Il servizio che a Fognini continua a mancare (Clerici). Fognini KO a Wimbledon. Resta Giorgi (Guidobaldi). L’erba di Nadal è ritornata verde (Crivelli). Il principino è tornato. Occhio a Gulbis (Azzolini)
Il servizio che a Fognini continua a mancare (Gianni Clerici, Repubblica)
Confesso di aver appallottolato e gettato via le mie note, alla fine del match che Fognini ha perduto contro Vesely. Un mio vicino di poltrona, Roberto, ha scosso il capo dicendomi: “Gianni, non ti rendi conto di far come lui?”. Mi sono pentito. Ho torto marcio nel credere ancora che Fognini sia un giocatore così talentuoso da superare quelli che devono essere i suoi complessi, i suoi squilibri, mentre sono soltanto errori tecnici, colpi sbagliati o auto malgiudicati, cose che accadono a qualsiasi giocatore in cattiva giornata. Come oggi ne ha avuto una Fabio, malconcio tanto da apparire fasciato come una mummia, all’intervento del fisioterapista. Nel momento in cui questi toglieva una vecchia fasciatura per applicarne due nuove, Fabio aveva già perso il match. Mi è venuto in mente la sua sconfitta dell’anno scorso, contro Murray non ancora del tutto malconcio, e il mio incontro con Angelo Tonelli, il più vecchio fotografo italiano, che mi aveva detto, all’incirca: “Gli manca qualcosa a Fabio. José Perlas, che lo ha allenato quattro anni, dice un servizio all’altezza del suo gioco, e che per questo deve superarsi, contro avversari certo meno dotati, come quel Vesely”. Che oggi lo ha sommerso di aces, sulle 13 palle break. Avevo rivolto la stessa domanda ai presenti, tutti giornalisti professionisti, e ne ricordo uno, che indicava con un dito, una zona vicina all’ipotalamo, mentre un altro, nella delusione, offriva una opinione irriferibile. Contro il servizio mancino, e perciò spesso ingiocabile per il taglio esterno sull’erba già strapazzata per il caldo londinese, ci sarebbe voluto qualcosa di più delle ribattute odierne. Forse Fabio avrebbe dovuto ascoltare i commenti di sua moglie Flavia Pennetta, meno sorpresa dello scriba nel commentare, credo da Milano, il tennis incredibilmente curioso, e insieme efficiente, di una cinesina di Taipei, una con l’indimenticabile nome di Hsieh, fin qui presa in qualche considerazione per i suoi risultati positivi in doppio. Questa cinesina, se così posso chiamarla come si usava, gioca non solo due rovesci tanto simili da non permettermi di capire quale sia la mano guida, ma, ogni tanto, tira da destra una sorta di diritto mai visto né immaginato, che sorprende talmente da assicurarle il punto. Con simili colpi inattesi la Hsieh è riuscita, in una inimmaginabile rimonta, a superare la n° 1 del mondo, la Halep, in un match che la Pennetta mi ha spiegato con una profonda saggezza di commentatrice. Non vorrei lasciarmi andare ad un confronto.
Fognini KO a Wimbledon. Resta Giorgi (Laura Guidobaldi, Giorno – Carlino – Nazione Sport)
Fabio Fognini è finito ko in 4 set (7-6 3-6 6-3 6-2) con lo stesso avversario, il ceco Vesely (n.93 ATP) un anno fa qui battuto in 3 set. Ha mancato ancora una volta il traguardo degli ottavi, raggiunti invece negli altri tre Slam. È la peggiore sconfitta — in termini di classifica dell’avversario — di “Fogna” in 10 presenze in Church Road. «Ho fallito 13 pallebreak quando basta a volte trasformarne una sull’erba per vincere un set». Era l’ultimo dei 9 italiani al via nel maschile. Così Camila Giorgi sarà l’unica italiana in gara nella seconda settimana di Wimbledon. È stata dunque… una decimazione. Camila era la sola azzurra nel femminile che ieri ha perso anche la nona top ten su 10 con la favorita n.1, Simona Halep, regina a Parigi ma sempre deludente sull’erba. Sola superstite nell’ecatombe la n.7 Karolina Pliskova. Oggi i Doherty Gates restano chiusi. Giorgi domani affronterà la russa Makarova in una sfida inedita. La vincente troverà nei quarti Serena Williams o Rodina. Intanto Rafa Nadal, battendo De Minaur 6-1 6-2 6-4, si assicurato la leadership ATP fino a metà agosto, perché Federer — qui campione in carica — può solo perdere punti se non si ripete. O fare gli stessi.
