Uno contro tutti: Nastase e Newcombe

Nell’estate del 1973, il concetto di computer non era lontanamente assimilabile a quello odierno. Basti pensare che l’Intel 8008, uno dei primi esemplari di microprocessori, aveva appena un anno di vita e solo da qualche mese aveva trovato applicazione pratica su larga scala. Ebbene, è in questo contesto che l’ATP, il 23 agosto 1973, fece uscire la prima classifica computerizzata. Anche se forse, al momento, non tutti furono in grado di coglierne l’importanza, quello fu uno spartiacque nella storia del tennis. Avvalendosi, come ricorda Luca Marianantoni nel suo libro ATP Story, di un cervellone elettronico prodotto nientemeno che da una compagnia aerospaziale, l’associazione dei tennisti fece esaminare dati e risultati di tutti i tornei giocati nell’anno in corso e parte di quello precedente. Al termine di questa laboriosa operazione – che l’ATP promise si sarebbe ripetuta con cadenza settimanale anche se poi ci vollero diverse stagioni per arrivare a regime – venne stilata una lista composta di 186 nomi. E il primo della lista risultò essere Ilie Nastase.

La classifica non era fine a se stessa, ma aveva il compito di regolamentare la presenza dei giocatori nei diversi tornei, che fin lì era avvenuta seguendo criteri di pura discrezionalità. In realtà, nel ’73 l’organizzazione del tennis a livello mondiale dipendeva ancora da diversi organismi, ciascuno dei quali portato a scontrarsi con gli altri, più che a collaborare. Proprio quell’anno, per citare l’esempio più calzante a livello temporale, la stessa ATP aveva mostrato i muscoli a sostegno dello jugoslavo Pilic nella diatriba con la federazione del suo paese e ben 83 dei suoi iscritti avevano disertato Wimbledon, ovvero il torneo più importante e famoso di tutti. La questione, se vogliamo, si risolse con una sorta di pareggio; da un lato il sindacato mostrò fermezza e coesione, dall’altro la Federazione Internazionale (che gestisce i quattro Slam e la Coppa Davis) scongiurò il fiasco di un torneo senza stelle grazie al pubblico inglese, che gremì ugualmente gli spalti, e a un vincitore, il cecoslovacco Jan Kodes, che non era proprio uno sconosciuto, avendo già vinto due edizioni del Roland Garros.

Tuttavia, il caos di sigle dal quale cercava di districarsi il tennis a metà degli anni settanta non aiutava certo a creare quei parametri utili a classificare e ordinare i giocatori e stabilirne il valore. L’avvento del World Championship Tennis, un ricco circuito alternativo a quello tradizionale con tanto di Finals che si svolgevano in Texas, pur dilatando lo spettacolo, accrebbe la confusione e di conseguenza anche i primi anni del nuovo sistema computerizzato per stilare le classifiche necessitò di un rodaggio. Così, anziché ogni settimana, all’inizio ci si dovette accontentare di pubblicazioni periodiche con cadenza praticamente mensile fino al 1975 e solo nel 1980 si centrò l’obiettivo.

Paradossalmente, il più scontento di questa novità fu proprio lo stesso Nastase che, dei suoi avversari, ebbe a dire: “Finora, quando mi affrontavano giocavano contro Nastase, uno come tanti altri; adesso giocano contro il numero 1 e di conseguenza hanno molti più stimoli!”. Per quanto il rumeno abbia fatto dello spettacolo – anche verbale – l’anima del suo tennis, il ragionamento in sé non fa una grinza. Quell’anno Nasty aveva dominato la stagione sulla terra rossa, da Barcellona a Roma passando per Monte Carlo, Madrid e il Roland Garros e vincendo 40 partite su 41; l’unico a batterlo, in quello scorcio di stagione, fu Adriano Panatta nella finale di Bournemouth.

Adriano Panatta

L’unico fallimento, sull’erba però, arrivò a Wimbledon, dove vestiva i panni del favorito anche grazie al boicottaggio di quasi tutti i migliori. Sarebbe stato il momento di prendersi ciò che Stan Smith, un anno prima, gli aveva negato al termine di una emozionante finale chiusa al quinto set, ma Nastase sciupò tutto fermandosi addirittura agli ottavi per mano di Sandy Mayer, uno statunitense che raggiungerà il suo best-ranking quasi un decennio più tardi (7°) e che non riuscirà mai a battere un numero uno in undici tentativi. Il passo falso londinese, tuttavia, non ingannò il computer che, come detto, incoronò il rumeno il 23 agosto, alla vigilia degli US Open.

In attesa di convertire i suoi accidentati campi dall’erba – sulla quale, disse Laver, avrebbero potuto rischiare di inciampare anche le mucche – all’Har-Tru (o terra verde), a Forest Hills si giocava ancora sul prato e Nastase era il campione in carica. Il primo incontro ufficiale da n°1, il rumeno lo giocò contro Humprey Hose, un venezuelano nato a Curaçao, e si trattò di una comoda vittoria per 6-4/6-4/6-3. Ma al secondo turno arrivò, inattesa, la sconfitta. In vantaggio di due set, Nastase si fece recuperare e perse 6-4 al quinto con Andrew Pattison, tennista della Rhodesia che l’anno dopo vincerà non senza sorpresa a Monte Carlo, peraltro battendo di nuovo Ilie che stava ancora sul trono dell’ATP.

