I mondi diversi di Haggerty, Giudicelli, Binaghi e Noah
Da Lille, il Direttore
Coppa Davis addio. Quella che abbiamo vissuto e conosciuto non ci sarà più. Capisco le leggi del marketing, quelle che dicono di non gettare a mare l’avviamento di un brand storico – e nel caso della Davis si tratta di un avviamento durato 118 anni – però ha ragione Yannick Noah nel dire che quella che seguirà a questa non sarà mai la Coppa Davis. Riporto qui le sue parole anche se sono già state riportate in più posti: “Spero veramente che non la chiameranno Coppa Davis perché non lo è. Giocare due set non è la Davis, giocarla in sede neutra non è la Davis. Chi dice che è la Davis, mente. E io gli dico: “Siete dei bugiardi”. Come ho fatto quando ho parlato l’altra sera alla cena ufficiale. Ho detto al presidente (sia Giudicelli sia Haggerty; non l’ha detto a Binaghi perché il presidente della FIT non c’era ma anche la Federtennis italiana ha votato per la Kosmos Davis e i dollari): sono disgustato e molto triste. L’ho detto in faccia perché è la verità. Io sento così. Non dico che tutti debbano sentire così”.
Poi, rispondendo a una mia domanda (“Sento che tutti i giocatori francesi sembrano scettici sulla possibilità di giocare la prossima Davis-Kosmos-Piqué Cup…ma allora la Francia sparirà dagli scenari delle competizioni tennistiche a squadre?”) Yannick si è scatenato in una risposta interminabile di cui diamo il resoconto altrove qui su Ubitennis. Fra le tante frasi una è stata questa: “Devo molto alla Coppa Davis. Mi ha regalato tante di quelle cose. Come giocatore, spettatore, fan. Vi potrei raccontare la storia della Coppa Davis dell’Italia. Dove sarebbe il tennis in Italia senza la Coppa Davis? Dove? Ha rappresentato talmente tanto. Quelle persone che hanno deciso…forse non lo sanno, o magari per loro è uguale. Come ho detto ai Presidenti io non appartengo a quel mondo. Noi apparteniamo a due mondi diversi”.
L’atmosfera vissuta qui a Lille, e sì che la Francia ha perso e nettamente, senza alcuna vera suspance, effettivamente non sarà ripetibile. 24.000 spettatori che tifano in modo entusiasta, colorito e incessante per la loro squadra, e a spanne direi che di quelli almeno 2.000 fossero croati, probabilmente non li vedremo più. Il tennis non è il calcio dove le tifoserie hanno altri numeri e sono disposte a spostarsi in massa. “A Singapore di certo non andranno!” ha detto ancora Noah. Qui, poi si parla di due possibili eventi: una brutta copia della Davis a Madrid nel novembre 2019 con due semifinali che si giocano al sabato e la finale che comincia e finisce la domenica. Se anche alla Caja Magica fossero presenti 12.500 spettatori che la riempissero non potranno mai essere –salvo che in finale ci sia la Spagna – tifosi delle due squadre che avranno giocato il sabato. Anche a volerlo fortemente e sarebbe stato impossibile per tanta gente conquistare fra il sabato e la domenica disponibilità dei biglietti e organizzare viaggio e albergo in poche ore.
L’altra ipotesi è una ATP CUP che si svolgerebbe ogni anno in Australia a gennaio. Anche lì, salvo che si mobilitino assai improbabilmente per noi i 200.000 emigranti di Laygoon e Carlton a Melbourne, i 300.000 greci, altrettanti fra cinesi e filippini, che si possa addivenire a un’atmosfera sugli spalti simil Lille, mi pare fortemente improbabile. Soltanto all’epoca della guerra dei Balcani ricordo che Serbi e Croati a Flinders Park (si chiamava così) facevano quasi più risse che tifo. Quel tipo di atmosfera non la rimpiango.
