Finale Davis, crollo Francia. Per la Croazia è match point (Cocchi). La vita romantica dell’ultimo eroe della racchetta (Petretto)

Finale Davis, crollo Francia. Per la Croazia è match point (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

La Francia prende subito due ceffoni sulla terra rossa indoor di Lille dove insegue la seconda Davis consecutiva. Noah, che ha schierato Chardy e Tsonga lasciando in panchina Pouille avrà passato una notte difficile dopo lo 0-2 subito ieri per mano di Coric e Cilic. La Croazia dopo i primi due singolari ha già la possibilità di chiudere la partita nel doppio odierno e conquistare l’ultima Insalatiera vecchia maniera prima che la riforma del 2019 ne cambi il volto. Il numero 40 al mondo Jeremy Chardy è stato il primo a scendere in campo contro Borna Coric nella bolgia dei 20mila dello Stadio Mauroy, strappato al calcio per l’occasione. Un esordio da incubo per il numero francese (vista la panchina di Pouille) che si è visto spazzare via in tre set dal 22enne croato. Non è andata meglio a Jo Tsonga, la cui forma fisica è stata forse sopravvalutata dal capitano. Jo è stato fermo sette mesi per l’operazione a un ginocchio e aveva pochissimi match nelle gambe, ma Noah ha voluto puntare sulla sua esperienza contro il numero 7 al mondo Cilic, reduce dalle Finals di Londra. Una scelta per cui potrebbe finire sotto accusa visto che Tsonga si è nuovamente infortunato, anche se si tratta di un problema muscolare di non grave entità, e ha lasciato prevalere il croato che ha conquistato il secondo punto vincendo 6-3 7-5 6-4. «Ammetto di aver giocato un grande tennis — si applaude il ragazzo di Medjugorie —, non ho mai perso il servizio mi sento bene fisicamente e se il capitano Krajan lo vorrà potrò giocare ogni giorno. Ne parleremo e decideremo nella riunione di squadra». Yannick ha spiegato dopo il match che l’infortunio di Tsonga era a un adduttore: «Quando è tornato negli spogliatoi per il time out medico ci siamo chiesti se fosse il caso di continuare a giocare, ma sia lui che io abbiamo ritenuto che fosse importante tornare in campo per lottare e per onorare tutta la gente che era venuta a sostenerci». Oggi la Francia sarà chiamata a dare l’anima per restare in gara annullando il match point alla Croazia: «Fino a che non saremo morti cercheremo di inventarci qualcosa per recuperare», ha concluso Yannick Noah, che ha condotto la Francia a tre vittorie ma senza mai partire in svantaggio. La palla passa a PierreHugues Herbert e Nicolas Mahut, uno dei doppi più collaudati e vincenti nonché finalisti alle Atp Finals di Londra battuti da Bryan-Sock… [SEGUE].


La vita romantica dell’ultimo eroe della racchetta (Roberto Petretto, Nuova Sardegna)