L’erba di Nadal è ritornata verde (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
L’inguaribile sete di dominio dei vecchi, i desideri montanti dei giovani. Generazioni contro e il teatro per un pomeriggio è il Centrale del circolo più affascinante ed esclusivo del mondo. Ma non è ancora tempo di rivolta, non è ancora tempo di nuovi supereroi: l’erba torna a esaltare protagonisti che parevano perduti per questi prati… [SEGUE]. Rafa non ha ancora perso un set e non poteva essere il teenager De Minaur a metterne in pericolo la serie: l’australiano con padre uruguaiano e madre spagnola diventerà il nuovo Hewitt, ma per adesso è troppo tenero e senza un colpo di peso per minare le sicurezze del satanasso di Maiorca, gongolante pure per il clima secco e l’erba quasi battuta che evita scivolate pericolose e non gli insidia le delicate ginocchia. Con il successo, Nadal conserverà il numero uno qualunque risultato gli riesca a Wimbledon: «Non è la mia priorità, l’importante è stare bene. Dieci anni fa ci riuscivo per la prima volta proprio qui, adesso è diverso: allora pensavo di meritarmelo perché da tre anni stavo ottenendo risultati grandiosi». E mentre al polso sfoggia a ogni uscita un orologio da 630.000 euro e fuori dal campo va al supermercato in bicicletta a comprare primizie, le sole preoccupazioni fin qui gli sono arrivate dal regolamento più restrittivo sui tempi morti. Addirittura, nel secondo turno contro Kukushkin ha preso un warning prima ancora che iniziasse il match dall’arbitro Bernardes, con cui c’erano state storie tese già nel 2015, perché ha sforato il minuto a disposizione dopo il riscaldamento e adesso rischia una multa di 17.000 euro: «Non conoscevo la norma, qui non c’è l’orologio che ti avverte». Minuzie che gli scivolano addosso, l’obiettivo è andare lontano, lontanissimo, magari verso l’incrocio mitologico con Federer all’epilogo, dieci anni dopo l’indimenticabile vittoria del 2008: «Non sono stupido, se arriverò in finale spero di trovare un avversario più malleabile di Roger». Nick Kyrgios si fa spazzare via in tre set da Nishikori mentre senza troppo clamore, Juan Martin Del Potro si qualifica agli ottavi di finale dopo aver battuto in tre set il francese Benoit Paire. Sempre loro, che da sei Slam si dividono la gloria come se il tempo si fosse fermato. Solo che stavolta non sembrano soli: dimenticate le parole affrante di quel pomeriggio disperato al Roland Garros, Djokovic torna a occupare il centro della scena come quando (2011, 2014 e 2015) trattava questi campi come il giardino di casa. Gli inglesi, dopo il trionfo della Nazionale, sperano nel bis di Edmund, ma 18 ace di Nole, 41 vincenti e appena 15 gratuiti spengono il fuoco del giovane lord, malgrado la piccola follia di un punto assegnato all’idolo di casa nel terzo set con tre errori arbitrali incorporati: doppio rimbalzo, palla fuori e tocco della rete. Il Djoker confuso e incerto di un mese fa avrebbe perso la testa, la nuova versione così simile a quella dei tempi d’oro dall’episodio distilla la cattiveria per chiudere i conti: «Non è stata una bella situazione ma l’ho gestita bene»… [SEGUE].
