Belgrado ignora l’epidemia (Semeraro). Quella favola sul tennis scritta da Kobe Bryant (Azzolini). Sinner riparte dall’erba di Berlino (Barana)
Belgrado ignora l’epidemia (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
L’importante, per Novak Djokovic, era ricominciare. Anche se in tribune le mascherine erano poche o nessuna, il distanziamento sociale inesistente, gli abbracci molti. E le polemiche inevitabili. Il numero 1 del mondo dopo tre mesi di quarantena è tornato in campo nella prima tappa dell’Adria Tennis Tour, che si gioca a Belgrado nel Novak Djokovic Tennis Center e di cui il serbo è anche organizzatore. Nei giorni scorsi la partitella a calcio fra tennisti, con baci e abbracci anche a Sascha Zverev e Dominic Thiem, che la prossima settimana sarà di scena anche a Nizza nell’Ultimate Tennis Showdown di Mouratoglou (e quindi rischia la figura dell’untore), e una conferenza stampa stipata come una scatola di sardine. Altro che Zoom e conference call. Prima del match Novak si è concesso a un il dj set in tribuna, per la felicità di grandi e piccini, e sul campo non ha faticato troppo per battere 4-1, 4-1 (si gioca con i set corti, come alle Next Gen Finals) il suo amico Victor Troicki. Il colpo migliore del match l’ha piazzato in realtà un raccattapalle, a cui Troicki ha ceduto (senza precauzioni) la racchetta e che ha infilato di rovescio il Fenomeno. Le immagini dello stadio farcito ma non sanificato nel frattempo hanno fatto il giro del mondo. In molti, compreso il New York Times, hanno puntato il dito. «Potete criticarci per questo e dire che è pericoloso», si è difeso Djokovic, apertamente contrario al vaccino e all’ipotesi di giocare a porte chiuse e con molte restrizioni gli US Open. «Ma non tocca a me dire ciò che è giusto o no per la salute. Stiamo seguendo le indicazioni del governo serbo. Credo che sia un messaggio positivo. E speriamo di tornare presto a girare tutti liberamente nel Tour». In Serbia ci sono stati finora 12.000 contagi e il Covid-19 ha fatto 252 morti. Il governo blandamente consiglia distanziamento e mascherine – allo stadio sono distribuire con il gel, ma quasi nessuno le usa – da quando sono state allentate le misure di sicurezza i contagi però sono tornati a salire. «Le situazioni sono molto diverse, è difficile pensare a un solo standard di sicurezza internazionale – ha tagliato corto Djokovic alla vigilia – Ovviamente si sono perse delle vite ed è terribile, qui come nel resto del mondo. Ma la vita va avanti, e noi atleti vogliamo tornare a competere». […]
Quella favola sul tennis scritta da Kobe Bryant (Daniele Azzolini, Tuttosport)
«La mattina del suo dodicesimo compleanno, Legacy Petrin si risvegliò proprio mentre stava sognando di giocare a tennis con una racchetta alata. Sbatté le palpebre, e si accorse di avere ancora il sorriso stampato sulle labbra. Per alcuni istanti si lasciò cullare, inseguendo le linee brune di una macchia sul soffitto, ma presto allungò la mano sotto il letto per tirare fuori la racchetta. Legacy l’amava più di qualsiasi altro oggetto avesse mai posseduto. Si sentiva se stessa solo tenendola in mano. La strinse, e avverti un rinnovato senso di calma diffondersi lungo il corpo. Quando si alzò e attraversò la stanza, portando con sé la racchetta e una palla da tennis ormai priva di pelo, le pietre sotto i piedi non le sembrarono più così fredde…». Game, Set and Magic. Con la firma del Mamba. La storia della piccola Legacy comincia da qui per poi dispiegarsi lungo le pagine di un libro di grandi e piccole magie, accurato nella scrittura e arricchito da splendidi disegni, moderni ma dai colori antichi. La protagonista vive nella periferia della capitale dell’incantato regno di Nova. Aiuta il padre nella gestione di un orfanotrofio in cui il gioco del tennis è lo svago condiviso da tutti i piccoli ospiti. Legacy si esercita ogni giorno contro il muro di pietra che fa da facciata allo stabile. È agile, svelta, propositiva, sempre molto attenta e impegnata. Un po’ Coco