Australian Open uomini: i tre grandi con margine, la palla non sarà rotonda

Nole, Rafa, Roger. Roger, Nole, Rafa. Sempre loro, inesorabilmente loro. Provassimo a intervistare cento persone chiedendo loro un pronostico sul vincitore dell’Australian Open 2019, novantanove citerebbero la sacra triade, “senza se e senza ma“, come va tristemente di moda dire oggigiorno. Sempre loro, o quasi, dal 2004, anno del primo successo svizzero nello Slam australe; quindici anni secchi in cui le uniche entità esterne alla Trimurti ad aver scippato il trofeo sono state Marat Safin, vincitore su Lleyton Hewitt nel 2005, e Wawrinka in versione Super Stan, che azzoppò un maiorchino già incerottato di suo nella finalissima del 2014. Un dominio così esteso e racchiuso in una cerchia così stretta di nomi da trovare rari precedenti nella storia dello sport, e quasi tutti gli indicatori applicabili con apprezzabile margine di affidabilità alla pallina di feltro lasciano pensare che anche stavolta non sarà molto diverso dal solito.

Sembrano ragionare così anche gli allibratori, i quali, non foss’altro che per interesse privato, difficilmente sbagliano di molto nell’indicare la via. Quelli sondati sembrano avere pochissimi dubbi: loro tre, inequivocabilmente, con Sascha Zverev unico a meritarsi l’inclusione nell’élite. Addirittura, SNAI piazza il giovane tedesco davanti a Nadal, ma il moltiplicatore dev’essere influenzato dai recenti problemi fisici di Rafa, sempre più acuti via via che il tempo passa specialmente quando i campi sono di superficie diversa dall’adorata terra battuta.

Tra i favoriti per antonomasia, Novak Djokovic attira la stragrande maggioranza dei consensi: la sua vittoria a Melbourne è tendenzialmente pagata due volte la posta, un’inezia particolarmente risibile visto che al via dovrebbero presentarsi i soliti centoventotto giocatori. Un numero abbastanza alto da racchiudere tra le sue maglie la possibilità di una sorpresa; dopotutto la palla è rotonda, si usa dire quando si disquisisce sugli sport che prevedono l’utilizzo di un corpo sferico. Sarà, ma nel tennis degli ultimi tre lustri abbondanti la pallina non è così rotonda come si potrebbe pensare. Tutto vero, ci si potrebbe però chiedere con che faccia si presentano i dominatori e i loro principali contendenti: vediamo allora come arrivano le prime sedici teste di serie ai nastri di partenza dell’attesissimo primo Slam dell’anno.

16 – Milos Raonic

Reduce da stagione tristanzuola, una sola finale persa a Stoccarda contro Roger Federer e la solita messe di guai fisici. Passi avanti dal punto di vista tecnico pochini, e un’espressione facciale spesso esibita che non denota una gran fiducia nella possibilità di spaccare il mondo. Ha iniziato la stagione a Brisbane, dove vinse nel 2016, cedendo nei quarti al pericolosissimo, per carità, Daniil Medvedev. All’Australian Open il suo risultato migliore resta la semifinale del 2016 persa contro Andy Murray: con questi chiari di luna sarà difficile replicare, ma nello scontro diretto, dovesse essere in giornata, non vorremmo essere dall’altra parte del net.

15 – Daniil Medvedev

Ecco il primo dei due giovani russi in grado, almeno in potenza, di rovesciare il tavolo di quelli forti. Deflagrato nel 2018 con tre titoli in altrettanti finali, l’incendiario Daniil sta da qualche tempo provando a travestirsi da pompiere, essendo presumibilmente stata la sua natura fumantina la causa principale di una maturazione un pizzico tardiva. Tra lanci di monete al giudice di sedia e platealissimi alterchi con colleghi non meno vivaci, Medvedev si sta comunque avvicinando a trovare la quadra. Forse non troverete le sue gesta codificate in alcun manuale elogiante i cosiddetti gesti bianchi, ma da fondo tira che è una meraviglia e, se riesce a stare calmo, di strada può farne parecchia.

14 – Stefanos Tsitsipas

Il più giovane del lotto sembra aver imboccato con decisione la rampa di lancio. La scorsa stagione è arrivato il primo titolo, a Stoccolma, adornato da due finali di prestigio perse nettamente contro Rafa Nadal ma indispensabili per riempire il bagaglio della sua esperienza ai livelli che contano. Quest’anno è ripartito dalla Hopman facendo partita più o meno pari con un’ottima versione di Federer (sconfitta in due tie break) e questa settimana è impegnato a Sydney. A differenza del citato nemico Medvedev, il suo tennis è sì da manuale: “Quando gioca pare di ammirare un quadro espressionista in movimento“, dichiarò mirabilmente in un’occasione il nostro Vanni Gibertini. Concordiamo e ci affidiamo al panda di Atene, per conservare qualche ora di materia classica ai piani alti dell’ateneo ATP.

