Dubai, Bencic piega Kvitova. Torna a vincere dopo 4 anni (Gazzetta). Cecchinato: “Il mio match con Palermo. La vivo poco ma mi emoziona (Tripi)
Dubai, Bencic piega Kvitova. Torna a vincere dopo 4 anni (La Gazzetta dello Sport)
Belinda Bencic a Dubai (Eau, 2.494.000 euro, cemento) interrompe un digiuno che durava da quattro anni battendo in finale la ceca Petra Kvitova. Per la svizzera, che da domani salirà al numero 23 Wta, si tratta del terzo titolo in carriera su otto finali disputate: i primi due nel 2015, ad Eastbourne e a Toronto. Poi due stagioni segnate da infortuni a ripetizione tra operazioni a un polso e problemi alla schiena l’hanno fatta precipitare fino al numero 312 del mondo a settembre 2017. In campo maschile Stefanos Tsitsipas cerca il secondo titolo sul circuito in finale contro Mikhail Kukushkin a Marsiglia (Fra, 668.485 euro, veloce indoor). Quarta finale per il 20enne che agli Australian Open ha battuto Roger Federer ai quarti ed è stato sconfitto in semifinale da Rafa Nadal.
Cecchinato: “Il mio match con Palermo. La vivo poco ma mi emoziona” (Valerio Tripi, La Repubblica edizione Palermo)
Domani Marco Cecchinato diventerà il miglior tennista d’Italia. Sarà il nuovo numero 16 della classifica mondiale Atp. La ciliegina sulla torta a forma di 2018 che si è regalato è il trampolino ideale per lanciarsi in un 2019 carico di ambizioni. Il primo successo lo ha già portato a casa aggiudicandosi pochi giorni fa l’Argentina Open a Buenos Aires e stabilendo un nuovo record: è il primo italiano della storia a vincere tutte e tre le finali Atp disputate. Un anno fa, il 19 febbraio 2018, era numero 102 della classifica mondiale e sognava di entrare fra i cento migliori al mondo. Marco Cecchinato, ogni tanto ripensa a tutto quello che è accaduto in un anno? «Vorrei che fosse il punto di partenza. Ho altri dieci anni di carriera davanti: quello che ho fatto nel 2018 so che è la storia del tennis italiano. Me lo hanno detto tutti. Non si raggiungeva una semifinale di un torneo dello slam da 40 anni, l’ultimo era stato Corrado Barazzutti che mi è venuto ad abbracciare commosso nonostante gli avessi appena strappato quel record. Ripensando al 2018 è stato un anno difficile da spiegare. Ho provato emozioni fortissime». La sua foto ricordo? «L’immagine nitida che ho in mente è il match point contro Djokovic a Parigi: il passante e il “Suzanne Lenglen” tutto in piedi per me. Ho ancora i brividi. Ma devo dire che anche come inizio 2019 non c’è male. L’anno che è trascorso mi ha dato una consapevolezza che prima non c’era. Dovrò confermarmi e sarà più difficile. Ora inizia il momento più duro: quando arrivi a una certa classifica devi confermarti e se ci riesci vuol dire che sei arrivato al top». Come ha gestito il passaggio da illustre sconosciuto a tennista di fama mondiale? «Prima non ml riconoscevano, nonostante fossi già un top 100. Dopo il Roland Garros al ristorante, in aeroporto, girando con le racchette e il borsone o col trolley, mi fermano tutti. Da una parte è bello, vuol dire essere famoso e riconosciuto. Dall’altra è un po’ stressante: devi essere disponibile, sempre con il sorriso anche se stai pensando ad altro o non sei dell’umore giusto. Però mi piace quando ti corrono incontro i bambini. Mi fa ricordare quando ero piccolino». Com’era Marco Cecchinato da bambino? «Non vedevo l’ora di essere accompagnato al circolo, al Tc2, per fare sport, correre, divertirmi e giocare. Fino a 12 o 13 anni ho fatto qualunque sport calcio, tennis, pallavolo e anche nascondino. Tutto era sport e gioia. Passavo le giornate a correre e divertirmi. Poi versoi 16 anni, quando ho vinto il titolo italiano a squadre, ho iniziato a capire che forse quella del tennis poteva essere la mia strada. Ho lasciato Palermo a 