L’accusa di Martina Navratilova: “Le sportive transgender barano”
“Non puoi soltanto dichiararti donna per poter competere con le donne”. Era questo l’incipit del tweet di Martina Navratilova, che a dicembre aveva dato il suo parere sulle concessioni da fare alle donne transgender per giocare contro le donne nei tornei sportivi femminili. “Bisogna avere certi standard. Avere un pene e gareggiare con le donne non è uno di questi”, concluse Navratilova. In seguito disse che non avrebbe più parlato di simili argomenti prima di fare qualche ricerca in merito. E domenica 17 febbraio è apparso un suo articolo sul Sunday Times nel quale ha affermato che gli approfondimenti fatti in questi mesi hanno corroborato le sue opinioni, scatenando un’ondata di critiche nei suoi confronti.
Le normative a riguardo sono state introdotte nel 2016 dal Comitato Internazionale Olimpico. È previsto dalla maggior parte delle associazioni sportive che i transgender uomini possano competere senza alcuna restrizione, mentre le donne devo dimostrare che il loro livello di testosterone sia rimasto al di sotto di un determinato livello per almeno un anno prima della ripresa delle competizioni. Ma la 59 volte campionessa Slam tra singolari e doppi, dichiaratasi omosessuale nel 1981, non condannato questa pratica nello sport: “Un uomo può decidere di diventare donna, assumere ormoni come è richiesto dalle associazioni sportive, vincere tutto e allo stesso tempo guadagnare una fortuna, poi può cambiare di nuovo la sua decisione e tornare a fare figli se desidera. È insano e ingannevole. Sarei felice di incontrare una donna transgender, ma non di giocarci contro. Non sarebbe giusto”.
Ha poi addotto una motivazione più scientifica per sostenere la sua tesi: “Ridurre soltanto il livello di ormoni non risolve il problema. Un uomo sviluppa più muscolatura e più densità ossea, assieme a un più alto numero di globuli rossi, sin dalla nascita. L’allenamento allarga la forbice. Infatti se un maschio volesse eliminare ogni vantaggio fisico, dovrebbe iniziare un trattamento ormonale sin dalla pubertà. Per me questo è impensabile. Vorrei anche fare una critica distinzione tra transgender e transessuali. Questi ultimi hanno subito un intervento chirurgico e il passaggio è stato completo. Ma sono solo un piccolo numero”.
Nell’analisi Martina ha anche ricordato un caso risalente all’epoca in cui era ancora in attività: “Negli anni Settanta Renée Richards è apparso nel circuito femminile. In origine un uomo, di nome Richard Raskind – forte ma non eccezionale giocatore che partecipò all’US Open – cambiò sesso tramite intervento chirurgico, cambiò il suo nome (Renèe in francese significa rinato, ndr) e iniziò a competere con le donne. Non ebbi alcuna obiezione (diventò più in là mia amica e mia allenatrice) ma alcune giocatrici si sono rifiutate di giocarci contro e la USTA le negò la partecipazione all’US Open. Portò la questione in tribunale e vinse”.
Il gruppo Lgbt “Trans Actual” ha affermato su Twitter: “Apprendere che Martina Navratilova sia transofobica è devastante”. Certamente non si aspettavano che una personalità che si è sempre mobilitata per i diritti degli omosessuali assumesse una posizione simile a riguardo. L’accusa di transfobia, comunque, appare pretestuosa: come detto Martina è stata allenata da Renée Richards, sotto la cui guida ha vinto due edizioni di Wimbledon, e lo scetticismo espresso nell’articolo riguarda esclusivamente la partecipazione di atlete transgender alle competizioni femminili.
Non è bastato a procurarle pareri e critiche morbide. Non si è fatta attendere la risposta dell’atleta transgender canadese Rachel McKinnon, che grazie alla vittoria nel mondiale di ciclismo dello scorso ottobre è stata la prima transgender a vincere un titolo iridato: “L’articolo è disturbante, sconfortante e profondamente transofobico” ha commentato McKinnon. “Porta avanti un vecchio stereotipo trattandoci come uomini che pretendono di essere vere donne. Pretende di cancellare i diritti delle donne transgender di competere secondo le regole”.