Forse anche per i millennials il nome «Panatta» non è del tutto sconosciuto. Di certo è un marchio inconfondibile per chi di anni ne ha almeno quaranta. Da molti considerato il più forte tennista italiano di tutti i tempi, braccio d’oro, fantasia al potere e uno sguardo mai distratto verso i piaceri della vita al di fuori di un campo da gioco, Panatta è un vero uomo di spettacolo. L’uscita del suo nuovo libro è l’occasione per una chiacchierata: sul tennis, sui diritti, sugli uomini e le donne, sulla politica. E anche sulla Sardegna. Nella copertina del nuovo libro non c’è Panatta, ma Roger Federer. Scelta che Panatta spiega così: “Federer perché per me è il più grande di tutti. Se devo fare un libro che racconta gli ultimi 50 anni di tennis, metto in copertina quello che, secondo me, è stato ed è il più grande. Poi non è un libro autobiografico, volevo raccontare quello che è successo negli ultimi 50 anni”. Copertina eloquente, titolo altrettanto: «Il tennis è musica». Ma il tennis è ancora musica? “Sì, un po’ più caotica di quella dei miei tempi forse. Il tennis è musica perché è armonia, quando giocavamo noi era musica un po’ diversa. Oggi è più frenetica, più strappata, un po’ meno melodica. Ma uno come Federer, e questo è un altro motivo per cui è in copertina, racchiude un po’ tutto, rappresenta il tennis degli ultimi 50 anni. Avrebbe potuto giocare anche negli anni ’60, ’70, ’80, sarebbe stato comunque fortissimo. Lui è uno dei pochissimi che avrebbe potuto giocare bene con le racchette di legno. Gli altri no». Nel suo cameo nel film «La profezia dell’Armadillo», interpreta sé stesso, in un surreale dialogo con un ragazzo che svolge un’indagine di mercato, e esalta la bellezza di un colpo piatto, di una bella volée, dello stile che viene prima del risultato. Non è solo una filosofia tennistica, quella di Panatta, ma anche di vita: “Quel “pof-pof’ racchiude un po’ tutto, una metafora di quello che penso io. E non solo nel tennis. A me non piacciono gli eccessi, ma sono pensieri di un vecchio giocatore e anche di un vecchio uomo, ormai”. Scorrendo le pagine si colgono spunti che vanno ben oltre il tennis: i campioni ci sono tutti, ma Panatta ha una predilezione per i tennisti che giocavano in un certo modo, magari simile al suo, ma anche per quelli che avevano qualcosa da dire e hanno fatto qualcosa anche al di fuori del campo da tennis. Noah, Navratilova, Mauresmo, Ashe. “Arthur Ashe è stato un esempio, ma ci sono anche Martina Navratilova o Billie Jean King, donne e giocatrici che hanno fatto delle battaglie importanti. Ashe è stato per me un grande esempio di eleganza, raffinatezza, educazione e di buon senso. Uno che ha sofferto, ha subito la discriminazione razziale e ne è uscito fuori portando avanti le sue battaglie in maniera coerente e senza violenza verbale”. Anche Panatta le sue battaglie le ha fatte. Le magliette rosse in finale di Davis a Santiago del Cile sono un’icona: “Ho sempre preso a cuore le persone che stavano peggio di me, rispetto a quelle che stavano molto bene. Pur avendo grande rispetto per chi sta molto bene, sia chiaro. Mi ricordo quando andai a giocare la prima volta in Sudafrica, rimasi sbalordito, c’erano ancora i cartelli «onlywhite» sulle panchine, mi ricordo l’incontro di Davis con le tribune riservate ai bianchi e solo uno spicchio per i neri. Per me era inconcepibile”. A proposito di Coppa Davis, Panatta ha un giudizio tranchant sul nuovo format (incontri concentrati in una settimana, a fine stagione) studiato, tra gli altri, dal giocatore del Barcellona, Piqué: “L’hanno rovinata — dice —. Piqué pensi a giocare a pallone. Sono completamente contrario”. Insomma, a 68 anni, Panatta non perde il vizio di parlare chiaro. Lo scontro e la polemica non lo spaventano. E dai dissapori con la Federtennis italiana è nato uno scontro che ha tra le conseguenze l’esclusione dell’ex campione da quello che era il suo giardino di casa: il Foro Italico: “Non mi sento escluso dal Foro Italico. Siamo un paese libero: posso andare al Foro Italico quando voglio. II Foro Italico sta nel mio cuore, nei miei ricordi. Non andarci è una mia scelta. La polemica con la Federazione? Dico la verità: lei, tra l’altro, scrive per un giornale della terra del presidente federale, ma ormai di questa storia non mi importa, non ci penso proprio”. Però a molti appassionati fa un certo effetto vedere che al Roland Garros lei viene trattato con tutti gli onori e al Foro Italico viene ignorato: “Non serve riparlarne. Figuriamoci se alla mia età sto ancora a pensare a ‘ste cose qua…” Foro Italico, Roma. Casa Panatta, in pratica. Sempre bellissima, affascinante, ma malandata. Non ho neanche un sentimento di rabbia, piuttosto di dispiacere nel vederla ridotta, per certe cose, in questo stato. Sporca, piena di buche, con i cassonetti strapieni, con alcune periferie trascurate. Però mi rendo conto che è difficile gestire una città così grande. Io la conosco bene, sono stato anche consigliere comunale, ho vissuto un periodo della mia vita in cui mi sono occupato della mia città direttamente. Roma è molto complicata, certo è che non l’ho mai vista così come è oggi”. E quando gli si chiede se ritornerebbe a un impegno in politica, è netto: “Mai più, mai più, mai più… mai più (quattro volte – ndr). Innanzitutto perché non ho più voglia. Poi perché si riesce a combinare poco. Mi sono divertito molto a fare l’assessore alla Provincia di Roma, dove avevo un ruolo più operativo per cui sono riuscito a fare delle cose anche belle. Onestamente non me ne frega più nulla”. Tennis, motonautica, tv, cinema, politica, imprenditoria, libri. Cos’altro ha in programma Panatta? “Cerco di fare, di volta in volta e al meglio, le cose che mi piacciono. Non è che ho in testa un progetto ben preciso. Faccio più televisione, ho fatto radio, mi piace molto cimentarmi in cose diverse. II tennis è stato una cosa bellissima, sia quando giocavo sia quando ho fatto il dirigente: 30 anni della mia vita. Ora basta, faccio altre cose. Essere monotematico non mi piace”. Molti campioni dello sport sono stati segnati dallo stress: “A me sembra di non essere stato segnato (ride). Sono segnato nel fisico, come tutti. Sono pieno di dolori, ma a chi gioca a un certo livello alla fine i dolori vengono fuori. Siamo delle vecchie macchine da corsa consumate. Però non mi posso lamentare”. Altri hanno pagato ben altri prezzi. Di Borg scrive che a un certo punto è riuscito a trovare la chiave dell’esistenza, a «starsene tranquillo». Una chiave che forse Panatta ha sempre avuto: “Io non sono tranquillo mai, perché sono curioso, mi piace interessarmi a tante cose. Devo stare sempre in attività. Con l’ offshore ho smesso perché con l’età era diventato troppo rischioso, a parte che «m’ha detto bene» tre o quattro volte e non era più il caso di andare avanti. Faccio quello che mi piace fare. La televisione, scrivere un libro…” Panatta un rapporto privilegiato lo ha avuto anche con la Sardegna. Si racconta questo aneddoto: entrò a fare parte del team del manager-coach Ion Tiriac che lo voleva portare a giocare una serie di tornei estivi in America, in preparazione degli Us Open. Si dice che la risposta fu: «Grazie Ion, ma io l’estate la trascorro in Sardegna». Episodio autentico: “Più o meno (ride), diciamo di sì. È un po’ romanzato… [SEGUE].