Più netta e convincente di così la vittoria della Croazia non poteva essere. Dall’abolizione del Challenge Round a oggi era accaduto solo quattro volte che una squadra vincesse tutti i singolari disputati senza perdere un set (tre in questo caso, due quando un Paese aveva vinto 3-0) e fra quelle quattro sconfitte senza altro alibi che la netta superiorità dei più forti c’era purtroppo quella che patì l’Italia a San Francisco nel 1989, di fronte ai mostri McEnroe e Gerulaitis. C’ero così come c’ero allo Svezia-Usa del 1984 dove le vittime di Wilander e Sundstrom furono Connors e McEnroe, mentre non andai in Svezia nell’87 presumendo la disfatta dei fratelli indiani Amritraj. Non c’ero nemmeno quando nel ’90 gli Stati Uniti demolirono un’Australia assai modesta. Cilic in sei set fra Tsonga e Pouille, Coric in tre set con Chardy non hanno mai neppure perso il servizio. E per questa statistica potrebbe trattarsi di una “prima” assoluta. Richiederebbe una ricerca molto complessa appurare se possa essere già successo in quelle quattro occasioni citate.
Cilic va a far compagnia ai Fab Four, Federer, Nadal, Djokovic, Murray, e poi del Potro e Wawrinka nel gruppo degli “Slam-Winners” che hanno vinto anche la Davis. L’ultimo vincitore di Slam a non aver vinto la Davis resta Gaston Gaudio (Roland Garros 2004). E ora in Croazia si comincerà forse a discutere se sia stato più grande Goran Ivanisevic o Marin Cilic. Il primo è stato n.2 del mondo in tre riprese, mentre Marin al massimo è stato n.3. Goran ha vinto 22 tornei, Marin 18. Di Slam ne hanno vinto uno ciascuno, Marin US Open 2014, Goran Wimbledon 2001. Ma Marin ha vinto ora una Coppa Davis e Goran no. Marin ha perso due finali di Slam, a Wimbledon e in Australia, Goran tre ma tutte a Wimbledon. Quest’ultimo dato potrebbe far pensare che Marin sia stato tennista più completo, perché ha giocato tre finali in tre Slam e tra superfici diverse. E il suo gioco è effettivamente più completo di quello di Goran, che si affidava in particolare al suo straordinario servizio mancino. Però la personalità, il carisma, il sense of humour di Goran in Croazia hanno lasciato una traccia indelebile e mi dicevano anche oggi i giornalisti croati che nell’immaginario collettivo il mito di Goran è inscalfibile.
Vero però che Marin ha solo 30 anni e che nei prossimi tre o quattro potrebbe ottenere – approfittando anche del calo dei Fab Four – tali risultati da risalire la corrente anche in patria. Uno dei suoi rivali più agguerriti potrebbe essere proprio Borna Coric, il cui pieno potenziale non è ancora del tutto espresso. È ancora giovane e Riccardo Piatti che lavora indefessamente con lui – a proposito Riccardo ha recentemente compiuto 60 anni, auguri! – è convinto che abbia ancora grandi margini di miglioramento. Intanto, n.12, è già a ridosso dei top-ten. Sarei molto sorpreso se l’anno prossimo non vi facesse irruzione. Il tennis di un Paese di soli 4 milioni di abitanti ha raccolto in questi anni molti più risultati della nostra Italietta. Vincitori di Slam, di Coppe Davis, finali qua e là, giovani emergenti, ottimi doppisti che si arrampicano nelle prime posizioni mondiali. Li avevamo sopravanzati con le nostre donne, ma ora siamo molto indietro anche con quelle. Piatti ha contribuito molto più ai successi croati (da Ljubicic in poi) che a quelli dei nostri azzurri (dopo la conclusione dell’era Furlan, Caratti, Mordegan, Brandi, Camporese).
Speriamo che qualcosa cambi. Intanto ringraziamo di… essere andati in Cile. Quella del 1976 è stata l’unica nostra Coppa Davis vinta. E rimarrà la sola.