Federer a casa, Svitolina da paura. E Anderson continua a sorprendere
3 – le sconfitte rimediate in tutto il 2018 da Kevin Anderson contro tennisti non nella top 20 (o nella classifica della settimana della partita o in quella attuale). In quest’ultima tipologia rientrano tennisti come Djokovic (vincitore sul sudafricano nella finale di Wimbledon), Tsitsipas (a Estoril e Toronto), Edmund (a Melbourne) e Coric (a Indian Wells). Non considerando il ritiro a Roma contro Bedene, il 32enne sudafricano quest’anno ha perso partite in cui la sua classifica era decisamente migliore solo con Simon (a Pune), Leo Mayer (al tie-break del terzo set al Queens) e Gasquet (a Tokyo). Numeri che confermano la grandissima continuità di rendimento avuta quest’anno da Anderson, vincitore a febbraio della prima edizione dell’ATP 250 di New York, finalista a Pune e Acapulco (oltre che a Wimbledon) e semifinalista ai due Masters 1000 di Madrid e Toronto. A Vienna, dove giocava per la quinta volta, ha conquistato la sua prima finale nella capitale austriaca penando in entrambi gli incontri che ha dovuto affrontare per raggiungerla (ha approfittato del walk-over di Melzer nel secondo turno e del ritiro di Coric, dopo che il croato aveva perso il primo set). Al primo turno ha dovuto annullare un match point a Basilashvili (4-6 7-6 6-3), 24 ATP e in semifinale ha avuto invece bisogno di due ore e mezza per eliminare Verdasco (6-3 3-6 6-4), 30 ATP. Nella finale contro Kei Nishikori, in precedenza sconfitto in una sola occasione nei cinque precedenti, ha giocato il suo miglior tennis della settimana e ottenuto il sesto titolo della carriera, corroborando la sua candidatura a outsider nelle ATP Finals, ormai matematicamente raggiunte.
4 – le sconfitte rimediate da Marin Cilic nelle ultime cinque partite da lui giocate. Preoccupano per il croato, 6 ATP, non solo i recenti insuccessi, ma anche la classifica degli avversari che nell’ultimo mese lo hanno sconfitto. Infatti, ben tre dei tennisti che lo hanno battuto non sono nella top 50 (Querrey in Davis sulla terra di Zadar, Struff a Tokyo e Copil a Basilea) mentre Jarry, vincitore sul croato a Shanghai era comunque solo 48 ATP. Il punto più basso è stato toccato dal croato proprio allo Swiss Open: negli ultimi cinque anni e mezzo solo una volta (contro Stepanek a Stoccarda) Marin era stato sconfitto da un avversario non tra i primi 90 della classifica mondiale, come accaduto la settimana scorsa con Copil a Basilea. E dire che il vincitore degli US Open 2014 aveva iniziato l’anno arrivando in finale a Melbourne e dichiarando di puntare alle primissime posizioni del ranking: il rendimento non è stato mai all’altezza delle sue stesse aspettative. Un solo torneo vinto (al Queens) e due semifinali ai Masters 1000 di Roma e Cincinnati rappresentano un magro bottino per Cilic, ancora non matematicamente qualificato alle ATP Finals. Uno scenario totalmente imprevedibile per lui, solo qualche mese fa.
