Il coronavirus morde, il tennis lo schiva: tra effetto Sinner e DPCM, la racchetta va di moda

Incentivata nelle ultime settimane dalla bolla dei tesseramenti fittizi, o per così dire ‘di opportunità’ per aggirare i decreti (insomma, quelle tessere agonistiche che funzionano un po’ come un vaccino prima che il vaccino stesso sia effettivo), sembra che la pratica del tennis in Italia possa mantenere anche in futuro questo trend di crescita iniziato nell’ultimo triennio.

Gli ultimi dati ufficiali disponibili, quelli relativi al 2017, posizionano il tennis al secondo posto per numero di tesserati – 372.964, in crescita di 42.000 unità rispetto al 2016 – dietro soltanto al calcio, che in Italia è da decenni il parametro di riferimento.

Il primo motivo di questa deduzione è semplice. Nel dossier redatto dal Politecnico di Torino a fine aprile, che il CONI ha consegnato al Ministero dello Sport con l’obiettivo di illustrare i diversi indici di rischio associati alla pratica sportiva, il tennis figura assieme a golf, equitazione, pesca e vela tra gli sport ‘a rischio 0’, su una scala che da zero (rischio minimo) arriva fino a quattro (rischio massimo, quello attribuito a boxe, basket e pallavolo). Archiviata la surreale parentesi dei decaloghi, quel periodo in cui sembrava che le volée potessero diventare proibite in virtù del rischio di contatto ravvicinato tra i due giocatori, al tennis è rimasta appiccicata una buona etichetta. Quella di sport sicuro, o quantomeno molto più sicuro degli altri in regime di pandemia.

Il secondo motivo, che attende ancora il conforto dei numeri, è ‘nato’ con l’impresa parigina di Cecchinato nel 2018, è stato alimentato dalla vittoria di Fognini a Montecarlo nel 2019 e dalla partecipazione di Berrettini alle Finals e sembra poter ricevere una spinta ancora più forte dall’incipiente crescita di Jannik Sinner. Su uno sport che gode di una buona base di praticanti, peraltro in crescita, il volano rappresentato dalle eccellenze italiane che si impongono a livello internazionale e riescono a ottenere l’attenzione dei media generalisti è il fattore ideale per scatenare nei giovani praticanti lo spirito d’emulazione.

C’è dunque un motivo terribile, che incidentalmente favorisce il tennis – una pandemia che rende più difficoltosa la pratica degli sport di contatti e più semplice quella degli sport individuali – e un motivo invece assai più felice, ossia la crescita dei risultati del tennis maschile a cui (purtroppo) fa da contraltare la crisi di quello femminile.

LE ‘PORTICINE’ DEL DPCM

Nel decreto del 3 novembre, che tra pochi giorni dovrebbe essere superato da quello dicembrino e natalizio, al tennis viene concessa un’eccezione difficilmente casuale per quanto riguarda le regioni arancioni e rosse, quelle in cui gli indici di contagio sono più preoccupanti. Nelle prime possono giocare tutti all’aperto e soltanto gli agonisti al chiuso; nelle seconde possono giocare solo gli agonisti, sia all’aperto che al chiuso, in preparazione a ‘eventi di interesse nazionale‘. Il CONI ha però diramato una lista assai fantasiosa a riguardo, che ad oggi si compone di 17 pagine e contiene anche tornei riservati ai quarta categoria. Per farla breve, basta una visita di idoneità sportiva, il pagamento di 30 euro alla FIT e l’iscrizione anche fittizia a uno di questi tornei per essere legittimati ad allenarsi indoor.

Diciamo difficilmente casuale perché appare evidente come i decreti vengano scritti per lasciare aperte piccole porticine utili a mantenere un ritmo di cassa decente nei settori e nei contesti in cui il rischio di contagio può essere definito ragionevolmente basso, come una partita di tennis. Da un punto di vista globale, per garantire la sopravvivenza del maggior numero possibile di attività sul territorio nazionale, questa strategia è comprensibile. Come è comprensibile la ‘rabbia’ di chi, per sua sfortuna, si trovi a operare in settori le cui dinamiche di mantenimento di un’attività regolare comporterebbe rischi di contagio troppo alti, e dunque non accettabili a livello nazionale.

Circolo Tennis Siena (ph. Paolo Lazzeroni)

Insomma, ammettere la gabola della tessera agonistica che ‘vaccina’ consente ai centri medici sportivi di incassare i prezzi di una visita, alla FIT di guadagnare sulle tessere, ai circoli di guadagnare sulle ore di allenamento prenotate e (volendo allargare il discorso al massimo) anche i rivenditori di attrezzature sportive di continuare a battere qualche scontrino. Sorvolando sulla cosiddetta ‘invidia di settore’, in base alla quale chi è in difficoltà preferirebbe quasi trascinare chi se la passa un po’ meglio nel vortice della crisi, piuttosto che essere contento perché qualcuno in Italia ancora sopravvive, sembra davvero che il tennis possa uscire da questa brutta situazione meglio degli altri sport.

Il Mattino di Napoli ha stimato che il 2020 causerà la sparizione di 4000 società sportive in Campania e l’abbandono (si spera temporaneo) di circa 300.000 praticanti, un terzo dei tesserati totali; il tennis, invece, dovrebbe mantenere in piedi tutte le sue 174 società e intatta la base di praticanti. Sulle pagine de ‘La Stampa‘, il consigliere nazionale FIT Pierangelo Frigerio ha confermato un incremento dell’avvio di corsi tennistici invernali nel torinese: “Lo scorso anno fra Torino e provincia abbiamo avuto 3.160 allievi iscritti alle scuole tennis, adesso si registra un aumento di circa il 25% in quanto molti nuovi adepti arrivano dagli sport di contatto“.

Testimonianze ugualmente positive arrivano dalla Calabria, che proprio oggi diventa regione arancione, dove i circoli ipotizzano per le casse regionali della FIT introiti per svariate migliaia di euro in virtù dei nuovi tesseramenti, e dal Trentino Alto Adige; il Maestro Nazionale FIT e consigliere comunale Roberto Selle ha dichiarato che ‘un istruttore con quattro bambini può rispettare il distanziamento senza problemi‘ e per questo il tennis ‘dovrebbe essere uno degli ultimi sport a dover chiudere perché è oggettivamente molto sicuro‘. Il circolo storico della città di Matera, in Basilicata, racconta che sta riscontrando un rinnovato entusiasmo nella fascia d’età che va tra i 30 e i 50 anni, che di solito non è la più nutrita; i circoli tendono infatti a costruire i propri bilanci sulle gambe dei giovanissimi e su quelle dei più anziani, che trovano nel tennis uno sport ideale da praticare dopo i 60 anni.

Per tutti questi motivi, il tennis (quello amatoriale, almeno) sta riuscendo a trarre benefici da una crisi planetaria che rischia di protrarsi ancora per diversi mesi, in attesa di capire quale impatto avrà il vaccino sulle nostre vite e in particolar modo sulla pratica sportiva, il tema che qui ci interessa di più.