13 – Kyle Edmund

È stata la sorpresona dell’edizione 2018, con la semifinale ceduta a Marin Cilic dopo aver fatto secchi Kevin Anderson e Grigor Dimitrov (oltre ad Andreas Seppi). Kyle sta diventando metodico e applicato e a ventitré anni pare aver trovato una solida dimensione negli immediati pressi dei primi dieci: lo scorso anno è arrivato il titolo di Anversa dopo la finale ceduta al redivivo Pablo Andujar a Marrakech insieme ad altri risultati convincenti (si vedano i quarti guadagnati a Madrid e Shangai, per esempio). Forse non ruba l’occhio, ma il suo dritto resta uno dei colpi più devastanti del circuito, e se gira quello il cemento di Melbourne rischia di diventare ancora più torrido. Per gli avversari, si capisce.

12 – Fabio Fognini

Qualcuno ci guarderebbe storto qualora dovessimo parlare del momento di Fabio sfoderando il sostantivo “maturazione”. Eppure. Fognini a Melbourne si presenta con un’edificante dodicesima testa di serie in dotazione e reduce dalla miglior stagione in carriera, esaltata da tre titoli (e una finale ceduta, a Chengdu, dopo aver sciupato quattro match point contro Bernard Tomic) con prestazioni convincenti nei tornei dello Slam (quarto turno proprio in Australia e a Parigi, terzo a Wimbledon) a dispetto di un’annata povera a livello “Mille”. Come sempre quando si parla di Fabio i pronostici non sono il territorio più sicuro in cui addentrarsi, dipendendo le prestazioni del ribelle di Arma di Taggia da stato emotivo, tabellone, lune, maree, simpatie e antipatie per giudici di sedia, avversari, destino infame e volendo l’elenco di detti fattori nella sua interezza. Ma se gira bene Fabio non lo vuole incontrare nessuno, e può fare tanta strada.

11 – Borna Coric

Insieme a Khachanov e Medvedev, tralasciando nel caso Zverev, già salito ai piani alti da tempo, il giovane uscito più rinfrancato da un 2018 notevolissimo, se non addirittura entusiasmante, considerate le aspettative che a un certo punto lo circondavano. Atteso a carriera sfolgorante da teenager, con tanto di Rafa Nadal bastonato a Basilea un mese prima di diventare maggiorenne, Borna si era un po’ avvitato su se stesso e su quel lato destro che pareva rappresentare un limite assoluto alle sue ambizioni di vertice. Poi il trasferimento da Piatti a Bordighera e la svolta: nel 2018 titolo ad Halle con scalpo di Re Roger in finale e altra finale a Shanghai, la prima in carriera in un “Mille”, stavolta ceduta a Djokovic. Per infiocchettare il tutto, la vittoria in Davis contro la Francia e un salto in classifica di posizioni trentasei nell’anno solare. Solidità, testa e mentalità vincente sono arrivate al loro massimo tutte insieme: all’Open d’Australia in molti si attendono da lui un ulteriore salto.

10 – Karen Khachanov

Non parlate di estetica ai giovani russi pronti a invadere la top five: esattamente come Medvedev, Karen Khachanov non è il paladino dell’eleganza applicata alla racchetta, ma occhio, perché lui quest’anno può vincere qualcosa di grosso. La crescita, esponenziale: iniziato il 2018 ai limiti dei primi 50, il granatiere nato a Mosca ventidue anni fa ha chiuso tra i primi dieci, avendo nel frattempo conquistato tre titoli con la perla del Masters di Paris Bercy, vinto rendendo assolutamente impotente Novak Djokovic nell’ultimo atto. I colpi di sbarramento da fondo campo sono impressionanti per violenza e profondità, e se entra la prima con costanza per il tizio dall’altro lato del net sono dolori. L’anno scorso ha perso al secondo turno: quest’anno lo vediamo alla seconda settimana (perlomeno).

9 – John Isner

Long John ne compirà trentaquattro ad Aprile e dà sempre l’impressione di fare una fatica enorme a portare in giro i suoi duecentootto centimetri, mentre le grosse cavigliere nere sembrano ancorare al suolo quei movimenti sgraziati. Si, ma provateci voi: a fine carriera, così dicono, Isner ha piazzato l’annata migliore di tutte, con il primo Mille conquistato nel pazzesco entusiasmo di Miami, il solito alloro nel familiare deep south di Atlanta e la partecipazione alle Finals di Londra. Legato mani e piedi al formidabile servizio in dotazione, Isner ha avuto il grandissimo merito di emanciparsi da esso, nel caso: come opportunamente scritto da Alessandro Stella ai tempi del trionfo in Florida di marzo, egli ha persino sistemato un rovescio che fino a pochi anni prima poteva considerarsi un non-colpo, ricavandone addirittura alcuni vincenti. A John non si chiede più niente e all’Open, dove l’anno scorso perse all’esordio contro Matthew Ebden, ha pochissimo da perdere.