5 – le vittorie di Kei Nishikori contro top ten, nelle dodici occasioni che li ha incontrati nel 2018. Una buona percentuale stagionale (42%) per lui, seconda solo al 61 % (11 successi in 18 partite) con cui il nipponico chiuse il 2014. Un dato utile a testimoniare la ritrovata alta competitività di uno dei tanti tennisti di vertice (Djokovic, Murray, Wawrinka) costretto a chiudere anticipatamente il 2017. Nel suo caso, ai Canadian Open, per colpa di un delicatissimo infortunio al polso destro, per il quale fu scongiurata per pochissimo l’operazione chirurgica. Rientrato in gara solo lo scorso febbraio, ripartendo dai Challenger (ha vinto il secondo e ultimo giocato, a Dallas), è stato bravo a non perdere fiducia in se stesso quando è sceso in classifica sino al 37° posto nel ranking. Una costante ascesa in classifica gli ha permesso di presentarsi a Vienna da 11° giocatore al mondo, un ranking ottenuto senza nessun particolare acuto, ma grazie a una continuità che gli ha consentito una serie di piazzamenti importanti (finale al Masters 1000 di Monte Carlo e all’ATP 500 di Tokyo, semifinali agli US Open e agli ATP 250 di Metz e New York, quarti a Wimbledon, Shanghai, Roma e Washington). Ritroverà la top ten -abbandonata quando si era infortunato nell’agosto 2017- entro fine anno e la finale conquistata a Vienna lo ha confortato maggiormente in tal senso. L’unico set smarrito per garantirsi l’opportunità di giocare la scorsa domenica per il titolo, lo ha smarrito al primo turno contro Tiafoe (7-6 5-7 6-2), 45 ATP; poi non ha trovato particolari opposizioni contro Khachanov (duplice 6-2), 19 ATP; Thiem (6-3 6-1); 7 ATP; Kukhushkin (6-4 6-3), 71 ATP. In finale poco ha potuto dinanzi ad Anderson, vincitore in due set (6-3 7-6 in suo favore).
9 – i successi di Roger Federer agli Swiss Indoors. Un torneo nato nel 1970, dotato di più di 2 milioni di dollari di montepremi e reso prestigioso da un albo d’oro firmato non solo dalle vittorie dell’idolo di casa, ma anche da quelle di vari ex numeri 1 del ranking mondiale come Novak Djokovic, Bjorn Borg, Ivan Lendl, John McEnroe, Boris Becker, Stefan Edberg e Pete Sampras. Roger, nato l’8 agosto di 37 anni fa proprio a Basilea, conferma di avere un feeling speciale con il torneo nel quale da piccolo faceva il raccattapalle: dopo la scorsa settimana, ha portato il suo bilancio complessivo nel torneo svizzero a settantuno vittorie e nove sconfitte, pari a una percentuale di successo del 88,75%. Escludendo le ATP Finals, giocate in questi sedici anni dallo svizzero in varie location e, soprattutto, condizioni di gioco e considerando esclusivamente Majors o tornei vinti dallo svizzero almeno quattro volte, solo in tre tornei (e per percentuali irrisorie) Roger ha una tasso di successo migliore di quello detenuto agli Swiss Open. Accade ad Halle (nove titoli, 63 vittorie e 7 sconfitte, pari al 90 % di successo), Dubai (sette trofei, 48- 6, 88,88%) e Wimbledon (otto coppe messe in bacheca, 95-12, 8878%). In questa particolare classifica, dopo Basilea vengono invece Melbourne (sei Australian Open vinti, 94-13, 87,85%), gli US Open (cinque titoli, 78-11 87,64%), Amburgo (quattro trofei, 32-5, 86,48), Indian Wells (cinque successi, 62-12, 83,78%), Cincinnati (sette coppe portate a casa, 46-9 83,63 %) e Parigi (1 Roland Garros vinto, 65-16, 80,24%). Non bastano cinque partite giocate tra lampi folgoranti della consueta classe cristallina e (rari) momenti di buio pesto, ingigantiti da errori gratuiti inspiegabili e da un rendimento al servizio troppo ballerino (undici break subiti nel corso del torneo), a togliere i dubbi a chi è preoccupato per il Federer visto sui campi da Miami in poi nel 2018. Tanto più che lo svizzero nella sua strada per il titolo ha avuto come test sul suo stato di forma avversari non di primissimo livello: a Basilea la scorsa settimana ha affrontato un solo top 20 (Medvedev) e appena altri due top 40, Kraijinovic e Simon, giocatori ai quali ha anche ceduto un set prima di riuscire a portare a casa l’incontro. Tuttavia, il novantanovesimo titolo della carriera dello svizzero mette un punto fermo sulla sua ancora grande determinazione a disimpegnarsi nel circuito ai consueti altissimi livelli: le (per lui) inusuali esultanze nei momenti difficili degli incontri e la gioia al momento delle vittorie hanno, almeno in questo senso, confortato.
