Delpo-Nadal: El Clasico (Lopes Pegna). Del Potro il newyorkese (Azzolini). La gratitudine e i rimpianti per Leonessa Schiavone (Clerici). Del Potro ritrova Nadal: “Sarà la solita battaglia” (Semeraro)

Delpo-Nadal: El Clasico (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport)

I ragazzi che vengono da Tandil hanno trasformato l’Arthur Ashe nella Bombonera. Cori da stadio per Juan Martin Del Potro, loro concittadino. Ride di gusto l’argentino: «Sono i miei amici d’infanzia: bevono birra e si divertono. Ma non fanno niente di male, creano una bellissima atmosfera e rispettano l’avversario». E lo faranno anche quest’oggi durante El Clasico: la sfida numero 17 con Rafa Nadal. Appuntamento alle ore 22 italiane. La bilancia pende nettamente dalla parte dello spagnolo: 11-5. Del Potro non lo batte dall’Olimpiade di Rio nel 2016 in semifinale, ma ci sono un paio di dati che fanno morale. Uno: sul duro il confronto è cinque pari; due: qui a Flushing aveva perso la semifinale dell’anno passato (in quattro set), ma quando conquistò gli Us Open del 2009, sempre in semifinale aveva eliminato proprio lo spagnolo in tre set. C’è ancora fresco in vetrina il loro ultimo duello. Il quarto di finale a Wimbledon, neppure due mesi fa. Vinse Nadal, ma il numero uno del mondo era andato sotto due set a uno, prima di chiudere con un doppio 6-4. Delpo riparte da lì: «Mi piacerebbe riuscire a giocare come in Inghilterra: sono andato davvero vicino a batterlo». Rafa conferma: «Juan Martin è bravissimo sull’erba. È stato un match durissimo». Ha un’eccellente memoria storica della sua carriera. L’altro giorno ha elencato tutte le sue magagne di questi anni: una lunga lista. E dunque sa bene quali potrebbero essere i suoi punti critici con l’argentino: «Anche quella di domani (oggi, n.d.r.) sarà una partita tosta. Perché affrontarlo sul duro è molto più impegnativo che sulla terra di Parigi (vinse in tre set la semifinale, n.d.r.), dove comunque nella prima frazione sono stato un po’ fortunato». Rafa aggiunge: «Ci conosciamo da anni e lui adesso sta giocando bene. Per superarlo dovrò presentarmi con un tennis di altissima qualità». Non bastasse, Rafa ha impiegato 15h54′ per completare i suoi cinque incontri. Solo nei quarti, contro Thiem, è stato in campo 4h49′: il suo match più lungo agli US Open e il più lungo del torneo fino adesso. Del Potro se l’è cavata con 12h10′ in campo, significa una partita in meno. «Sono stanco? Io no, le mie gambe sì», aveva scherzato il maiorchino. Del Potro è sempre roso dal rimpianto degli infortuni per cui ha buttato gli anni migliori: dove sarebbe potuto arrivare senza quel maledetto polso? Tre interventi chirurgici lo avevano fatto rinculare a numero 1045 della classifica a inizio 2016, e saltare 14 Slam in otto anni. Alla fine di quella stagione era tornato a trionfare in un torneo (Stoccolma), nel 2017 era sbucato alle semifinali di un Major (qui a New York) dopo quattro anni. Contro Rafa Nadal, che vinse in quattro set… Ora è in risalita: successi ad Acapulco e Indian Wells (contro Federer) e sconfitta in semi a Indian Wells (Isner) e in finale a Los Cabos (Fognini). Delpo avverte il rivale: «Quando sono al 100% so di rappresentare un pericolo per tutti e adesso sono soddisfatto del livello del mio gioco. Dopo tutti i problemi, anche se non dovessi vincere, è venuto il momento per celebrare». Con una carriera pure lui scandita dagli acciacchi, Nadal è un po’ più malinconico: «So di non avere davanti ormai troppi match di questa importanza. È il motivo per cui riesco a godermi il momento»[SEGUE].


Del Potro il newyorkese (Daniele Azzolini, Tuttosport)

