L’amarezza di Sandgren: “Mi sento come una zattera in mezzo all’oceano”
La metafora è di quelle efficaci: “Una zattera in mezzo all’oceano”. Sballottata da onde che non è preparata ad affrontare, trasportata verso lidi che non conosce. Così ha detto di sentirsi Tennys Sandgren a dieci giorni dalla sua partita di tennis che forse tutti ricorderanno di più. Peccato che, come tutti sappiamo, questo incontro l’abbia perso, sulla leggendaria Rod Laver Arena, ai quarti di finale dell’Australian Open, contro un Roger Federer menomato, al quinto set, nonostante sette match point. Una delusione indescrivibile. Soprattutto se hai già 28 anni e non è detto che ti ricapitino molte altre occasioni di battere quello che da molti è considerato il miglior tennista di tutti i tempi e accedere alle semifinali di un major.
“Non prendo le sconfitte particolarmente bene in generale. Questa è stata ovviamente molto difficile da mandare giù. Nonostante abbia fatto un gran torneo, è sempre un ko che si porta dietro quella spirale emotiva negativa che solo una sconfitta di questo genere implica”, ha spiegato Sandgren in un’intervista esclusiva al sito della ATP. Il tennista del Tennessee deve però riuscire a mettere le cose in prospettiva. In Australia ha raggiunto per la seconda volta in carriera i quarti, superando giocatori molto più quotati di lui come i nostri Matteo Berrettini e Fabio Fognini. Grazie a questo inatteso risultato si è riportato a ridosso dei primi 50 nella classifica mondiale. “Ho cercato di aggrapparmi alle cose che contano e capire che in fondo è solo una partita”, ha proseguito. “Certo sarebbe stato bello portarla a casa, giocare la prima semifinale Slam eccetera. Ma è stato pur sempre un gran torneo. Spero di avere un’altra opportunità del genere. E se non ce l’avrò poco male. Ho fatto del mio meglio”.
Se però una pensa come Sandgren si sia potuto trovare nella posizione di poter battere Federer per una semifinale Slam, la storia cambia radicalmente. Per vincere la sua prima partita in un tabellone principale di un torneo del circuito maggiore – nell’ATP 500 di Washington contro il giapponese Go Soeda – ed entrare nei primi 100 del mondo ha dovuto aspettare fino ai 26 anni. Prima tanta ma tanta gavetta nei Challenger americani, dove la concorrenza è forte e i montepremi non sono di certo stellari. “È stata dura. Non ho avuto la strada spianata. Ci sono un sacco di bravi giocatori nei Challenger”, ha sottolineato. “A meno che non ottieni grandi risultati da subito, devi lavorare e cercare di capire come venirne fuori. Così è come ho passato quattro-cinque anni nel circuito Challenger”. E non ha mai pensato di mollare? Perché ha continuato? La risposta è di una candidezza disarmante. “In realtà è in parte a causa della mia stupidità. Non sapevo cos’altro fare nella vita. Avevo investito così tanto tempo nel tennis che ho pensato che non ci fosse nulla che mi poteva riuscire meglio. Perciò ho continuato a lavorare, allenarmi duro, per darmi una possibilità di sfondare. O lavori o molli in questo sport. Le opzioni sono due. Non è una scelta facile”.
Ma se, quando si trovava invischiato nel Challenger di Savannah, gli avessero detto che un giorno avrebbe perso contro Federer la semifinale dell’Australian Open fallendo sette match point, cosa avrebbe pensato? Avrebbe aiutato la scelta di continuare ad insistere sulla carriera di tennista? “Sarei stato molto arrabbiato con me stesso”, ha raccontato. “Certo quarti in Australia, ma quella cosa dei sette match point. Non so se mi avrebbe aiutato molto a tirare avanti all’epoca”. A dimostrazione del suo grande carattere e della voglia di non accontentarsi mai. La stessa che gli ha permesso di uscire dalle retrovie e approdare nei grandi palcoscenici. “Penso che sia incredibile quello che può succedere se si continua a lavorare sodo. Se si prende questa attività giorno dopo giorno non ha idea dove ti può portare”.
A prescindere dai problemi fisici di Federer, Sandgren ha giocato una partita di altissimo livello. In particolare, l’americano non sembrava avere grandi difficoltà a gestire il gioco offensivo e vario del maestro elvetico. Ad aiutarlo nella circostanza è stata l’esperienza. “È stato divertente perché durante il match pensavo a un mio amico, Ryan Lipman, che ora è assistente allenatore all’università Vanderbilt. Ha un gioco simile a Federer: rovescio ad una mano, slice, gli piace venite avanti e fare serve and volley. Abbiamo giocato contro a livello junior, anche lui è di Nashville come me. Avremo fatto 50 forse 100 sfide tra allenamenti e tornei. Ovviamente Roger è su un altro pianeta. Ma la struttura del punto è simile. Pensavo: ‘Mi è già capitato di giocare questa partita’. Il back corto che mi portava a rete e robe simili le avevo viste fare anche al mio amico. Era un po’ surreale”. I due poi si sono parlati, e Tennys ha detto a Ryan che se avesse vinto lo avrebbe ringraziato nelle interviste. “Così si è mangiato le mani pure lui”, ha scherzato.
Nel tennis però non si può vivere nel passato. Sandgren è già a New York per il suo primo torneo dopo Melbourne. Al primo turno affronterà il connazionale Steve Johnson. “Ogni settimana è diversa. Ogni settimana è una nuova settimana. Devi pensare che stai ripartendo da zero e lottare. In Australia è stato fantastico ma questo è un altro torneo. Gli altri tennisti sono riposati e affamati. Se non lo sarò anche io, le cose non andranno bene. Quindi devo rimanere umile e continuare a lavorare”. Grazie a questa attitudine è passato dalle sabbie mobili dei Challenger a trovarsi a un passo dalla storia. E chissà che la stessa attitudine non gli dia un’altra chance di compiere anche quell’ultimo passo.