8 – Kei Nishikori

Rieccolo, Special Kei, all’ultimo posto nella griglia delle teste di serie altissime. Principe indiscusso della cosiddetta lost generation, dei Raonic, dei Dimitrov, di quei tipi baciati dal talento ma ai quali manca sempre una lira per fare un milione, Nishikori torna a Melbourne dopo aver saltato l’edizione dello scorso anno. Da sempre cagionevole, il giapponese è stato fuori sei mesi con un polso martoriato e per rientrare, cautissimo, ha persino scelto due Challenger in febbraio, perdendo malamente con Novikov a Newport Beach quando per il prosieguo della sua carriera si temeva non poco. Sembra tornato in buona forma e la scorsa settimana, a Brisbane, ha acciuffato un titolo che mancava da tre anni e cinquantuno tornei, cogliendo una considerevole vittoria contro quel Daniil Medvedev che lo aveva sconfitto tra le mura domestiche, a Tokyo, lo scorso settembre. Se sta bene, cosa mai così lontana dall’essere scontata, è sconsigliabile averci a che fare.

7 – Dominic Thiem

Quest’anno sono 26, e sembra che Dominic la sua strada l’abbia infine trovata. Fatte salve le giornate in cui lo spettacolare rovescio in dotazione si mette a sparare sentenze da ogni posizione del globo, si è forse capito, e verremo smentiti ma questo è il bello della diretta, che Thiem sul duro, in eventi di massima rilevanza, non farà probabilmente moltissima strada, anche se eccezioni e sorprese sono stanziali dietro il famoso angolo. Il 2018 gli ha regalato tre piccoli titoli a Buenos Aires, Lione e San Pietroburgo, ma le soddisfazioni grosse sono arrivate a Madrid e al Roland Garros, nelle due finali perse senza appello contro Sascha Zverev e Rafa Nadal. Sulla polvere di mattone forse solo il dittatore maiorchino parte favorito contro di lui, ma sul veloce è dura. Dominic non ha mai amato l’Australian Open (solo due ottavi, nelle ultime due edizioni, come migliori risultati) e le previsioni danno brutto anche per le ultime due settimane di gennaio.

6 – Marin Cilic

La considerazione pubblica di cui gode – gode fino a a un certo punto, diciamo – dovrebbe indispettire ogni appassionato della racchetta dotato di buon senso. Mesto, dicono, ma si può essere ottimi professionisti senza alzare troppo la voce. Anti personaggio, questo sì, ma la carriera tutto sommato la sta portando a casa: uno Slam è in bacheca e la Davis strappata ai francesi in novembre lenisce, anche se forse non del tutto, lo smacco argentino di Zagabria, quando a Marin sfuggì l’insalatiera dalle mani a un passo dalla festa nazionale. L’anno scorso, sostenuto probabilmente dai suoi soli familiari contro il mondo intero, portò Roger Federer al quinto nella bolgia della Rod Laver Arena in finale; finale replicata (ah l’altalena di prestazioni) unicamente al Queen’s in giugno, dove sconfisse un Novak Djokovic in procinto di risorgere. Come dimostra la sua storia, può accadere di rivederlo tra i primi quattro e, allo stesso modo, di sorprenderlo sconfitto da un qualsiasi underdog fuori contesto (ricordate Guido Pella a Wimbledon?).

5 – Kevin Anderson

Rischia di essere un Open interessante, tra ventenni intenzionati a salire l’ultimo gradino e ultra trentenni arrivati tardino a completa maturazione. Tra questi ultimi un posto di rilievo ce l’ha Big Kev, spintosi fino a un passo dai primi cinque dopo un 2018 detonante, ci permetterete il roboante aggettivo. Tre titoli, cinque finali compresa quella di Wimbledon (persa con Djokovic), otto semifinali tra cui quella raggiunta alle Finals londinesi (altro KO contro il serbo). Una continuità di risultati notevoli e le solite certezze: sull’uno-due in terreno rapido, Anderson in partita secca può battere chiunque, e non si tratta di retorica. Nel 2018 partì piano, e infatti al Melbourne uscì subito per mano di Kyle Edmund, anche se a parziale giustificazione del ragazzone di Johannesburg bisogna ammettere che Kyle, in quelle due settimane, vedeva la pallina grossa come una mongolfiera.

