Lettere al direttore – Perché Roger Federer respinge l’idea del ritiro? Le frasi del padre d’un campione. La credibilità d’un cronista

Egregio direttore

Sul suo sito, qualche giorno fa veniva sviluppata una sorta di crono storia ” da Miami 2007 a Cincinnati 2018 come Djokovic ha vinto tutto“- Ma Nole non ha mai vinto il Master 1000 (denominazione corretta per gli anni 2005/2008) di Amburgo al quale ha partecipato almeno 3 volte raggiungendo al massimo la semi. Non ritengo quindi corretto affermare che Djokovic ha vinto tutti i Masters 1000 a cui ha partecipato nella sua carriera. Ma ha vinto tutti i Masters 1000 attualmente in essere. Il tennista che possa raggiungere questo risultato (vincere tutti i Masters 1000) potrebbe essere Nadal (che ha vinto Amburgo e tra l’altro ha vinto anche Madrid sul cemento- l’unica edizione sulla terra blu non mi pare giusto considerarla) in quanto dei master 1000 a cui ha partecipato mancano in bacheca solo Shangai e Parigi. Quindi Nadal in teoria potrebbe farcela il giovane Zverev per le sue qualità e per il fatto che 1/3 di percorso è già completato.

Michele Nannarone

Lei è molto preciso, ma anche l’ATP quando una sede di un Masters 1000 subentra a un’altra – come accadde a Essen quando subentrò a Stoccarda, o quando Tiriac ha “trasferito” il “suo” Masters 1000 dalla Germania alla Caja Magica di Madrid – segnala i Masters 1000 (anche se cambiano di superficie) con un unico albo d’oro, mettendo tutt’al più un asterisco laddove la sede sia cambiata.

Quindi è vero che Djokovic non ha mai vinto ad Amburgo e che ad essere precisi si dovrebbe scrivere, come lei suggerisce: “Ha vinto tutti i Masters 1000 attualmente in essere”. Però scriverlo comporterebbe dover dare ogni volta spiegazione del perché si scrive “attualmente in essere”. Dopo di che ogni volta si dovrebbe aggiungere una postilla per dire che poiché Amburgo non è più un Masters 1000  Djokovic quel Masters non lo ha vinto (pur avendolo giocato 3 volte…). Lo dovremmo precisare noi, l’ATP e tutti. Ogni volta. E se il Masters di Cincinnati quest’anno lo si gioca a New York…dovremo precisare vita natural durante che nel 2020 si è giocato a New York e non a Cincinnati, motivo per cui potrebbe risultare nell’albo d’oro un qualcuno che a Cincinnati non c’è mai nemmeno stato? O si dovrà anche precisare che il Masters 1000 di Cincinnati a New York non l’ha mai vinto nessuno salvo che uno? E quindi neppure Nadal e Zverev potrebbero – eventualmente – in futuro vantare il record?

Ove Nadal riuscisse ad aggiudicarsi i due Masters 1000 che non ha ancora vinto, o Zverev tutti quelli che ancora gli mancano – io temo che non abbiano più chances di…Djokovic che Amburgo 1000 non lo vincerà mai! – ne riparleremo e in quel frangente riferiremo quel che lei ci suggerisce. Ma forse una volta o due soltanto, non tutte le volte. Personalmente trovo invece un…abuso statistico quello che lei sembra voler fare quando dice di non considerare il torneo di Madrid giocato sulla terra battuta blu: anche se io non condivisi e non mi piacque l’esperimento, quel torneo si è regolarmente disputato e non può essere cancellato solo perché non piace a qualcuno. Grazie comunque della sottolineatura statistica e continui a seguirci.

Buonasera Direttore.

Mi sono avvicinato al tennis, “guardato” e poi giocato grazie anche ai “Quattro Moschettieri” della mia generazione, ossia Tommasi/Clerici/Lombardi/Scanagatta.

Sono del ’78, il primissimo amore tecnico, “ignorante” ma istintivo, è stato McEnroe, pur ormai a fine carriera, con me alla fine delle elementari. Quindi, il mio percorso “elettivo” ha detto Edberg, Sampras e Federer (col primo e soprattutto il terzo a prendermi proprio l’anima tennistica), pur riconoscendo l’enorme valore dei loro fenomenali rivali(Becker, Agassi…), su cui spiccano ovviamente i dominatori dell’ultimo quindicennio, ormai abbondante.

