«Il mio nome è Leo, sono l’erede di Borg» (Crivelli)

«Il mio nome è Leo, sono l’erede di Borg», e già si scommette sul primo Wimbledon (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Un nome qualunque non esiste: ogni nome reca una certa carica di destino. La frase di Tommaso Landolfi, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, sembra congegnata appositamente per abbozzare il ritratto dei figli d’arte, condannati a inseguire l’ombra pesante della gloria dei genitori. E quando hai vinto sei volte il Roland Garros e cinque (consecutive) Wimbledon, diventando un’icona e trasformando il tennis nel fenomeno pop che oggi conosciamo, puoi davvero dare del tu al mito. Perciò, devono esistere situazioni meno complicate nella vita che possedere lo stesso Dna di Bjorn Borg e per di più scegliere di seguirne le orme con una racchetta in mano. Ci si mettono perfino i bookmaker, a gravare il fardello di un’eredità pesantissima: è di questi giorni la notizia che un’agenzia di scommesse londinese ha quotato 1000 a 1 la vittoria di Leo Borg a Wimbledon nel 2023. La data non è casuale: il ragazzo allora compirà vent’anni, l’età che aveva il padre quando trionfò per la prima volta ai Championships. Un bel carico, non c’è che dire. Non a caso, quando a dieci anni rivelò a mamma Patricia (Östfeldt, terza e attuale moglie dell’ex campione) di voler provare a diventare qualcuno nel tennis, lei si mise a piangere: «Era bravo pure a calcio, speravo non scegliesse lo stesso sport del padre, perché non volevo che passasse ogni giorno a convivere con un paragone così ingombrante. Ero spaventata». Bjorn non l’ha presa così tragicamente: «Sicuramente a ogni passo che fa gli ricordano di chi è figlio, e di certo è un peso. Ma Patricia e io, come genitori, cerchiamo di assicurarci che la sua vita scorra il più tranquillamente possibile. È il nostro compito. Perciò l’unica persona che può mettergli pressione è lui stesso». Intanto il giovane Leo cresce per gradi. A ottobre, durante il torneo Atp di Stoccolma, gha ricevuto il premio come miglior under 16 di Svezia. La premiazione è stata celebrata al Royal Tennis Club, un monumento della storia tennistica scandinava, con i ricordi di papà Borg in ogni angolo. Leo non ne è rimasto affatto turbato: «Perché avrei dovuto? Ho sempre saputo cosa ha rappresentato mio padre». E se ce ne fosse stato bisogno, ci ha pensato un film («Borg-McEnroe» del 2017) a legarne ancor di più le sorti, con il figlio che, scelto casualmente, ha poi interpretato papà nelle scene da bambino. […] Papà Bjorn è comunque una presenza discreta, e non ha mai avuto intenzione di allenarlo. Il suo coach da cinque anni è Rickard Billing, 46 anni. Certo, poi resta la questione non secondaria di cotanto sangue che scorre nelle vene del ragazzino. Due anni fa, ai P’tit As di Tarbes, il più importante torneo Under 14 del mondo, quando si scopri che quel Borg era proprio il figlio di, gli organizzatori dovettero mettere in piedi una conferenza stampa improvvisata perché piovvero richieste da tutto il mondo e Leo, turbatissimo, in pratica si fece eliminare al secondo turno per non dovere sottoporsi tutte le volte al rito della vivisezione mediatica. […] Per non fargli mancare nulla del passato la Fila, storica azienda (italiana) di abbigliamento che vestiva il padre, lo ha messo sotto contratto per 50.000 dollari. Solo nello stile, rovescio bimane a parte, Leo vive di luce propria: «È molto più aggressivo del padre — analizza Mats Wilander — come richiede il gioco moderno. La mia generazione ha conosciuto il tennis attraverso Bjorn, spero che Leo riporti sui campi i bambini svedesi di oggi». Una famiglia in missione.