Il regno di Nastase dura in tutto 40 settimane e 90 incontri, esattamente fino al 3 giugno 1974. In questo periodo, la sua bestia nera è Tom Okker, l’olandese volante che lo batte in cinque sfide dirette su otto. Okker, rapido di gambe e pregevole nei pressi della rete, è forse un po’ leggero ma è ancora un’epoca in cui l’abilità prevale sulla potenza e il suo eccellente top-spin gli consente di ottenere successi significativi anche sul rosso. Pur sconfitto in più occasioni, Nastase si aggiudica però il match più importante, ovvero la finale del Master che quell’anno si gioca in un’atmosfera surreale all’Hynes Auditorium di Boston. Al posto di Okker avrebbe potuto esserci Newcombe, ma proprio in semifinale contro l’olandese il baffo deve ritirarsi dopo aver conquistato il match-point perché ricadendo dallo smash vincente con cui ha chiuso il punto si è infortunato alla schiena e ha dovuto abbandonare il campo. Il giorno della finale, lo sciopero in blocco dei giudici di linea costringe gli organizzatori a trovare i sostituti tra il pubblico e l’episodio aiuta l’istrionismo di Nastase, campione tra i maestri per la terza volta consecutiva.

Tra i tredici tennisti capaci di battere Nastase quando è stato numero 1 c’è anche un italiano: Corrado Barazzutti. Il friulano ha appena ventun’anni quando riesce nell’impresa, nei quarti di finale del torneo di Monaco di Baviera, recuperando da una situazione ormai compromessa e imponendosi alla distanza per 3-6 7-6 6-1. È il 17 maggio 1974 e sono passati solo quaranta giorni da quando, nella stessa città ma sul tappeto sintetico del torneo valido per il WCT, il rumeno ha perso con il sudafricano Robert Maud, che è n.79 ATP proprio come lo era Pattison a Forest Hills. Sono, questi, i giocatori con più bassa classifica ad aver sconfitto Nastase, il cui regno è agli sgoccioli. Il titolo a Bournemouth e la finale a Roma non bastano a tenerlo sullo scranno e il 3 giugno, in concomitanza con l’inizio degli Internazionali di Francia, il suo posto viene preso da un australiano che però diserterà Parigi. Nastase chiude la sua esperienza da primo giocatore del mondo dopo quaranta settimane con il 79% di incontri vinti (71-19) e 12 finali giocate (6-6) nei 24 tornei disputati.

John Newcombe

Dunque, per vedere all’opera il nuovo numero uno mondiale si deve attendere la stagione sull’erba. Sì perché John Newcombe, come tanti suoi connazionali, non ama particolarmente la terra rossa e diventa numero 1 del ranking ATP senza giocare. Il baffo di Sydney, infatti, ha messo in saccoccia parecchi punti da febbraio a maggio giocando sul duro e sul sintetico dei vari appuntamenti WCT (tra cui le finali al Moody Coliseum di Dallas) e, quando Nastase non è riuscito a confermare i suoi sul rosso, il sorpasso è avvenuto di conseguenza. Come detto, però, Newcombe diserta Parigi e rientra nel circuito a Nottingham, dove evita per il rotto della cuffia di esordire da leader con una sconfitta.

Charlie Pasarell, quello che detenne a lungo – insieme all’avversario Pancho Gonzales – il record per il più lungo incontro nella storia di Wimbledon, si arrende solo 9-7 8-9 8-6 ma l’appuntamento per Newcombe è solo rimandato di un paio di turni perché negli ottavi cade per mano di Roscoe Tanner. A Wimbledon, torneo che ha vinto la prima volta quando ancora non aveva i baffi (1967) per poi concedere bis e tris nel 1970 e 1971, Newcombe è in cima al tabellone e supera di slancio i primi quattro turni senza perdere alcun set. Nei quarti gioca contro il n° 109 del ranking e sulla carta non dovrebbe esserci partita ma in questo caso si può ben dire che il computer non conosce il tennis in quanto si tratta di Ken Rosewall.

Sia pur avviato verso i quaranta, Rosewall è scivolato in classifica a causa della prolungata inattività ma il suo tennis è ancora di primissima qualità, soprattutto sull’erba. Per la terza volta, nell’Era Open, i due si affrontano a Wimbledon e in precedenza ha sempre vinto Newcombe (6-1 al quinto la finale del ’70, molto più nettamente la semifinale dell’anno seguente) ma questa volta ha la meglio Rosewall al termine di un incontro dall’andamento strano: 6-1 1-6 6-0 7-5. Newcombe chiude così la sua breve permanenza sul trono dell’ATP: otto incontri disputati, di cui sei vinti, in otto settimane. A Wimbledon intanto Rosewall si spinge fino alla finale, dove però non può nulla contro il nuovo fenomeno del tennis mondiale, colui che rimarrà sul tetto del mondo quasi ininterrottamente per quasi cinque anni. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.