Gauff e molto Naomi Osaka, con il carattere invincibile di Serena Williams. Dunque bravissima, o forse di più, portentosa. Coi, quando Silla, regina di Nova, organizza un torneo in modo che i cittadini possano conoscere la Palace Academy, mettendo in palio un premio talmente ricco da garantire la sopravvivenza dell’orfanotrofio, Legacy non esita a scendere in campo per battersi contro avversari potenti, esperti di tennis e magie, che escogitano qualsiasi trucco pur di sabotarla, costringendola persino a domare un cavallo alato che soffia infocati sospiri dalle froge dilatate come la bocca di un obice. “Legacy and the Queen” è il libro. Dedicato ai bambini e molto apprezzato dalla critica. Non un best seller, ma quasi. Firmato dalla scrittrice Annie Mathew, è tratto da una storia ideata da Kobe Bryant, e ha una particolarità che assume il valore di un testamento, oggi che il gran pubblico del basket e tutto lo sport insieme non hanno ancora smesso di piangere l’idolo scomparso nella tragedia del 26 gennaio scorso, quando l’elicottero che conduceva a casa Kobe e la figlia di quattordici anni, si è schiantato con altre sette persone nella notte di Calabasas, una piccola città a ovest di Los Angeles. L’originalità dello scritto sta nella scelta tennistica operata da Kobe. L’amatissimo campione del basket ha scelto il tennis per regalare ai bambini una metafora sulla vita, sull’impegno che serve nell’affrontarla, sull’indispensabile dedizione e la necessaria forza d’animo, sui pericoli che determinano i percorsi più disagevoli, sulla condivisione del proprio ardore con le persone che più si amano. La piccola Legacy è la sua eredità. «E io vorrei tanto somigliarle», ha detto con il cuore Naomi Osaka. […] Nel giorno della scomparsa di Kobe, immerse nella bagarre più vorticosa di un grande torneo come gli Australian Open, non furono poche le giocatrici che rivolsero un pensiero all’idolo del basket, rendendogli omaggio allo stesso modo della sua giovane amica Coco Gauff, che proprio “Mamba Mentality” volle scrivere sulle scarpe con cui scese in campo, chiedendo al ricordo di Kobe, insieme, «il sostegno per i passi più difficili e la spinta per volare in alto il più possibile». Black Mamba la spiegava così: «La mentalità non riguarda un risultato da raggiungere a tutti i costi, quanto piuttosto il processo che conduce a quel risultato. Riguarda il percorso e l’approccio. È uno stile di vita. Penso che sia importante adottare questo metodo in ogni impresa». Sembra di sentire Rafa Nadal. I due non si sono mai conosciuti di persona, ed è curioso scoprire come abbiano dato vita a una delle frequentazioni più assidue che siano sbocciate fra campioni di sport tanto diversi. Il tutto per interposta persona. Pau Gasol.[…] «Ci sentivamo spesso con Kobe, in realtà senza sentirci mai», ha raccontato Rafa. «Faceva tutto Pau, mi riferiva ciò che Bryant voleva dirmi e poi gli esponeva i miei punti di vista. Era come un gioco, e ci tenevo tanto. Mi mancherà, come a tanti, come a tutti. La sua etica del lavoro è stata un’ispirazione. E quella resterà per sempre». Il libro di Legacy fu presentato il 3 settembre 2019. Una copia, quella sera stessa, venne consegnata all’albergo di Nadal, con il nome di Rafa scritto con lo stesso svolazzo della firma poco più sotto, sulla quale campeggiava un grande 24, il numero del Mamba. Fu Rafa il primo a riceverlo in regalo, quasi un trofeo in più in quella trasferta che cinque giorni più tardi gli consegnò la quarta vittoria sul cemento più democratico del tennis, quello degli Us Open. […] Il tennis del Mamba, oggi, è nel ricordo di chi lo ha conosciuto. Nella maglia numero 24 dei Lakers, indossata da un afflitto Nick Kyrgios prima di scendere in campo per affrontare Nadal a Melbourne, il giorno dopo la tragedia. Quella stessa maglia che, nella stessa giornata, tante persone fra il pubblico della Rod Laver Arena hanno infilato alla meglio sulle magliette, sulle felpe, sulle giacche, convinte da un silenzioso passa parola che quel