Tennis e mental coaching: Simona Halep e il potere delle parole

«Mia mamma mi disse, avevo dieci anni, che se volevo fare qualcosa nel tennis dovevo giocare la finale di Wimbledon”.

Chi scrive è stato colpito dal fatto che Simona Halep dopo aver ricevuto il trofeo per la vittoria del torneo, prima di ringraziare, prima di esprimere a parole tutta la gioia che traspariva dai suoi occhi, per prima cosa abbia voluto ricordare delle parole che la mamma le disse circa diciotto anni fa. Ha colpito ed ha fatto riflettere. Ha fatto riflettere su quante volte ai bambini – figli, nipoti, allievi – ma anche agli adulti – parenti, amici, colleghi – diciamo qualcosa, magari scherzando o senza voler dare effettiva importanza a quelle parole. Che invece per chi ascolta un’importanza finiscono per averla, soprattutto perché non le percepiscono a livello inconscio con la stessa intenzione di chi le ha dette, visto che – come si suol dire in ambito mental coaching – “il subconscio non ha il senso dell’umorismo”.

Ed ecco che può accadere che una frase messa lì –  talvolta senza pensare, senza voler “dire veramente” quello che si è detto – si radica in maniera profonda in chi l’ascolta. Questo vale verso i bambini ed i ragazzi, logicamente più aperti e ricettivi nell’ascoltare e nell’interiorizzare, ma vale anche verso gli adulti, soprattutto se a dirgli qualcosa sono persone che per loro rappresentano un riferimento – un genitore, un maestro, un amico di cui si fidano o un collega che stimano in maniera particolare. Riflettiamoci perciò, la prossima volta che stiamo per commentare con ironia (o addirittura con una battuta) quello che una persona sta facendo con impegno, rispetto alla quale ha un obiettivo o un sogno che ci ha confidato. Del resto, se già Dante diceva che “un bel tacer non fu mai scritto” un motivo ci sarà.

Premesso che ci sarebbero diversi signori e signore, tra i quali nomi come Mats Wilander, Guga Kuerten e Kim Clijsters, che qualcosina nel tennis hanno fatto e avrebbero da ridire sulla frase di mamma Stania, sicuramente quella frase si era ben radicata dentro Simona Halep, se dopo tanti anni l’ha tirata fuori subito dopo aver vinto il torneo di tennis più importante del mondo demolendo in due set – in neanche un’ora di gioco – quella che è forse la tennista più forte di sempre. E fa ancora più riflettere il fatto che stiamo parlando di una tennista professionista che è da circa dieci anni nel massimo circuito femminile, che nel frattempo è stata n. 1 del mondo per 64 settimane, che aveva già vinto un torneo del Grande Slam oltre ad altri diciassette tornei WTA. Insomma, una giocatrice che era già unanimemente riconosciuta come una campionessa.

Ma a Simona, evidentemente, tutto questo non bastava. Non bastava per sentirsi una campionessa “dentro”. Per sentirsi una campionessa, una che “aveva fatto qualcosa nel tennis”, una parte di lei doveva fare quello che le aveva detto quel giorno di tanti anni fa la mamma. Quando lei – immaginiamo, ma vedendo come si muove oggi in campo non crediamo di andare molto lontani dalla realtà – era un solo piccolo peperino che correva scatenato in giro per la fattoria della famiglia a Costanza e aveva il sogno di diventare una grande tennista. Per quella parte di Simona quello è diventato il vero obiettivo.

Simona Halep – Wimbledon 2019 (foto via Twitter, @WTA)

Una regola importante nel mental coaching è quella di non “leggere la mente” delle persone – cioè non fare ipotesi su comportamenti e convinzioni di una persona, ma arrivare a comprenderli insieme alla persona stessa attraverso una serie domande e le conseguenti risposte – quindi lungi da volerlo fare in questo articolo, che vuole solo essere uno spunto per delle riflessioni. E in questo senso un’altra riflessione è che se per la 28enne tennista rumena quella frase si è evidentemente dimostrata una forte spinta motivazionale, forse però potrebbe anche essere stata uno dei motivi per cui in passato il suo tennis non è stato sempre supportato da una adeguata solidità mentale. Talvolta, infatti, una frase come quella invece che una motivazione può diventare un ostacolo inconscio. Il classico “Non sarai mai abbastanza bravo”, tanto per capirci, che può rimanere lì da qualche parte nascosto nella nostra testa e saltar fuori ogni tanto – ad esempio, sotto forma di un pensiero negativo che “casualmente” assomiglia tanto a quella frase – e contribuire a farci “mollare” quando le cose non stanno andando proprio per il verso giusto e c’è un po’ di sconforto (a meno che tu non sia abbastanza fortunato da avere un ball boy dalla tua parte)

Pensavo troppo, mi creavo mille problemi” aveva detto tempo fa Halep per spiegare la scelta di farsi supportare dalla psicologa sportiva Alexis Castorri, che aveva lavorato in passato con Lendl e Murray. Beh, a posteriori non si fa fatica a crederlo, se le ronzava ancora in testa una frase di quasi vent’anni prima e qualsiasi cosa facesse – vincesse tornei, scalasse la classifica mondiale – non riusciva a togliersela da lì. E pensando anche a quante gliene erano state dette nel frattempo: che non riuscirà mai a vincere uno Slam, dopo la sconfitta in finale a Parigi con Sharapova a Parigi nel 2014 e soprattutto dopo quella con Ostapenko nel 2017; che rimarrà una n.1 senza un Major in bacheca, dopo la sconfitta contro Wozniacki a Melbourne nel 2018, pochi mesi dopo aver raggiunto la cima della classifica WTA… Il lavoro con Castorri aveva funzionato e molti di quei pensieri e di quelle parole Simona li aveva esorcizzati con la vittoria al Roland Garros dello scorso anno.

E alla fine Simona ce l’ha fatta a togliersi dalla testa anche quell’ultima frase, quella per lei più importante e profonda. E guardandola sollevare il trofeo della vincitrice, sorridente e gioiosa, per mostrarlo a tutti gli spettatori del Campo Centrale di Wimbledon, sembrava veramente una bambina che fa vedere alla mamma il suo primo disegno con gli occhi che stanno dicendo ”Mamma, hai visto quanto sono stata brava?”.

Sì Simona, sei stata bravissima. Chissà se mamma Stania glielo avrà detto quando si è congratulata con lei dopo la vittoria, chiudendo così, finalmente, quel cerchio aperto involontariamente diciotto anni fa e permettendo a Simona di poter aprire chissà quali nuovi scenari per il futuro. Perché quella piccola bambina che voleva giocare a tennis ora ha vinto Wimbledon. Ora sa di essere veramente un campionessa.

Ilvio Vidovich è collaboratore dal 2014 di Ubitennis, per cui ha seguito da inviato le ultime due edizioni del Roland Garros, tornei ATP e Coppa Davis. Personal coach certificato, ha conseguito un Master in Coaching, una specializzazione in Sport Coaching e tre livelli di specializzazione internazionale in NLP (Programmazione Neuro Linguistica), tra i quali quello di NLP Coach, ed è membro del Comitato Scientifico della ISMCA. Giornalista pubblicista, è anche istruttore FIT e PTR.