4 – Alexander Zverev

Come scritto in precedenza, per i bookmaker Sascha è l’unico possibile contendente alla corona dei tre grandi, a distanza considerevole, va detto, ma è già qualcosa. Il futuro numero uno del tennis mondiale, così si usa dire, è ormai da molto tempo stabile nelle posizioni che più contano; fatto di non trascurabile rilevanza, visto che il russo di Amburgo compirà solo ventidue anni il prossimo aprile. Serve l’ultimo mattone, per trasformare le previsioni in realtà: negli Slam Zverev ha per ora fatto cilecca, essendo i quarti di finale raggiunti all’ultimo Roland Garros l’unico risultato degno di nota in carriera nei tornei di due settimane. Condizione atletica e concentrazione sul medio periodo da affinare negli insidiosi tre su cinque? Può darsi, dopotutto l’età è ancora verde, ma l’impressione è che sia solo questione di tempo. In Australia, per ora, due terzi turni, l’ultimo ceduto a Hyeon Chung. Per arrivare Sascha arriva, non ci stupirebbe se lo facesse già nei prossimi giorni.

Alexander Zverev – ATP Finals 2018 (foto Alberto Pezzali Ubitennis)

3 – Roger Federer

Si entra in zona dischi caldi, il top of the pops del tennis mondiale: di loro s’è già detto tutto e ancor di più si sa, quindi saremo concisi. Terza testa di serie, Roger, e c’è poco da aggiungere. Sei volte campione, doppietta negli ultimi due anni quando i più avevano già scritto alcune decine di elogi funebri, a proprio agio sui campi veloci di Melbourne Park. Ha iniziato la stagione alla Hopman e ha dominato, va bene che era un’esibizione, un po’ artista e un po’ turista. Fisicamente sembra tirato a lucido e anche se per sua stessa ammissione il favorito è Djokovic, in giornata il genio di Basilea è ancora in grado di decidere in prima persona quando far piovere e quando lasciare uscire il sole. Tripletta difficile perché nell’anno dei trentotto sette partite in quattordici giorni possono essere troppe, però è Roger, e tanto basta.

2 – Rafael Nadal

Arriva incerottato, Rafa, come ormai sempre più spesso succede; incerottato e pauroso dei campi duri, come dimostrano i ritiri a ripetizione prima o durante gli eventi sul cemento dell’ultimo anno tennistico. Rafa però è famelico e quando scende in campo lo fa per azzannare l’azzannabile: non saremmo troppo sorpresi di assistere a un suo grande Australian Open. L’incognita è l’ormai protratta assenza dai campi: Nadal non gioca un torneo ufficiale da New York ed è difficile intuirne lo stato fisico. I termometri classici della sua condizione, ossia la profondità dei colpi e la rapidità con cui riesce a girare intorno al leggendario drittone, daranno subito le loro insindacabili risposte, tenendo però conto che Rafa, come tutti i fenomeni naturali, tenderà a crescere nel corso del torneo, qualora dovesse riuscire a saltare i primi ostacoli. Nella situazione contingente è quantomai opportuno osservare attentamente il tabellone che uscirà dal sorteggio di domani.

1 – Novak Djokovic

Il favoritissimo per acclamazione sostanzialmente unanime è il numero uno del mondo, e alzi la mano chi nello stesso periodo dell’anno scorso avrebbe buttato un marengo dalle parti di Belgrado, ritenendo fondata la possibilità di un ritorno di Nole sul trono del tennis mondiale. Sei vittorie in sei finali a Melbourne, Djokovic è sopravvissuto all’anno e mezzo da tregenda seguito all’agognato successo al Roland Garros 2016 e a un gomito ribelle che sembrava aver messo una pietra sopra la fase più luminosa della sua carriera. Djoker si è invece rimaterializzato sull’erba inglese, perdendo (con match point a favore) la finale del Queen’s e da lì in avanti inanellando trentuno successi nelle successive trentadue partite con gli allori a Wimbledon e New York come souvenir più prestigiosi. Ha concluso la maratona comprensibilmente scarico (sconfitte nelle finali di Bercy e Londra con Khachanov e Zverev) e scarico sembra aver ricominciato: a Doha, primo torneo dell’anno concluso in semifinale dopo il KO con Bautista-Agut, Nole ha messo in mostra un tennis esclusivamente difensivo denotando peraltro un nervosismo di molto sovradimensionato rispetto all’importanza dell’evento. Tuttavia, il numero uno sa cancellare i cattivi pensieri in tempi molto stretti, com’è noto, e dunque siamo d’accordo con gli allibratori: a Melbourne Djokovic parte davanti a tutti.

Novak Djokovic – US Open 2018 (foto Art Seitz c2018)