tributo fosse doveroso. È nelle lacrime inconsolabili di Djokovic, mostrate senza pudore a fine partita. «Mi ha aiutato in un momento di grande difficoltà, ci siamo incontrati e parlati in più di un’occasione, e ha trovato sempre le parole giuste. Ho avuto la fortuna d’avere con lui un rapporto personale negli ultimi dieci anni. Un rapporto molto stretto che mi piace definire di amicizia». È nel racconto commosso di Roger Federer: «E’ stato terribile, un vero shock. Penso alla sua nobilissima figura di sportivo, e alla terribile perdita per le figlie, che Kobe amava moltissimo. Era la loro guida indispensabile». E’ nella lettera triste e affettuosa che l’amica più cara, Naomi Osaka, ha affidato ai social. «Caro fratellone, grazie per aver ispirato persone ovunque, tu non hai idea di quanti cuori sei riuscito a toccare. Grazie per essere stato così umile e non aver mai agito per la grande persona che sei. Grazie per esserti curato di me e aver controllato come stavo dopo le sconfitte più dure. Grazie per avermi mandato messaggi del tutto inaspettati, chiedendomi “tutto ok?; perché tu sai quanto complicata sia, a volte, la mia testa. Grazie per avermi insegnato così tanto nel poco tempo in cui sono stata fortunata abbastanza da averti conosciuto. Grazie per essere esistito. Sarai per sempre il mio grande fratello, il mio mentore, la mia ispirazione. Ti voglio bene».
Sinner riparte dall’erba di Berlino. Esibizione in luglio tra i Top Ten (Francesco Barana, Corriere del Trentino)
Conta i giorni, Jannik Sinner. Nel buen retiro di Montecarlo l’enfant prodige pusterese (73 Atp) nei giorni scorsi si è allenato con Stefanos Tsitsipas, numero 6 del mondo. Ma è la partita che manca a Jannik, che tornerà in campo tra un mese, dal 13 al 19 luglio a Berlino prima sull’erba dello stadio Steffi Graf (13-15) e poi sul cemento dell’hangar dell’ex aeroporto di Tempelhof (17-19). Saranno match esibizione, però di lusso, perché Sinner incrocerà due top-ten, il 3 del mondo Dominic Thiem, il sette Atp Alexander Zverev, e l’australiano Nick Kyrgios (40 Atp). Al tabellone si è aggiunto nei giorni scorsi Tommy Haas, oggi 42enne, ritiratosi tre anni fa. L’esibizione berlinese conferma la dimensione internazionale di Sinner ed è propizia per riprendere il filo con l’agonismo in vista della ripartenza del tour. Il suo coach Riccardo Piatti ha fatto sapere che Jannik parteciperà a tutti i tornei più importanti del nuovo calendario, sia sul cemento che sulla terra rossa, quindi gli slam Us Open e Roland Garros e i Master 1000 di Cincinnati, Madrid e Roma. Domani potrebbe essere comunicato il calendario ufficiale: è probabile che si ritorni a giocare ad agosto a New York sul veloce, prima con il 1000 di Cincinnati (quest’anno spostato in via eccezionale nella Grande Mela), forse dal 17, poi a seguire l’Us Open. Da settembre si recupera la stagione sul rosso di primavera: si dovrebbe cominciare con Madrid, poi dal 21 gli Internazionali d’Italia a Roma e a ruota il Roland Garros a Parigi. Sinner sul piano tecnico punta tanto sul cemento americano: gli Us Open, per sua stessa ammissione, sono lo slam preferito e da fresco maggiorenne l’anno scorso a Flushing Meadows centrò la sua prima qualificazione in uno slam e fece poi soffrire Wawrinka al primo turno. Su Sinner ha avuto parole dolci Borna Coric, il croato 33 del mondo che fino all’anno scorso si allenava con Jannik e Piatti a Bordighera. Coric, in diretta social con Ubaldo Scanagatta, velatamente ha ammesso di essersi allontanato da Piatti perché il maestro comasco era ormai concentrato su Sinner: «Piatti non poteva dedicarmi il suo totale impegno». Eppure sul pusterese, lo stesso Coric ha espresso grandi apprezzamenti: «Fino al 2018 credevo fosse un giocatore come tanti, ma l’ultima volta che mi sono allenato con lui, nell’aprile dell’anno scorso, ho notato subito che aveva fatto dei progressi incredibili in pochissimo tempo. Ora ha un gioco molto potente, colpi penetranti, caratteristiche fondamentali nel tennis moderno».