13 – la posizione nel ranking di Sloane Stephens a fine 2017. La 25enne tennista nata nel sud della Florida è, dopo Bertens, la giocatrice – tra quelle la scorsa settimana protagoniste a Singapore – che a fine 2018 migliorerà di un numero maggiore di posizioni, ben otto, la propria classifica. Una stagione positiva per lei: quest’anno aveva la grossa responsabilità di dimostrare che lo splendido trionfo agli US Open del 2017, torneo vinto con la classifica di 83 °giocatrice al mondo (sebbene falsata da un lungo infortunio di circa un anno) non fosse stato casuale per una tennista, che solo nel 2013 aveva chiuso la proprio classifica nella top 30. Eppure, il contraccolpo successivo a un successo così grande e inaspettato c’era stato: Sloane, successivamente agli US Open, vinceva, tra ottobre e febbraio, solo tre partite, perdendo in cinque casi contro avversarie non comprese nella top 50. Il ritorno sul cemento nordamericano la faceva però rinascere: vinceva il Premier Mandatory di Miami sconfiggendo ben tre top 10, una zona di classifica che la settimana successiva al torneo giocato in Florida raggiungeva per la prima volta. Nel prosieguo della stagione mostrava una continuità tale -eccezion fatta per l’eliminazione al primo turno di Wimbledon- da consentirle di salire sino al numero 3 del ranking e di raggiungere le finali al Roland Garros e a Montreal. Anche a Singapore si è spinta sino all’atto conclusivo del torneo, senza perdere un match nel round robin, giocato contro Bertens (7-6 2-6 6-3), Osaka (7-5 4-6 6-1) e Kerber (6-3 6-3), prima di avere la meglio in semi su Pliskova (0-6 6-4 6-1). In finale, anche con qualche rimpianto, si è arresa a Svitolina (3-6 6-2 6-2), chiudendo il 2018 contro le top ten con un ottimo bilancio di 8 successi e cinque sconfitte.
14 – i successi rimediati da Elina Svitolina nei nove tornei successivi al suo secondo titolo a Roma (e dodicesimo della carriera): con questo mediocre rendimento la 24enne ucraina si è presentata a Singapore per le WTA Finals. Con la vittoria degli Internazionali d’Italia, l’ex numero 3 del mondo vinceva la 26°partita – a fronte di sole sei sconfitte- della sua brillante prima parte di 2018, oltre che il terzo torneo dell’anno (dopo i successi ai Premier di Brisbane e Dubai). Elina sembrava lanciata anche per essere finalmente protagonista nei tornei del Grande Slam (dove è arrivata solo tre volte ai quarti di finale) ma invece, a partire da Parigi, entrava in un periodo di grossa involuzione nei risultati, che le costava ben tre eliminazioni cocenti al primo turno (Wimbledon, Wuhan e Pechino) e una sola semifinale, raggiunta a Cincinnati. La classifica ne aveva inevitabilmente risentito e sino all’ultimo la sua qualificazione alle WTA Finals era stata in dubbio. A Singapore, nell’ultimo torneo stagionale, Svitolina ha elevato notevolmente il livello del suo tennis ed è arrivata in finale, stando in campo quasi otto ore e mezza, ma senza perdere nemmeno un match nelle quattro partite affrontate. Dopo una facile partenza contro Kvitova (duplice 6-3), è sempre dovuta ricorrere al terzo set per avere la meglio, ancora nel round robin, di Pliskova (6-3 2-6 6-3), Wozniacki (5-7 7-5 6-3) e, in semifinale di Bertens (7-5 6-7 6-4). Pur costretta a perdere un altro set, anche in finale si è imposta su Stephens, divenendo la prima tennista, dopo Serena Williams nel 2013, a vincere il torneo senza essere sconfitta in nessun match. Chiude il 2018 con un invidabile score di 9-3 contro le top ten, migliore in assoluto tra le giocatrici di vertice nel 2018.