Il principino è tornato. Occhio a Gulbis (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Il giovane principe del gasdotto sa ancora irradiare calore, le volte che la scintilla del tennis torna a sprigionarsi, e con essa la voglia di accendersi. Tipo strano, Ernests Gulbis, multiforme nelle personalità che gli si agitano dentro, un caso che va ben oltre la bipolarità, capace magari di assemblare fino a cinque, o sei distinti “ego” tutti in lieta baruffa fra loro. In queste giornate sull’erba sembra prevalere l’ego del “sarò come mi vogliono”, del quale offre comunque delle interpretazioni sui generis: sbaciucchia le fan fra un cambio di campo e l’altro, svuota il borsone dell’avversario ritenendo sia il suo. E tira legnate, cosa che ha sempre fatto con grande diletto, sostenuto da un talento come se ne vedono pochi in giro… [SEGUE]. Figlio di Ainars e di Elina, Ernest Gulbis. Il papà azionista di punta di uno dei gasdotti più importanti d’Europa, la mamma attrice drammatica. Arte e gas, evidentemente, producono nel tennis una combinazione ad alto contenuto pirico, supportata nel caso di Ernests dalla fisicità di nonno Alvils, cestista, e donatore di un dna appropriato alle imprese sportive. Il problema è la testa, come sempre succede. E la testa di Gulbis è stata avviata al tennis attraverso i buoni uffici di Nikki Pilic, campione slavo, gran maestro e capitano di Davis: un jet privato muoveva due volte a settimana da Riga per prelevarlo a Monaco e portarlo sul campo di Villa Gulbis a insegnare tennis al piccolo, che la mamma voleva sempre con sé. E che cosa pensate possa immaginare un ragazzino, in tutto quel tramestio? Che non avrà mai bisogno del tennis per fare carriera, il minimo.. E che i milioni dei montepremi (sette, a oggi), per uno come lui non sono niente di più che “argent de poche”, come ebbe a definirli non troppo tempo fa. Il resto lo hanno fatto gli svariati “ego” che a turno prendono possesso del soggetto. Raggiunta la Top Ten nel 2014 (al decimo posto), Ernests ritenne che il più era fatto, tanto valeva occuparsi d’altro. «Non ho condotto davvero una vita d’atleta», confessò l’anno scorso. La traduzione è scontata: belle donne, ore piccole, bevute interminabili e parecchi allenamenti saltati. Sensi di colpa? Un po’. Soddisfazioni personali? A seconda della ragazza caduta nel letto. Scontata la massima da ripetersi ogni santo giorno: «Ma cos’è la felicità se non fare come cavolo vi pare?». Poi però, Gulbis torna savio. E tennista… [SEGUE]. «Non pensavo che Zverev crollasse nel quinto, ma è successo perché io ho giocato davvero bene. Lui è forte, ma non imbattibile». Se ne stanno accorgendo, nel circuito. Sascha è insieme fortissimo e superabilissimo. Gulbis, che il tennis lo conosce, ha capito subito come fare, allungando gli scambi, trattenendosi dagli eccessi, evitando di regalare troppi punti, e in altre occasioni tempestandolo. Su queste variazioni, Sascha perde la brocca e la misura dei colpi. Gli capita quando non è lui a comandare. Dopo il sesto scambio si fa prendere dalla fregola, e il più delle volte sparacchia dove capita. Un altro bruno stop per il numero uno del futuro (e numero tre, oggi): al tredicesimo Slam giocato, il gruzzolo presenta un ottavo a Wimbledon l’anno scorso e un quarto all’ultimo Roland Garros. Troppo poco, davvero.
Cade anche Halep. Taiwan festeggia grazie a Hsieh (ri.cr., Gazzetta dello Sport)
Colpita e affondata. Pure lei, che a Parigi aveva finalmente sfatato il tabù Slam e fin qui era riuscita a salvarsi sul campo di battaglia che è diventato il tabellone femminile. Fuori la Halep, dunque, la numero uno del mondo che conserverà il primato ma non può evitare di trasformarsi nell’ultima vittima di una rivoluzione in rosa che porta alla seconda settimana solo una delle prime dieci teste di serie (la Pliskova) e appena cinque delle prime 16. Simona, pur incartandosi nei soliti balbettii che l’accompagnano quando la temperatura agonistica sale, si issa fino al set point nel decimo game del terzo set, ma la taiwanese Hsieh lo annulla con un meraviglioso rovescio lungolinea e poi con le sue parabole velenose e i tagli improvvisi finisce per conquistare il bottino pieno. La sorridente Su-Wei, 40 WTA, in patria è una leggenda dal 2013, quando proprio a Wimbledon vinse il doppio della distensione insieme con la cinese Shuai Peng e venne accolta all’aeroporto da una cascata di fiori profumati. Dopo quel successo il padre rivelò che la figlia aveva un’offerta da un milione e mezzo di euro per cambiare cittadinanza e trasferirsi appunto in Cina, che resta in ogni caso il nemico giurato. Il governo di Taiwan trovò subito le sponsorizzazioni (in particolare da una fabbrica di birra) per tenerla nel paese, ma ancora oggi c’è chi pensa che la presunta offerta fosse un bluff per ottenere più finanziamenti… [SEGUE].