La (s)piacevole stranezza di Buenos Aires: la terra ‘più lenta del mondo’ cerca top player
C’era Gabriela Sabatini a premiare Casper Ruud, il ventunenne di Oslo che domenica, in un sol colpo, ha alzato a Buenos Aires il suo primo trofeo ATP ed è diventato il miglior tennista norvegese di sempre, superando il padre Christian. E ci piace immaginare l’invidia del babbo, non tanto per il risultato raggiunto (quello è semmai motivo di orgoglio), quanto per la presenza nella cerimonia finale al fianco di Casper di Gabriela, che proprio negli anni adolescenti di Christian Ruud ha raggiunto il massimo splendore – splendore tennistico, ovviamente, quello estetico è ancora intatto.
A questa luccicanza, si aggiungono le infinite emozioni del quarto di finale fra Diego Schwartzman e Pablo Cuevas, il più lungo della storia del torneo, con match point annullati, ribaltamenti di inerzia, il povero arbitro pure lui stremato che, forse, immagina cose (Cuevas che avrebbe interrotto il gioco), l’infortunio all’adduttore di Diego che, novello karate kid, va a vincere colpendo forte senza potersi appoggiare sulla gamba sinistra. Eppure, non è stato il torneo che gli organizzatori si aspettavano; e, sì, il senso negativo che tale frase solitamente suggerisce è quello appropriato anche in questo caso. Lo rimarca Martín Hughes dell’azienda Tennium (socio maggioritario dell’Argentina Open e anche proprietaria del torneo di Anversa) in un’intervista al quotidiano La Nación: “ È stato un torneo strano, diverso, con una sorpresa dopo l’altra”.
I due attesissimi top ten, Dominic Thiem e Matteo Berrettini, hanno dato forfait prima dell’inizio del torneo e, con loro, Cristian Garin e Fernando Verdasco. Il numero 2 del tabellone, Guido Pella, è uscito ai quarti di finale, Schwartzman ha dovuto rinunciare alla semifinale a causa del citato strappo muscolare (molto piccolo, invero, ma non poteva certo rischiare di peggiorarlo) e nessuno degli otto argentini è arrivato all’ultimo atto, con due protagonisti che non erano proprio quelli sperati. “Tutto quello che è successo non ha danneggiato gli affari, ma di certo l’allegria delle persone, del pubblico. Se Londero fosse arrivato in finale, sarebbe stato di aiuto. Quasi ce la faceva” si rammarica Hughes pensando al Topo che in semifinale si è spento a un game dalla vittoria. Ed è andata anche bene che Pedro Sousa sia sceso in campo benché anch’egli afflitto da un problema muscolare – un po’ perché una contrattura comporta un po’ meno rischi, un po’ perché, parole sue, “la mia prima e forse ultima finale in carriera, figuriamoci se mi ritiravo!”.
Una semifinale non disputata e la finale a rischio fanno riflettere Hughes: “Questo ha messo a nudo una zona grigia. Bisogna fare qualcosa. Saremmo rimasti senza finale se Sousa non avesse potuto giocare. Un danno per il torneo, il pubblico, le aziende, il Paese, per tutti. Ora c’è un nuovo presidente ATP [Andrea Gaudenzi], con altre idee. Kristoff [Puelinckx, fondatore di Tennium], lo ha incontrato, hanno parlato di alcune cose”.
Perché Buenos Aires deve affrontare le classiche sfide dei tornei di categoria “250”: mantenersi attrattivi per pubblico e sponsor nonostante l’assenza di quasi tutti i top player (e non parliamo dei Big 3), cercando appunto di accaparrarsi qualche nome di prestigio in quella che diventa una competizione serrata con gli altri eventi di pari livello. “L’unico modo di proteggere un ATP 250” continua il manager di Tennium “è comprendere l’importanza che ha per il Paese e, per farlo, occorrono purtroppo i soldi. Bisogna dire ‘sosteniamolo ancora un poco di più’. E non garantirsi solo un paio di giocatori, ma puntare a quattro o cinque; poi, se ce ne restano tre, sarà un torneo impressionante. Ciò genererebbe un impegno economico in anticipo che alcuni Paesi hanno. Forse il governo dovrebbe garantire un appoggio a questo sport”. Un appoggio evidentemente maggiore di quello attuale, visto che il governo nazionale e il Comune già sostengono economicamente il torneo. “Non è una spesa, ma un investimento”.
Per quanto riguarda la prossima edizione, ci sono anche altri aspetti su cui pensa di intervenire Tennium, che tra l’altro organizzerà l’ATP 500 di Barcellona dal 2021. “Dobbiamo discutere con chi trasmette il torneo. È una mancanza di rispetto per il pubblico dover stare seduti al sole e non possiamo costruire un tetto” spiega ancora Hughes dopo che sia sabato sia domenica il gioco è stato interrotto per soccorrere qualcuno che si era sentito male sulle gradinate. “È troppo lo sforzo che facciamo perché la gente passi una bella giornata, non possiamo cadere sul problema del caldo quando non c’è motivo. Non si può giocare nel primo pomeriggio in estate”. Gli spettatori della settimana sono stati 41.109, un incremento rispetto ai 35.800 dello scorso anno, ma ancora lontani dai 44.922 del 2018. I problemi dei ultimi due giorni – una semifinale cancellata, una finale che non era quella per cui il pubblico aveva pagato, il caldo – hanno certamente influito negativamente sui numeri. “Un bilancio strano ma positivo” dice il rappresentante di Tennium, consapevole dell’impossibilità di controllare qualsiasi evenienza pur avendo lavorato bene.
VERSO IL CEMENTO?
Un altro tema, ricorrente a proposito della gira sudamericana come pure della parentesi “rossa” nell’Europa del dopo Wimbledon, è il cambio di superficie dalla terra battuta al duro. Con l’ATP 500 di Rio che, eventualmente, darebbe una spinta inevitabile in quella direzione, l’idea non è scartata a priori da Hughes, che tuttavia fa notare: “Significherebbe abbandonare una superficie, si metterebbe fine alla tradizione del Sudamerica”, ma non può non ammettere che “il tennis è cambiato. Questa parte del Tour è scollegata. Non è impossibile portare qui Zverev e Tsitsipas. Dipende dai loro sponsor, dal pubblico che li segue e questa è una regione importante con molti milioni di persone. I tennisti più giovani possono ogni tanto cambiare e venire qui, ma l’unico che lo ha fatto finora è stato Thiem. Il prossimo anno porteremo i nomi che il torneo si merita. Quello che è successo quest’anno non può più accadere”.
A proposito di superficie e di eventi su cui gli organizzatori hanno il controllo almeno fino a un certo punto, per il momento non sembrano essere state raccolte le parole di Guido Pella dopo la sconfitta nei quarti: “Stiamo praticamente giocando nel posto più lento della Terra. Neanche Raonic potrebbe abbreviare gli scambi qua”. Con incontri lunghissimi, problemi muscolari e giocatori arrivati in fondo stremati, il pensiero del ventinovenne di Bahia Blanca meriterebbe qualche attenzione in più.