La filosofia del ‘minimo sforzo’ di Benoit Paire: “Non sacrificherei niente per essere numero uno”
Su Benoit Paire si potrebbero dire molte cose e molte sono state già dette. Per lo più la vulgata si concentra sulla sua presunta mancanza di serietà, in una condanna pressoché corale del “potrei, ma non voglio”. Lo stesso atteggiamento generale che investe anche i vari Kyrgios, Fognini, Bublik o in tempi passati anche campioni del calibro di Marat Safin.
Ma perché questo accanimento? Forse perché non essendo stati baciati dal medesimo talento cristallino, ci infastidisce molto vedere quei fortunati “sprecarlo”, quasi come se fosse un affronto personale. Forse perché ci dimentichiamo che il mondo è una scala di grigi e che ognuno ha una storia, un passato di cui possiamo spesso e volentieri solo grattare la superficie. Come che sia, spesso sottovalutiamo il peso e l’importanza di quel “non voglio” e non consideriamo che forse non tutti hanno le stesse ambizioni, le stesse priorità, la stessa idea di felicità. Che quei rimpianti che paventiamo ai giocatori che “potevano fare di più” forse li abbiamo solo noi spettatori.
E allora chi meglio di Benoit Paire può spiegare il modo di stare in campo (e soprattutto fuori dal campo) di Benoit Paire? Risposta ovvia: nessuno. Anche perché il buon Benoit si è dimostrato anche piuttosto bravo a scrivere di sé, in un articolo su Racquet Magazine, la celebre rivista di tennis, di cui riportiamo qui solo qualche stralcio (QUI potete leggere il pezzo completo, ne vale la pena).
“Il tennis è sempre stato un gioco per me. È semplicemente successo che diventasse anche il mio lavoro. Ma se gioco a tennis, è prima di tutto per divertirmi in campo e per far divertire le persone che vengono a vedermi. Il mio gioco è l’ideale per questo. Provo una scarica di adrenalina nel tentare colpi folli e vedere le reazioni degli spettatori. Certo, quando sbagli completamente, sembri un idiota, ma quando funziona, è fantastico. Quando sono in allenamento, provo tutti i tipi di colpi. Lo faccio da quando ero bambino. Mi annoio durante alcune sedute, ma se riesco a fare un colpo improbabile, mi torna subito il sorriso. Ho sempre sentito che questa è una mia abilità speciale.” Già solo da questo esordio, si capisce che quello che vediamo sul rettangolo di gioco è un ragazzo che il tennis lo ama eccome. Non è il disinteresse a fargli buttare via le partite, è semplicemente il suo modo di vedere il gioco, lo stesso di quando era piccolo. Due le parole d’ordine: divertirsi e divertire.
Un pregio di Paire è sicuramente la sincerità. In un mondo del tennis sempre più ingessato, fatto di interviste preconfezionate e conferenze stampa fotocopia, infarcite di luoghi comuni e frasi di cortesia, Benoit ha sempre detto la sua e non si è risparmiato neanche questa volta, mettendo nero su bianco quello che in molti pensano.
“C’è molta ipocrisia in questo sport. Prendi le interviste post-partita: i giocatori si trattengono e non dicono quello che pensano. Se pensi che il tuo avversario abbia fatto schifo, perché non dirlo? Anche se sarai attaccato per questo. Non è una mancanza di rispetto, è un’osservazione su quel particolare giorno. Non significa che pensiamo che il giocatore sia sempre terribile. Forse la settimana dopo lo stesso giocatore ti batterà. A Monte Carlo nel 2017 ho giocato contro Tommy Haas. Mi ha battuto 6–2 6–3. A metà partita ho detto che era orribile. La cosa si è diffusa su tutti i social media. È un giocatore che ho rispettato moltissimo, che ho ammirato. Era incredibilmente talentuoso, eccezionale, ma quel giorno non mi ha battuto perché ha giocato bene. Mi ha battuto perché ho mandato tutto a monte. Se chiedi a Casper Ruud cosa pensava di me dopo avermi battuto 6-1 6-1 a Madrid nel 2019, non vi dirà che sono bravo! Mi sono comportato come un bambino rispetto a lui. Tuttavia, ho concluso l’anno da numero 24, mentre lui era 54. A volte mi piacerebbe un po’ più di onestà“.