Voglio però qui esprimere tutto il mio disappunto nei confronti…del papà di quel meraviglioso giocatore che è Novak Djokovic il quale, oltre ad un gran tennis senza debolezze, ha spesso nella tenuta e solidità mentale le proprie armi vincenti. Il padre, a differenza del figlio, eccede spesso in sproloqui, per toni e contenuti.

Non sarò certo io a negare l’attuale superiorità di Nole sugli avversari né i suoi meriti negli anni, ma riconoscere un minimo di rispetto al signor Federer sarebbe dovuto, non trova?

Fabio Meda

Caro Fabio, non mi chieda di esprimerle un mio giudizio sul papà di Djokovic. Non intendo farlo. Le mie opinioni me le tengo per me. La sua richiesta mi offre però uno spunto di carattere…deontologico che, ma solo per questo e stando bene attento a non essere frainteso paragonando mele e pere, provo ad affrontare.

Fra i compiti di un giornalista accade spesso di dover prendere in esame i comportamenti dei tennisti. Dentro e anche fuori del campo. Per il “dentro campo” non ci piove, è compito del critico di turno sottolineare quanto accade: diritto di cronaca, seguito dalla “necessità-dovere” di esternare un’opinione a consumo del lettore e/o telespettatore il quale, ovviamente, è liberissimo di condividere o non condividere l’opinione del telecronista ma al tempo stesso, in quanto fruitore di un prodotto televisivo forse anche pagato (pay-tv o canone che sia) si attende in presenza di certi episodi –magari  non tutti – anche commenti non asettici. La credibilità del telecronista è sempre in discussione. Se esprime opinioni fondate, equilibrate, intelligenti, il più possibile obiettive e professionali,  verrà apprezzato e avrà un suo seguito. Altrimenti no.

Per quanto riguarda il fuori del campo molto dipende dal personaggio di cui si tratta. Se è un personaggio talmente noto e popolare da poter essere ritenuto “pubblico”, allora anche il “fuoricampo” del personaggio ha una sua valenza. Lo abbiamo potuto constatare nel caso dell’Adria Tour e di Djokovic. Nole, in quanto n.1 del mondo e ancora più in quanto presidente dei giocatori ATP, ha un ruolo più “pubblico” di altri, con diverse responsabilità rispetto a chi sia il n.250 e non rappresenti nessuno altro che se stesso. Quindi se, pur seguendo comportamenti ammessi legittimi e conformi alle regole di uno Stato che ritiene di disciplinare in maniera meno restrittiva di altri la situazione COVID-19, Djokovic ha ritenuto che le pratiche del distanziamento e delle mascherine fossero esagerate e ingiustificate, non è condannabile…ma resta eventualmente criticabile. Non è obbligatorio neppure criticarlo. Tanti, direi la maggior parte al di fuori della Serbia (e forse della Croazia) lo hanno criticato, altri lo hanno difeso.  Soprattutto quando c’è stato chi ha ecceduto. Avrete letto anche i pareri di Gilles Simon, di Patrick Mouratoglou, di Mats Wilander su questo sito, non solo quelli di Nick Kyrgios e con diverse sfumature critiche, di Tennys Sandgren, Dan Evans, Andy Murray, Stan Wawrinka, di Andrea Gaudenzi. Sono due cose assai diverse – va sottolineato con chiarezza – la condanna e la critica. Nole non può essere condannato se perfino il premier croato, o serbo, gli hanno dato il via libera e anzi lo ringraziano per quel che ha ideato e lanciato, ma può essere altresì oggetto di critiche da parte di chi – con più d’una ragione – gli imputa una certa leggerezza soprattutto per aver partecipato e diffuso atteggiamenti eccessivamente spregiudicati – la discoteca, i balli a torso nudo – quando nel mondo si continuano a registrare contagi e decessi (magari più in un posto che in un altro). E quando lui può rappresentare un esempio, un modello da seguire per via del ruolo che ha, dell’importanza che possono avere le sue esternazioni. Parlate e vissute. Nei Balcani e al di fuori di quei confini. Un supercampione che si drogasse, si ubriacasse, picchiasse un altro essere umano, farebbe molti più danni di un …Carneade semisconosciuto. Può non sembrare giusto ad alcuni, ma è così. Non siamo tutti uguali, nel senso che non tutti abbiamo la possibilità – nel bene e nel male – di scatenare lo stesso tipo di conseguenze, reazioni, imitazioni.