A New York lo considerano uno di loro, ma Del Potro l’aria non ce l’ha. I veri newyorker sono aspri, senza riguardi, affamati di vita e di opportunità. Lui ha gli occhi morbidi, quasi timidi, come molti “ex bambini” troppo alti, o troppo grossi. Occhi da manzo. Un manzo nella terra dei cow boys metropolitani… Ma piace. «Qui mi vogliono bene, mi sento a casa, è il mio torneo preferito». È lo Slam che ha vinto, il primo e il solo: nel 2009, anche lì rimontando, condizione per lui indispensabile. Prima si concede, poi va all’assalto. E dall’altra parte c’era Federer avanti di un set e di un break nel secondo set. Era il suo momento, quella stagione ormai lontana nove anni. Incontrò Rafa Nadal quattro volte e gli strappò tre vittorie. Una, sempre agli Us Open, fu brutale proprio come piace ai newyorker, un triplice sei a due e addio Rafa. E invece quel 2009 fu l’anno che avviò Delpo in uno dei più lunghi tunnel che un tennista abbia dovuto sopportare.  Tre operazioni ai polsi, tre ricadute, tre lunghi periodi di sosta a partire dal 2010. Nel 2017 il rientro definitivo, il primo contatto coni più forti. La scoperta di riuscire a batterli ancora, tutti. Questo 2018 è il primo anno in cui Delpo, Nano, Enano (il tennista con più nickname) sta bene. È terzo in classifica, non per nulla. E risultati alla mano ha giocato fin qui – siamo alle semifinali – gli Us Open migliori di tutti. Ha lasciato un set a Isner (e ci sta) che poi ha travolto. Molto di più è stato costretto a dannarsi l’anima Nadal, che ha rischiato con Khachanov, ha lasciato un set anche a Basilashvili e addirittura due a Thiem. Dicono però che Delpo, quando incontra Rafa, si smonti da solo. Qualcosa di vero c’è, i testa a testa dicono Nadal: 11-5. Ma se si contano i match giocati nei periodi in cui Delpo stava al meglio, le distanze si assottigliano… [SEGUE].


La gratitudine e i rimpianti per Leonessa Schiavone (Gianni Clerici, Repubblica)

Mi telefona un amico dalla Rai. “Guarda che non sono a Flushing Meadows”, gli dico. “Sono costretto a seguirlo in televisione”. “Eri a Parigi otto anni fa” insiste lui. “Perché?”. “Non ti ricordi della Schiavone?” “È già passato tanto tempo?” domando, e mi viene in mente una ragazza sdraiata in mezzo al Roland Garros, le labbra ricoperte di terra rossa, dopo aver averla baciata. “Cosa vuoi sapere?” chiedo. “Se ti ricordi qualcosa?”. Mi si confondono le idee, per l’emozione, ma non posso non rispondere. Rivedo una ragazzina che già avevo visto giocare come un maschietto al Tennis Club Alberto Bonacossa, il mio club milanese. La ricordo giocare con Daniela Porzio, che mi diceva che prima o poi sarebbe arrivata lontano. Veniva da Brescia, e da allora, nei tornei presi a chiamarla Leonessa, memore del Carducci, che aveva chiamato in quel modo quella città dopo l’insurrezione del ’49 contro gli austriaci. Venni poi a sapere, per il suo rispetto delle righe che mi parevano somiglianti ai binari, di un papà tranviere, e da buon lombardo mi dissi che anche la fenomenale Carla Fracci aveva un papà tranviere. Cominciai a seguirla, con viva simpatia, sino a quel giorno in finale, contro la Stosur, la campionessa d’Australia. Non andò a rete meno della sua avversaria, che più spesso passò. Poi, su quel Central Court che aveva baciato, ritornò l’anno seguente, per essere battuta dall’arbitra. Si chiamava, l’arbitra, se ben ricordo Engzell, e, mentre Francesca tentava di trascinare al terzo la cinese Li-na, le tolse la palla buona per l’accesso al terzo. Vidi, e tutti videro, quella pallina maledetta rimbalzare all’incrocio delle righe a sinistra di Francesca, in televisione, ma l’arbitra volle aver ragione, e insistette nel suo No. Con ogni probabilità la sua testardaggine impedì a Francesca la seconda vittoria al Roland Garros, riuscita sinora al solo Nicola Pietrangeli. Ora ha deciso, a 38 anni, di smettere le gare, di voler diventare maestra, forse professionista. Non posso non augurarglielo, anche se le due professioni sono diverse. Voglio ringraziarla di cuore per quanto ha fatto, per un Roland Garros riuscito, e l’altro, quello mancato, a causa di un’arbitra testarda. Più che testardo, ma in modo diverso, mi è parso Millman, che avevo sottovalutato nella sua vittoria su Federer. Contro Djokovic, ritornato – credo – il miglior Djoko, sostenuto dalla moglie Jelena, dal coach Vajda e dall’esperto Dodo Artaldi, non ha sbagliato un solo rovescio, tenendolo anche lungo. La vittoria di Nole si è quindi basata sul maggiore talento, e su una maggiore insistenza sul diritto avverso, che qualche volta quel mirabile regolarista erra. Mi perdonino i lettori se non ho orientato il pezzo su Osaka e Nishikori, per la prima volta nella storia del Giappone entrambi in semifinale. Storico.


