Qual è la linea? (Azzolini). I magnifici cinque tricolori non cedono neanche un set (Ambu)

Qual è la linea? (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Le porte chiuse di Cagliari hanno avuto un merito in più, quello di spalancare i cancelli del tennis ai dubbi e alle molte domande in attesa di risposta. Sì, cari tennisti, il Coronavirus è in agguato, maligno e furtivo, invadente e devastante, e l’allarme vale anche per voi, che molto viaggiate, e molti e diversi lidi frequentate. Chi se n’è reso conto, ha dato voce ai pensieri. Se ci mettono in quarantena, che senso ha muoversi per un torneo che forse non ci faranno mai giocare? Fra i pochi, Fabio Fognini è quello che si è esposto di più. Ha messo il problema davanti agli occhi di tutti e ha cercato una risposta per vie dirette, chiamando al telefono prima il presidente dell’Atp Andrea Gaudenzi poi il direttore del torneo in California, Tommy Haas. Che succede al nostro arrivo a Indian Wells? Niente di che, sembra sia stata la replica, a patto che non abbiate la febbre alta. ll discrimine per la partecipazione, dunque, è sotto la soglia dei 37,5 gradi. Oltre, si va in quarantena. Per quanto esiguo, comunque un punto di partenza. La verità? Servono decisioni univoche, linee guida comuni. Disposizioni in materia di tennis ai tempi del Covig19…

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Si stanno creando situazioni troppo dissimili fra loro, per non risultare discriminanti. Sabato l’Italia ha festeggiato la vittoria sulla Corea del Sud quasi in forma privata, di fronte a spalti vuoti, fra gli “olé” di pochi amici. Ed è stato giusto così. Ieri, a Lione, che dista poco più di duecento chilometri dalla frontiera italiana e 306 da Torino, si è festeggiato il secondo titolo 2020 della Kenin (gli Australian Open, il primo) davanti a un pubblico numeroso, ben stipato sulle tribune del Metropole. La differenza saltava agli occhi, tanto più che la Francia non è davvero un Paese in cui l’allarme non sia già più volte risuonato. È a un passo dai mille contagiati e il conto delle vittime è salito a sedici. Ma a Lione non hanno cambiato nulla.

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Guai pensare che sia tutto un brutto incubo, o peggio, un’esagerazione. Al momento però decidono solo gli organizzatori, e per fortuna a Indian Wells non hanno perso tempo. Fra i tanti, il problema della partecipazione dei giocatori è in cima alla lista. Proibire è facile, ma è giusto chiedere che si proibisca solo a ragion veduta, oppure per tutti. Il tennis è una carovana nomade e multiforme, che di settimana in settimana cambia il proprio aspetto e le gerarchie, riunendo in una classifica maschile e una femminile i risultati ottenuti in tornei fra loro lontanissimi e giocati nelle condizioni più diverse. Permettere ad alcuni di giocare e ad altri no, farebbe saltare il banco. Dunque, se non è possibile rispettare le regole stesse del tennis, è bene che qualcuno decida di fermare la carovana. Sotto questo aspetto, è probabile che Indian Wells finirà per dettare i tempi e i modi dell’ingresso definitivo del tennis nell’era del Covig19. In colpevole ritardo: quando ancora gli Australian Open di gennaio erano di là da venire, il Coronavirus aveva cominciato a mostrare il proprio volto. Su Indian Wells si poseranno gli occhi di tutti gli organizzatori impegnati con i loro tornei nei mesi a venire. Quelli di Miami, che segue a ruota. Poi Monte-Carlo, Barcellona, Madrid, Roma, e Parigi. Quanto potrà durare ancora l’allarme? Nessuno lo sa Dunque è bene varare disposizioni a lunga scadenza, e avere la forza di renderle più restrittive se dovessero spuntare i primi casi di contagio fra i giocatori. Indian Wells apre le porte da oggi, con le qualificazioni, le disposizioni per il pubblico prevedono sia la restituzione dei soldi, sia un’attenzione particolare alle condizioni igieniche. Tutto, dicono, è stato risanato, disinfettato, igienizzato. Disposizioni che è facile prevedere ritroveremo anche nei tornei europei.

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I magnifici cinque tricolori non cedono neanche un set (Stefano Ambu, Nuova Sardegna)

Chissà se Cagliari porterà fortuna anche a lunga distanza: al di là di come andranno le cose alle Finals di novembre il passaporto di accesso a Madrid porterà comunque il timbro della Sardegna. Ecco un po’ di numeri legati alla sfida dello scorso fine settimana sui campi in terra rossa di Monte Urpinu. Nove. Sono le volte in cui la Coppa Davis maschile è passata per l’isola. E nove sono i successi collezionati dagli azzurri. Sei volte a Cagliari. Prima del trionfo sui malcapitati coreani vanno segnalati in ordine di tempo il 5-0 all’Ungheria con Nicola Pietrangeli e l’italo-australiano Martin Mulligan nel 1968, il 3-1 al Cile con Claudio Panatta, Francesco Cancellotti e Gianni Ocleppo nel 1985, il mitico indimenticabile 3-2 alla grande Svezia di Wilander con Paolo Canè, Omar Camporese, Diego Nargiso e Caudio Pistolesi, nel 1990 e, ancora, il 3-2 alla Georgia con Alessio Di Mauro, Andreas Seppi, Massimo Bertolini e Giorgio Galimberti nel 2004 e, infine il 4-1 alla Slovacchia con Fabio Fognini nel 2009. Ma la buona sorte ha accompagnato gli azzurri anche nelle sfide di Sassari nel 1999 (3-2 contro la Finlandia) Alghero nel 2007 (4-1 sul Lussemburgo) e Arzachena nel 2011 (successo sulla Slovenia per 5-0).

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Cinque i giocatori che Barazzutti si potrà portare dietro per la missione a Madrid. E otto invece sono i giocatori italiani nella top cento della classifica Atp, che mette in fila i migliori giocatori al mondo.

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Porte aperte saltate solo per una questione di ore: il decreto sulla chiusura al pubblico di tutte le manifestazioni sportive è arrivato proprio la notte prima del sorteggio. Proprio la cerimonia della composizione del tabellone ha inaugurato l’applicazione delle nuove disposizioni: sedie in sala sistemate a oltre un metro di distanza l’una dall’altra. Disposizioni rigidissime anche per stampa e staff delle nazionali in tribuna: due poltroncine vuote tra un posto e l’altro.

(…) Zero i set lasciati alla Corea del Sud nella sfida del Campo centrale di Monte Urpinu a Cagliari.

(…) Fognini e compagni hanno risposto non lasciando nemmeno un set agli avversari nelle quattro partite disputate. I coreani hanno avuto modo di aggiudicarsi solo sedici games contro i 49 degli azzurri.