Il tennis e il paradosso del 4 maggio: proviamo a fare chiarezza
“Divenendo sempre più difficile il supplire all’esigenze dolorose della circostanza, era stato, il 4 di maggio, deciso nel consiglio de’ decurioni, di ricorrer per aiuto al governatore”. No, non è un passaggio del nuovo DPCM sul Coronavirus né una delle sue leggendarie FAQ (la cui omofonia con una certa parola inglese ha un retrogusto amaro) scritte, cancellate, poi rimesse online. È l’inizio del capitolo XXXII de ‘I Promessi Sposi’, nel quale Manzoni racconta la richiesta d’aiuto di una Milano devastata dalla peste al governatore Ambrogio Spinola, che risponderà con manifestazioni di profondo dispiacere e la promessa di alcuni vaghi provvedimenti, mai messi in pratica.
La coincidenza con la situazione attuale impostaci dall’emergenza coronavirus è piuttosto sinistra, invero a ogni latitudine ma ci limitiamo a considerare le implicazioni sul tennis. Il decreto governativo che entrerà in vigore da lunedì 4 maggio ha aperto qualche spiraglio all’attività sportiva individuale e il tennis, definito lo sport più sicuro da un report del Politecnico di Torino, ha provato a trarne vantaggio per ripartire prima degli altri. La FIT ha strappato un permesso d’allenamento per tutti gli atleti di prima e seconda categoria e per i tennisti Under 16, 14 e 12 di interesse nazionale convocati nei CPA (Centri Periferici d’Allenamento) federali. Secondo un conto ufficioso della Gazzetta dello Sport si tratta di circa 5000 atleti, una stima verosimile aggiungendo gli under ai 4075 nomi restituiti dalla ricerca che abbiamo fatto sul sito FIT.
Il problema, mica piuttosto banale, è che questi atleti avrebbero bisogno di un posto in cui giocare a tennis. Se da un lato dal 4 maggio sono concessi gli allenamenti individuali, dall’altra non è stata disposta ufficialmente la riapertura dei centri sportivi. Da qui i protagonismi regionali, identificabili principalmente nella decisione della Sicilia di riaprire i circoli e dell’Abruzzo, che tramite un’ordinanza piuttosto contorta ha autorizzato la pratica del ‘tennis singolo’ senza parlare apertamente di circoli ma vietando soltanto di ‘avvalersi delle strutture ad uso comune quali spogliatoi, bar interni, docce’. Aggiungiamo anche il Veneto, sebbene il presidente del Comitato regionale FIT, Mariano Scotton, abbia dovuto precisare che la decisione riguarda solo gli atleti autorizzati dalla FIT. Tra le FAQ – aridaje – del sito ufficiale della regione si legge che “i centri sportivi sono chiusi in relazione alle attività di aggregazione. Laddove sia rigorosamente esclusa ogni forma di compresenza aggregata, si svolge una attività motoria che è consentita“.
Sono in pratica tre regioni su venti: una ha disposto una vera riapertura, altre due una riapertura a metà. Nelle altre diciassette regioni, nonostante la pressione degli atleti – sembra paradossale ripeterlo, ma in questi mesi il paradosso sembra la normalità: gli atleti dove dovrebbero allenarsi, se i circoli non riaprono anche solo parzialmente? – le amministrazioni regionali e i presidenti dei circoli non intendono prendersi responsabilità scavalcando di fatto il provvedimento nazionale. Ce lo conferma il presidente del Park Genova, Paolo Givri, che abbiamo raggiunto telefonicamente: “Stiamo valutando perché gli atleti spingono per giocare. Però ad oggi nessuno ci ha autorizzato ad aprire e fino a quando non vengono emesse le linee guida previste dal primo articolo del DPCM del 26 aprile, non ci sentiamo di farlo“. Abbiamo tastato gli umori di altri circoli italiani e l’indirizzo rimane lo stesso: in assenza di tutele normative nazionali, o anche solo regionali – soggette però al pericolo della diffida governativa – nessuna struttura sportiva può prendersi la responsabilità (civile, legale, morale) di riaprire.
Il presidente Angelo Binaghi, intervistato da Giorgia Mecca per Il Foglio, ha parlato di ‘usare i presidenti dei club come persone incaricate di controllare il rispetto delle norme di sicurezza‘, auspicando una responsabilizzazione di dirigenti sportivi e operatori. Un appello che i gestori delle strutture sportive sembrano aver già recepito.
Intanto in tarda mattinata è filtrata una circolare attuativa del Ministero dell’Interno, che ha lo scopo di fornire alle forze dell’ordine le linee guida per far rispettare le norme sul territorio. Questo è il passaggio che interessa il tennis.
Nella circolare viene precisato che dal 4 maggio sono consentite le sessioni di allenamento a porte chiuse per gli atleti di interesse nazionale di discipline sportive individuali. Pur senza una chiara concessione, questo comma può essere interpretato come un avallo dell’attività dei prima e seconda categoria all’interno dei circoli – chiusi comunque al pubblico.
Il paradosso e l’aleatorietà, però, rimangono. In attesa del prossimo checkpoint del 18 maggio, data entro la quale secondo il ministro Spadafora potrebbe arrivare l’ok del comitato scientifico per riaprire le strutture sportive, non possiamo fare a meno di riscontrare la scarsa trasparenza degli step decisionali del governo. Autorizzare la ripresa degli allenamenti per 5000 atleti senza occuparsi in alcun modo dell’identificazione e della messa in sicurezza dei luoghi in cui questi allenamenti dovrebbero svolgersi, e anzi costringendo i circoli stessi a chiedere – meglio: elemosinare! – chiarimenti alle autorità, denota che non esiste una linea programmatica. A meno che la linea non sia attendere che i seconda categoria trovino una nuova routine negli allenamenti per strada, o chessò, sui tetti.