Del Potro ritrova Nadal: “Sarà la solita battaglia” (Stefano Semeraro, Stampa)

Juan Martin Del Potro, il tennista che visse tre o quattro volte, è ormai un eroe popolare, il Bolivar della racchetta, adorato non solo in Sudamerica, e a New York, tierra de gringos, si trova benissimo. È lì che ha vinto il suo unico Slam, nel 2009, dando una ripassata a Nadal (che però soffriva per uno strappo agli addominali) in semifinale e asportando il big match ad un percosso e attonito Federer. Nove anni dopo, il Genio non è una minaccia, il Niño, l’antagonista latino, invece è sempre lì, ad aspettarlo in semifinale. Come l’anno scorso quando anche il dirittone mundial del gaucho, dopo cinque turni in cui era sembrato inafferrabile ed entusiasmante come il Che, dovette arrendersi al ruggito del più forte. «Contro Rafa sarà una battaglia, come al solito», dice Palito. Il bilancio dei precedenti è 11-5 per Nadal, che ha vinto gli ultimi tre incontri – dopo New York 2017, a Parigi e a Wimbledon quest’anno. Il cemento è la superficie preferita da Del Potro, il caldo umido di quest’anno può però dare una mano a Rafa, ammesso che abbia recuperato dalle quasi cinque ore di wrestling contro Thiem di due giorni fa. «Non mi è mai capitato di giocare in condizioni simili — dice Djokovic, che se la vedrà nell’altra semifinale contro Nishikori — sembra di stare in una sauna, ogni match mi devo cambiare come minimo dieci magliette». Rafa dovrà alzare le percentuali di servizio, Juan Martin collimare il diritto sul rovescio del Number One, e sperare che i suoi polsi affaticati da 4 operazioni 4 reggano le accelerazioni mancine del Cannibale… [SEGUE].


La banda del salamin spinge Del Potro (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Mentre Rafa Nadal martedì faceva le ore piccole all’Arthur Ashe Stadium contro Dominic Thiem, partita finita alle 2,04 di notte, dov’era Juan Martin Del Potro? Aveva passato la serata a Manhattan, al ristorante Tony’s Di Napoli, con la “Banda del Salamin”. In tutte le partite che gioca Delpo a Flushing Meadows, lassù, in piccionaia, c’è sempre ad accompagnarlo e a incitarlo un gruppo di 14 persone. Impossibile non sentirli e non vederli. Sono gli amici di infanzia del tennista argentino, da quando aveva 5 anni, quelli che gridano a più non posso «Y pegue, y pegue, y pegue, Delpo, pegue» che vuol dire «e picchia… Delpo, picchia». Si fanno chiamare la ‘Banda del Salamin’, che poi è un tipico prodotto della cucina di Tandil, dove è nato Del Potro e da dove provengono tutti i suoi amici, che per vederlo a New York hanno organizzato il viaggio da mesi. «Abbiamo chiesto a Delpo – ha raccontato Manuel Mallo, uno dei 14 – dove preferiva che lo seguissimo, e lui ci ha detto senza pensano un attimo New York». Del Potro finora ha fatto vivere ai suoi amici un torneo spettacolare e oggi ci si aspetta un altro momento indimenticabile con la sfida in semifinale contro Rafa Nadal. «La Banda del Salamin – ha detto il tennista argentino – sta seguendo questo torneo molto speciale per me. Ma lo è soprattutto per loro, che per la prima volta hanno la opportunità di vivere quello che vivo io: come sono questi appuntamenti, com’è qui la gente, tutte cose difficili da spiegare». La “Banda del Salamin” è diventata un po’ la cabala di JMDP. «Se non fossero restati fino in fondo – ha detto Delpo ridendo – non sarebbero stati più miei amici». Loro non ci hanno pensato nemmeno un secondo a lasciare in anticipo l’hotel di Brooklyn dove sono alloggiati, perché la grande speranza è di vederlo nuovamente in finale, e magari rivincere gli U.S. Open come successe nel 2009… [SEGUE]. Nadal e Del Potro (11-5 i confronti diretti) in semifinale agli U.S. Open si sono già affrontati nel 2009: il torneo lo vinse l’argentino. L’anno scorso a trionfare fu lo spagnolo. Questa è la terza volta che i due si trovano di fronte nel 2018, dopo la semifinale del Roland Garros e i quarti a Wimbledon: entrambi gli incontri sono stati vinti da Rafa. È la quarta sfida negli ultimi cinque Slam. È ovvio che l’argentino in questo momento stia giocando il suo tennis più bello dal ritorno dopo gli infortuni, nel 2016 (un calvario che era comunque iniziato nel 2010). Ma c’è anche il dubbio che si tratti del suo top «all-time». «Davvero non so se sto giocando il mio miglior tennis in carriera – il suo giudizio dopo aver sconfitto John Isner nei quarti – di sicuro mi sto sentendo molto bene». Il suo dritto è una delle armi più potenti e devastanti di tutto il tour; però Del Potro sta anche servendo a livelli altissimi: contro lo statunitense, altro bombardiere, ha vinto l’89% delle prime palle, offrendo all’avversario solo tre break-points, poi tutti annullati. Eppure, forse, il segreto sta nel rovescio che continua a crescere. «Questa è una delle ragioni per cui è tornato nella Top Five» ha detto Isner dopo la sconfitta… [SEGUE].