17 anni e ho capito che il tennis poteva anche non essere solo divertimento. Non è stato facile trasferirsi da Palermo a Bolzano». Pensa che anche i bambini di oggi siano costretti a lasciare Palermo per centrare i loro obiettivi? «Non lo so, ma per diventare un tennista sicuramente qualche sacrificio va fatto. Nessuno ti regala niente, sei sempre uno contro uno. Non hai compagni, allenatori che incitano: sei da solo in campo, le scelte le devi prendere da solo. Serve coraggio e personalità. Non che se non sei in giornata ci sono i compagni che ti aiutano con una corsa in più. Non c’è la sostituzione: se non sei in forma perdi». Quanto sono importanti le sconfitte? «Una volta in un torneo under 12 ho perso 6-0, 6-0. Da piccolino mi arrabbiavo, ma guardavo sempre avanti. Grazie a Francesco e Gabriele Palpacelli, che mi hanno messo la racchetta in mano, e ai miei genitori che non sono stati pressanti, ho imparato tanto anche dalle sconfitte. Oggi ci sono genitori che parlano ai figli come se fossero top player, invece il segreto è fare divertire i bambini, non mettergli pressione. Sono diventato quello che sono anche grazie a quelle sconfitte. Magari ti fanno male, ma ti fanno crescere. A volte una sconfitta è più importante di una vittoria». Perché una volta ha detto che riuscire nello sport l’ha messa al riparo dai libri di scuola? «Perché non mi è mai piaciuto studiare e non mi vedevo proprio chino sui libri. Sono stato fortunato. Lo sport è la cosa più bella del mondo. Lo studio è importante, mi sono diplomato, poi ho capito che la passione per il tennis poteva diventare qualcosa di più e ne ho fatto la mia professione. Mi sono fissato un obiettivo, entrare nella top 100, e l’ho raggiunto. Diciamo che sono riuscito a fare anche qualcosa di più. L’unico rimpianto è che mi sarebbe piaciuto giocare a calcio, ma non ne ho altri fuori dal mondo dello sport. Anche un giorno quando avrò figli mi piacerebbe che facessero sport, magari non per forza tennis». Sognava di fare uno sport di squadra ed è diventato il miglior solista d’Italia. Come se lo spiega? «Diciamo che non mi è andata proprio male. Però non è poi tanto strano, anche nel calcio ci sono solisti eccezionali per ruolo o per carattere. Il mio idolo per esempio è sempre stato Kakà, uno in grado di risolvere le partite da solo. Ho avuto l’onore di ricevere un suo messaggio mentre ero al Roland Garros. Nel Palermo per il carattere che aveva mi piaceva molto Corini: un esempio di uomo sportivo e calciatore, metteva grinta e forza di volontà proprio come un tennista». Che rapporto ha con la sua città? «Qualunque tennista vive poco la sua città. Siamo in giro per trenta settimane all’anno per i tornei e poi c’è il periodo di preparazione: hotel, circoli. Mi manca la famiglia, sono terrone anche in questo e la famiglia per me è importante. Mi mancano gli amici. Quando torno a casa, già all’atterraggio, mi vengono in mente tantissimi ricordi e mi emoziono sempre. Anche al Tc2, quando varco il cancello mi vengono in mente tantissimi ricordi». E stato tosi importante lasciare Palermo per realizzare il suo sogno? «Penso che questa sia stata una scelta che mi ha fatto crescere come uomo. Ho iniziato a fare tutto da solo: a cucinare, a lavare i completini e ad abituarmi a una realtà diversa. Avere i genitori che ti preparano tutto, magari ti fanno anche il letto non ti fa certo misurare con la vita vera». I risultati le hanno portato anche un po’ di guadagni. Si e tolto qualche sfizio? «Mi sono fatto qualche regalo, ma sono un tipo riservato. Niente di eclatante, non mi piace esibire o dire cosa mi sono regalato, per esempio, dopo Parigi. Sto attento a non sperperare e ci sono persone che gestiscono questo aspetto: non rischio di rimanere senza soldi a fine carriera»