dica che una proposta in tal senso è già stata bocciata una volta, io penso che gli organizzatori di tutto il mondo dovrebbero imporre all’ATP e alla WTA una cosetta facile facile. Che, cioè, quando un giocatore o una giocatrice si ritirano nel corso di un torneo (se lo fanno alla vigilia c’è già un meccanismo regolatore) vengano loro assegnati il premio in denaro e i punti del turno precedente a quello in cui si ritirano. E soprattutto che, nel caso in cui – come hanno fatto ieri Serena e oggi la Sharapova – il ritiro avvenga prima di scendere in campo, il loro posto (nonché i soldi e i punti) venga preso dal giocatore o dalla giocatrice che avevano battuto nel turno precedente, obbligati per regolamento a restare sul posto per almeno un giorno di più.
Non mi sembra così astruso e così difficile. E’ vero, una norma di questo tipo contravviene a uno dei principi basilari del tennis (che, cioè, chi perde è eliminato). Ma è ancor più vero, secondo me, che il rispetto nei confronti degli appassionati è un principio ben più basilare di quello, e che dunque non ci sarebbe niente di scandaloso se lo si imponesse per legge.

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LARGO AI GIOVANI

Sulla copertina del numero di maggio del mensile della Federazione Italiana, “SuperTennis”, c’è una foto di Sara Errani festeggiata dopo aver colto il punto decisivo contro l’Ucraina in Fed Cup. Lo “strillo” dice “Largo ai giovani!”, e si riferisce anche a Bolelli e Seppi, protagonisti in Coppa Davis contro la Croazia.
Sara è l’unica azzurra rimasta in gara agli Internazionali d’Italia, mentre Bolelli è stato il miglior azzurro la settimana scorsa al Foro Italico e Seppi è il migliore questa settimana ad Amburgo. I giovani si fanno faticosamente largo, un passo alla volta, in un momento in cui le prime linee sembrano aver perso un po’ di smalto. Stiamo vivendo un cambio della guardia? Sebbene tutto lo lasci credere, sarebbe sbagliato, oltre che ingeneroso, escludere un rilancio imminente di qualcuno dei soliti noti. Per fare un piccolo esempio, oggi Starace ha messo alla frusta Nadal, sciupando con set point con un doppio fallo: con un po’ più di fortuna poteva farcela davvero. Però è un fatto che in questa primavera sono i poco più che ventenni a tenere alto il vessillo tricolore.
Aspettando i Trevisan, i Fabbiano e i Miccini, insomma, aggrappiamoci a questo nugolo di ragazze e ragazzi che rappresentano con dignità l’Italia nel tennis che conta e che di tanto in tanto ci regalano belle giornate.

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TELONI

Forse perché c’era poco altro da scrivere, il martedì di pioggia al Foro Italico ha offerto il destro ai sapientoni per l’immancabile giaculatoria su uso e tipologia dei teloni anti-acqua, con affermazioni che vanno dal falso (negazione dell’esistenza dei teloni stessi, che invece erano rimasti stesi sui campi per tutta la notte fra lunedì e martedì) allo sfottò anti-italiano.puro e duro. Roba già vista, sentita e metabolizzata. Ma che stavolta fa addirittura ridere, perché, con tutti gli acquazzoni che sono venuti giù e la pioggia battente che ha colmato gli intervalli fra l’uno e l’altro, ieri neppure nella mitica Wimbledon, la madre di tutti i teloni, si sarebbe giocato un solo punto in più di quelli che si sono giocati a Roma.

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I DUE NOLE

C’è un Nole che tutto il mondo conosce grazie alla tv e a internet ma che Roma non ha avuto modo di godersi in presa diretta. E’ il Nole burlone, quello che fa le imitazioni dei colleghi e qualche numero da clown, l’immancabile mattacchione che fa ridere i compari della ghenga, l’attore nato. Qui l’abbiamo visto sempre serio serio. Prima sulla difensiva in sala stampa, quando s’è sforzato di giustificare l’inusitato ritiro di Montecarlo. Poi sulla difensiva anche sul campo, con tanti problemi di tennis e tanto nervosismo. E infine serio serio anche dopo essersi liberato della paura di giocare male sulla terra battuta e aver vinto il torneo, impermeabile persino ai soavi tentativi di stuzzicarlo da parte di Lea Pericoli.
Sollecitato a regalare al pubblico del Foro almeno un siparietto, Nole ha declinato l’invito, e solo a mezza bocca s’è lasciato strappare la promessa che farà un’imitazioncina l’anno prossimo, qualora dovesse bissare il successo romano di oggi.
Qual è il vero Djokovic? Quello che s’è sforzato di costruire un personaggio o quello che, una volta arrivato in cima, dà l’impressione di volersene liberare?

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SATURNO

Come Saturno, il famelico tennis d’oggi divora i suoi figli uno a uno. Piedi, polsi, ginocchia, spalle. E’ tutto un saltar di tendini e giunture, legamenti e cartilagini, fibre rosse e fibre bianche. A poca distanza dal Foro Italico il laser del dotto…

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