Ma, attenzione: il supercampione, che gode di attenzioni, mediatiche e non, privilegi e introiti enormi (sponsor etcetera) è un personaggio pubblico. I genitori del campione no.

Il campione non può permettersi eccessi di alcun tipo. E’ il rovescio della medaglia di tanti aspetti positivi.

I genitori del campione – invece – possono comportarsi meglio o peggio, possono anche essere “voci dal sen fuggite, poi richiamar non vale”, ma non è più compito del giornalista, del cronista, esprimere opinioni sul suo conto. Il cronista riferirà fatti, dichiarazioni, comportamenti in maniera asettica: il lettore, il telespettatore si farà una idea da quelli.

Ricordo che Rino Tommasi, citando i tanti casi di quei genitori deleteri (ma senza far nomi!) che lo inseguivano persuasi di aver dei figli campioni misconosciuti del tennis (dai maestri, dalla FIT, dalla stampa…”Dottor Tommasi, lei che se intende, venga a vedere come gioca bene mio figlio…” ) e che non li facevano respirare, che seguivano le partite dei figli nascosti dietro i cespugli per dare ogni genere di consigli …pronti a intervenire se un arbitro non faceva una chiamata buona per il figlio, diceva sempre  a proposito di una giovanissima e già promettentissima Lindsay Davenport: “Non abbiamo mai incrociato sui campi, nei tornei, i suoi genitori: è un ottimo segno! Ha molte più possibilità di diventare molto forte!”.

Di genitori che ne hanno combinate di tutti i colori, seguendo l’evolversi di figli tennisti, mai diventati forti, ce ne sono stati tantissimi. L’elenco sarebbe interminabile e impossibile da conoscere compiutamente. Semmai è stato possibile conoscere quelli di alcuni campioni e campionesse che hanno avuto “padri-padroni” denunciati da loro stessi: in quei casi, non sono stati i giornalisti a ergersi a giudici dei comportamenti dei padri. Sono stati i figli a rivelare presunte angherie. E’ il caso, emerso di recente, di Guillermo Perez Roldan a proposito del quale ho saputo che un network tv (ESPN?) sta approntando un film-documentario su cui al momento il giocatore deve rispettare una sorta di embargo. E in passato altri casi erano quelli legati a Mary Pierce, Jelena Dokic, Miryana Lucic, Aravane Rezai, Mike Agassi,  John Tomic….senza arrivare a Laura Lou Kunnen, campionessa degli anni ‘40 e ‘50, rivale di Little Mo Connelly, che ha vinto un processo contro il padre, Leslie Jahn, per stuproavvenuto quando lei aveva 13 anni.

Ma nessuno di questi casi è lontanissimamente paragonabile, minimamente confrontabile, con quello di papà Djokovic che si è lasciato andare a commenti su Roger che indignano i fan del campione svizzero ed evidentemente il nostro lettore. Ma è bastato riferirli perché hanno fatto il giro del mondo, evitando di  commentarli. Sono situazioni talmente diverse quelle citate per raccontare tutt’altre storie, per cui anche se il lettore milanese mi ha chiesto di esprimere un giudizio, trovo che non mi spetti assolutamente di intervenire.   

Gent.mo Direttore,

Ho letto articoli, reazioni e commenti vari sul recente stop forzato di Federer e relativo annuncio circa il ritiro da ogni competizione per la (mezza) stagione 2020. Ciò che mi ha colpito e fatto riflettere è stata la dichiarazione, non credo di circostanza, con cui lo stesso, come se avesse 15 anni in meno, fissa un suo certo rientro, indicando già tempi ed impegni futuri. Esulando dal caso di specie, mi ha sempre incuriosito l’aspetto mentale che porta molti grandi, affermati campioni (non tutti) a non voler mollare continuando o riprendendo una carriera che, su questo non credo vi siano dubbi, può solo aggiungere qualche numerica vittoria ma non certo ulteriore prestigio, rinnovata fama o più sostanzioso portafoglio.