Ma è uno dei paragrafi centrali che meglio descrive il personaggio, anzi la persona, Paire. Poche righe semplici, dirette, perfette a loro modo. “Sono stato etichettato come un ragazzo di talento, ma idiota. Spesso le persone mi dicevano che avevo quello che serve per essere tra i primi 10. Solo che mi mancano anche molte cose: essere serio negli allenamenti, prepararmi fisicamente… Questi sono sacrifici che non sono in grado di fare. Forse il mio tennis è a quel livello, ma quelli tra i primi dieci hanno anche la spinta fisica e mentale necessaria. Hanno tutto e io no. Vincere uno Slam non è mai stata la mia ambizione. Preferisco essere tra i primi 30 e godermi la vita. Giocare a golf e bere spritz quando voglio, invece di sacrificare tutto per essere il numero uno del mondo“.
“Tutti dicono che avrei tempo per rilassarmi al termine della mia carriera”, prosegue Paire, “e che dovrei dedicarmi completamente al tennis. Ma tutti coloro che sono indottrinati a sentirsi in quel modo non si rilassano mai davvero. La maggior parte dei ragazzi rimane sul tour. Non vedo mai nessuno che lasci andare veramente. Perché questa è la loro vita: tennis, tennis, tennis. C’è un vuoto quando smettono di giocare. Il giorno in cui smetterò io di giocare a tennis, avrò ancora i miei spritz, le mie serate fuori e il mio golf. Ho una vita meravigliosa, una che molti vorrebbero avere. Faccio soldi, mi diverto, viaggio e sono il ragazzo più felice del mondo! Sono incredibilmente fortunato. Non sacrificherei niente per essere il numero uno del mondo. Nel 2019 sono andato a Mykonos e a Ibiza: mi sono trattato da re e ho condiviso i momenti migliori della mia vita con i miei amici. Non è qualcosa che farò quando avrò 40 anni”.
I sogni non sono tutti uguali, nella vita come nel tennis. Non tutti facciamo le stesse cose e comunque non tutti per lo stesso motivo. In campo e fuori viviamo di scelte. Strambe, obbligate, giuste, sbagliate: ognuno fa le sue. Sotto questo punto di vista, Paire sembra sereno già ora, pur con qualche anno di carriera ancora davanti a sé (potenzialmente), e in fondo forse è sufficiente così. “Non sono geloso di Nadal, Federer o Djokovic. Li rispetto molto e penso che quello che fanno e quanto investono nel tennis sia sorprendente. Ma accidenti, quando vedo Rafa vincere il Roland Garros e due giorni dopo allenarsi al Queen’s per la stagione sull’erba… È un mondo diverso! Se vincessi il Roland Garros non so se andrei al Queen’s o addirittura a Wimbledon. In realtà, penso che finirei la mia stagione lì! Sono campioni. Senza di loro, il tennis non sarebbe quello che è oggi. Li ammiro enormemente, ma non sarò mai come loro. Questo non mi impedisce di considerarmi un campione. Sono stato numero 18 al mondo, sono nella top 100 da dieci anni e ho tre titoli ATP: è una buonissima carriera“.
Difficile poi non sodalizzare con Paire, non immedesimarsi un pochino, quando si sofferma a parlare dei suoi problemi di cuore e di come la rottura con la sua ex fidanzata tre anni fa abbia influito per lungo tempo sui suoi risultati (alzi la mano chi non ha mai creato una playlist triste in un momento no, col solo esito di peggiorare la situazione). Nelle tenere parole con cui la ricorda, si scorge quel lato umano che troppo spesso, colpevolmente, dimentichiamo osservando i giocatori dietro la lente delle telecamere o dagli spalti di un’arena. “Questa è la mia vita e voglio che rimanga così. Piena di alti e bassi, vittorie e sconfitte, risate e lacrime, attacchi d’ira e attacchi di gioia“. La sua vita, che forse non è così diversa dalla nostra vita.