89 – la classifica di Gilles Simon a fine 2017. L’ex numero 6 del mondo (nel gennaio 2009) sembrava destinato a un declino irreversibile, dovuto all’inevitabile logorio psicofisico per un tennista dall’ottima carriera. Nato a Nizza nel dicembre 1984, Gilles era stato già capace di vincere dodici titoli in carriera (l’ultimo nel 2015), di stare circa trecento settimane nella top 20 e sconfiggere almeno una volta i numeri uno della recente epoca (Federer, Nadal, Djokovic e Murray). Tuttavia, era difficile credere potesse giocare bene questa stagione, con trentatré anni già sul groppone e, soprattutto, reduce da un 2017 mediocre, nel quale aveva raggiunto i quarti solo in due tornei. Invece, un 2018 iniziato subito bene con la vittoria del titolo a Pune (in finale su Anderson) nella prima settimana del 2018, è continuato ancora meglio, con un altro torneo messo in bacheca (Metz), la finale a Lione e una serie di buoni piazzamenti (tra cui gli ottavi a Wimbledon). Con grande umiltà dopo otto anni è tornato anche a giocare nei Challenger, un atteggiamento che ha pagato. Il francese ha infatti buonissime chance di chiudere il 2018 tra i top 30, un bel premio per un 34enne innamorato del tennis (solo Federer e Verdasco, tra chi sta davanti a lui in classifica, sono più “anziani”).
93 – la classifica di Marius Copil quando questa settimana ha iniziato il torneo di Basilea, dove è arrivato reduce da sei sconfitte nelle ultime otto partite. Una bella soddisfazione per il numero 1 romeno, negli ultimi anni omaggiato quattro volte di una wild card al Masters 1000 di Madrid dal patron del torneo, il connazionale Ion Tiriac. Un modo, per l’ex manager di grandi campioni come Boris Becker, di aiutare un settore maschile della sua patria, che se nel corrispettivo femminile vive un periodo brillante con Simona Halep, attraversa un momento di grande di difficoltà. Sebbene il tennis maschile rumeno sia stato anch’esso capace in passato di produrre un numero 1 del mondo (Ilie Nastase, tra il 1973 e 1974) attualmente, vede invece il suo secondo miglior giocatore fuori dai primi 280 posti del ranking ATP. Marius, dotato di un ottimo servizio, nonostante buone potenzialità, non aveva sin qui raggiunto risultati brillanti nel circuito maggiore: già dal 2012 ha chiuso la stagione nei primi 200, ma solo nel 2017 ha terminato l’anno nella top 100. Inoltre, solo due volte in venti occasioni totali aveva vinto contro un top 20 (a Pechino nel 2012 su Cilic e a Brisbane nel 2014 contro Simon). Dal 2014, almen0 una volta all’anno, ha raggiunto i quarti in un evento ATP : quell’anno a Brisbane e Stoccolma, nel 2015 a S’Hertogenbosch, nel 2016 ad Anversa e nel 2017 a Metz. Come si vede da tali risultati, il tipo di tennis che lo caratterizza, lo fa rendere al meglio su superfici rapide, possibilmente al coperto. Lo scorso febbraio a Sofia, sempre in condizioni indoor, è arrivato in finale -dove è stato sconfitto in tre combattuti set dal bosniaco Basic- senza perdere nemmeno un set. Dopo quell’exploit non era stato capace di ripetersi, raggiungendo appena un quarto di finale (a S’Hertogenbosh) e vincendo appena una partita contro un top 40. A Basilea, dopo essersi qualificato al tabellone principale senza lasciare un set a Lajovic, 49 ATP, e Misha Zverev, 72 ATP, si è guadagnato la semifinale, sempre senza concedere un parziale agli avversari. Ryan Harrison (6-2 7-6), 59 ATP; Marin Cilic, primo top ten sconfitto in carriera (7-5 7-6), 6 ATP; Taylor Fritz (7-6 7-5), 57 ATP, e Sasha Zverev (6-3 6-7 6-4), 5 ATP gli hanno lasciato strada e consentito di vivere la settimana più bella, almeno sinora, della carriera. In finale ha fatto bella figura, ma si è arreso in due set davanti a Roger Federer e al tifo da Coppa Davis che lo sosteneva.