Molti lo giustificano con il potere quasi ipnotico delle “luci della ribalta” altri con le sirene adrenaliniche della competizione, altri ancora, forse con maggior dose di ipocrisia, nel più generico “amore” per lo sport che, nel caso del tennis, appare oggi sempre più totalizzante (anche in senso negativo) . Credo occorra spingersi un po’ più in là: si vuol proseguire per sublimare ciò che sarebbe, seppur grandioso, comunque “terreno” e tramutarlo in “epica”? Come Achille ammettere, pur amando la vita e la terra dei padri, “ che è precluso il ritorno per avere gloria immortale”? C’è in questi grandi campioni -certamente egocentrici- l’ansia, il recondito desiderio, destinato a rimanere tale, di ribadire ora e per sempre che sarà il caso, a ritiro avvenuto, per la prima volta di non accostarli a nessun’altro e di ribadirne il loro essere davvero fuoriclasse? 

Lei che ne pensa? La ringrazio e le auguro buon lavoro

Leonardo Mazzara

Sono talmente tante le cose che non so…Che so di non sapere, avrebbe detto un signore molto meno preparato di me…tal Socrate. Lei chiede di esulare dal caso di specie, ma forse invece è sul caso di specie, cioè Roger Federer,  che soffermandocisi si può cercare di capire.

Un grande campione diventa tale quando ha una smisurata fiducia in se stesso. In ogni momento della propria carriera. Federer ha più di un motivo per averla, dal momento che fino a quando ha giocato è stato supercompetitivo ai più alti livelli. Due matchpoint falliti sul proprio servizio gli hanno sottratto nella finale di un anno fa il 21° Slam e il nono titolo a Wimbledon. Una finale persa non con Cilic o Nishikori, e neppure Murray, ma contro Djokovic, il n.1 del mondo. Il tennista fino a prova contraria più forte di tutti in quest’epoca più recente.

Federer è un fenomeno e sa di esserlo. Ha diritto a pretendere, con se stesso e con gli altri, di credere di poter continuare a esserlo ancora per un po’. Perché fondamentalmente è competitivo con se stesso, vuoi dimostrare a se stesso e agli altri che lui può riuscire in qualcosa che non è riuscito ad altri in tempi recenti (cioè dai tempi di Rosewall e Connors, due campioni eterni). Per via del suo tennis unico al mondo è legittimamente convinto di far meno fatica degli altri a giocare a tennis e quindi di poter reggere la concorrenza più agguerrita anche sulla soglia dei 40 anni. Del resto la sua convinzione è condivisa per prima  – e sinceramente direi – dai suoi stessi avversari. E da tutti i cosiddetti esperti, compresi quelli che lo davano per finito nel 2016, prima di assistere alla sua clamorosa resurrezione del 2017.

Il grande campione ha anche uno smisurato orgoglio e una ostinazione mostruosa, disumana, avversa alla resa, al lancio dell’asciugamano…che – a differenza che nella boxe dove a pensarlo e ad agire è il manager, l’allenatore – può decidere solo lui.

O forse – a sentir lui – anche Mirka. Certo più Mirka che Ivan Ljubicic o Severin Luthi.

Forse il suo agente Tony Godsick vorrebbe che Roger continuasse “ad aeternum”, ma non è detto neppure questo perché un fine carriera deludente potrebbe parzialmente – forse eh – appannare la sua aura di campionissimo. E riflettersi negativamente su future sponsorship (che premono più a un manager che non a un supercampione che ha sistemato 3 o 4 future generazioni di Federer dovessero anche i quattro gemelli prolificare ad abundantiam).

Finchè si discute di lui come GOAT, a dispetto di chi ritiene che Djokovic o Nadal possano insidiarne il diritto a fregiarsene, il suo mito reggerebbe anche se il gap fra i suoi head to head e il numero dei trionfi Slam peggiorasse un po’. Peggiorasse però tantissimo con due, tre anni di performances super-perdenti nei confronti dei due più storici rivali, un tantino quel mito si incrinerebbe. Inevitabilmente, anche se oggi può apparire impossibile.

Ritengo legittima, in conclusione, l’ambizione di Roger a non arrendersi all’anagrafe. Il fascino delle luci della ribalta? Non saprei, ma penserei di no, perchè Roger sa di essersele conquistate a vita, anche al di fuori di un rettangolo di gioco. Anzi le manterrebbe più vivide e brillanti se le lasciasse come ha fatto Flavia Pennetta, o anche Sampras (pur dopo un paio di anno preoccupanti), mollando quando ancora sulla cresta dell’onda. Io auguro a Roger Federer proprio questo, di continuare a giocare fino a quando sarà in grado di competere con i migliori del mondo, di smettere per tempo, di risparmiarci il dolore di esibizioni patetiche che, peraltro, oggi come oggi non riesco nemmeno a immaginare. Non potrà succedere da un momento all’altro. Arriveranno inevitabilmente più bassi che alti, ma se quegli alti ci saranno con una discreta frequenza, perché mai dovremmo toglierci il piacere di ammirarlo?

Egr. Direttore,

Buongiorno. Vorrei conoscere la Sua opinione, anche se posso intuirla, in ordine al fatto che Super Tennis non abbia (a meno di mie sviste delle quali mi scuso in anticipo) trovato il modo di trasmettere un solo incontro di Panatta. Nemmeno in occasione del suo compleanno  

Cordialmente 

Gian Luca Valenti Roma

Non seguendo Supertennis con troppa frequenza, non so se sia del tutto vero quel che lei mi segnala. A me pareva tempo addietro di aver visto registrazioni di vittorie di Adriano Panatta al Foro Italico. Con telecronache di Bisteccone Galeazzi. A volte, ma diversi anni fa, continuavano a mostrare una serie di mie interviste-ricordo su campioni degli Internazionali d’Italia: era venuta a casa mia, prima che la “dimettessero” senza alcun riguardo, Beatrice Manzani con un team di produzione televisiva. Poi qualcuno deve essere intervenuto per cassarne la retrasmissione. Peggio per loro, mi verrebbe da dire con una certa presunzione, ammetto. Peraltro ricordo quando su Supertennis veniva inquadrato l’allenatore di Soderling, l’odiato (in casa FIT) Pistolesi, e ai telecronisti (un po’ troppo proni, ma il cavallo va attaccato dove vuole il padrone fin quando non si acquisisce maggiore personalità e autonomia) veniva raccomandato di non citarlo anche se la telecamera si soffermava a lungo su lui. Meschine piccinerie…se è vero che Panatta, le sue volee in tuffo e la leggendaria “Veronica” di tommasiana memoria, non ce le fanno più vedere con premeditazione. Ribadisco: non so se sia vero. 

UN RINGRAZIAMENTO DI CUORE A UN TRIO…STARORDINARIO!

P.S. Chiudo questa rubrica settimanale ringraziando di cuore, un trio di straordinari appassionati e tennisti perugini, Paolo Antognoni e Corrado Andreani, entrambi ingegneri, e Mario Mattei, avvocato con una straordinaria preparazione sportiva,  che sono venuti fino a casa mia a Firenze per aiutarmi a non disperdere quello che considero un piccolo tesoretto che sarebbe andato altrimenti perduto. Centoventi videocassette in VHS (interviste ai campioni degli anni ’70, ’80, ’90 e 2000, telecronache di grandi match commentati con Rino, Gianni e Roberto) che si sono impegnati generosamente a riversare in un hard disc e poi in un Cloud. Credo che i risultati li vedrete fra non molto (un bel po’ ci vorrà però…) sul nostro Instagram e sui nostri altri social. Ancora più impegnativo sarà il lavoro da fare sull’infinito materiale cartaceo per digitalizzarlo. Libri, faldoni in ordine alfabetico con interviste, profili, ritratti, storie di centinaia di tennisti.  Semmai ci fosse fra i lettori qualche vero appassionato, quasi…“malato” deciso a entrare in un team di “bibliotecari-archivisti-digital nerds (e altro)” per farmi visita…gli prometto di riceverlo bene! Scherzi a parte, già un paio, forse tre collaboratori abituali di Ubitennis si sono offerti di darmi mano…ma se fossimo di più…meglio! Si distribuirebbe meglio il lavoro alleggerendolo a tutti.