Tennis donne: non raccontatemi balle! E neppure voi di ATP e ITF
da Londra, il Direttore
Una volta le sorprese arrivavano nei tornei maschili e quasi mai in quelle femminili. Le gerarchie donne erano molto più solide. Evert e Navratilova arrivavano sempre in fondo. Si diceva che il tennis maschile era più competitivo in profondità. Da tempo le cose sono cambiate. Ma non sono sicuro che dipenda dalla maggior profondità del tennis femminile, come i dirigenti della WTA vorrebbero far credere. Secondo me – e lo dico senza voler rubare il mestiere al mio esperto di tennis femminile AGF, né magari contraddirlo (ho preferito non anticipargli quanto sto scrivendo, per non condizionarlo) – la verità è un’altra. È il vertice che è enormemente scaduto. Una Stephens è capace di trionfare all’US Open, poi di beccare una serie impressionante di sconfitte, poi di risorgere, quindi di conquistare una finale al Roland Garros, per poi arrivare a Wimbledon e perdere al primo turno in poco più di un’oretta e facendo appena quattro game con la signora Wawrinka (Vekic suvvia).
E che garanzie di continuità danno le altre top-ten? Pochissime, siamo onesti. Non le danno neanche se hanno sfiorato la leadership mondiale di recente e penso alla Pliskova, per esempio, che vince ogni morte di papa. Che dire della Svitolina nei Majors? Idem con patatine. Nella seconda giornata dei Championships sono scomparse di scena altre due top-ten e mi ha stupito più il k.o. di Petra Kvitova che qui ha trionfato due volte, 2011 e 2014 e secondo me era ben più favorita per una terza affermazione che la n.8 come diceva il seeding di quanti mi abbia meravigliato la sconfitta della n.6 Garcia con la Bencic. La Garcia è salita incredibilmente nelle classifiche grazie al suo eccellente finale di stagione nel 2017, ma io fatico a considerarla una campionessa. Invece la Kvitova per me campionessa lo è, decisamente. E quest’anno aveva anche raggiunto nuovamente una bella continuità. Tant’è che nella Race 2018 verso Singapore era terza. Ma con la Sasnovich ha ceduto di schianto nel terzo set, addirittura 6-0. Mah, resto perplesso. Quattro top-ten fuori al primo turno… non sono sicuro di ricordare che sia successo altre volte e vorrei avere il tempo (che non ho) per fare questa ricerca. Magari lo avrà qualche cortese lettore. Che potrà allargare anche ad altre eliminazioni impreviste, compresa – anche se personalmente non mi ha stupito – quella della Sevastova ad opera di Camila Giorgi, notoriamente capace di tutto, nel bene e nel male.
Comincio a dubitare, per chiudere l’argomento sulle… ladies first, che Maria Sharapova riesca nuovamente a tornare sui livelli che aveva un tempo. È stata n.1 del mondo, ha vinto 5 Slam. Ha vissuto varie vicissitudini, alcune se le è un po’ cercate, ma anche se a vederla in viso non ha né rughe né segni di precoce invecchiamento, sembra davvero accusare implacabilmente il peso dei 32 anni (ad agosto…) sul campo, molto più che allo specchio. Ha servito per il match con la Diatchenko, qualificata russa n.132 WTA e non di primissimo pelo con i suoi 27 anni, e invece di far valere la sua maggior esperienza Masha ha tremato. Era stata avanti anche 4-2 nel secondo set, poi nel terzo è stato tutto un valzer di break e controbreak. Ma, insomma, anni fa questi match Masha li avrebbe fatti suoi senza neppure sudare, tantomeno soffrire. E non solo nel 2004 quando non ancora diciottenne trionfò qui su Serena nella finale di Wimbledon. Chiudo il capitolo donne augurando a Camila Giorgi di vendicare le tre sconfitte subite con la “pallettara” americana Madison Brengle (della cui complessa storia con la causa legale intentata all’ITF per i troppi blood-test cui è stata sottoposta abbiamo scritto più d’una volta). Superarla sarebbe per Camila una discreta prova di maturità per una ragazza assai carina ma che troppo matura non è mai sembrata, forse perché cresciuta in mezzo a non poche difficoltà di vario tipo che secondo me hanno avuto un peso sulla sua discontinuità a dispetto di un sicuro talento.
Passando al lato uomini, registro che come Roger Federer lunedì con Lajovic nella seconda giornata dei Championships ancora baciati dal sole hanno letteralmente passeggiato sull’erba Rafa Nadal con il piccolo israeliano Dudi Sela (con il suo metro e 75 è più alto soltanto della pulce argentina Schwartzman, 1,70) e anche Novak Djokovic con l’americano Sandgren che pure in Australia si era imposto all’attenzione generale e non solo per una serie sciocchezze che gli erano uscite dalla bocca in conferenza stampa. Sono usciti di scena invece due top-ten, l’austriaco Dominic Thiem n.7 del tabellone e ritiratosi dopo due set persi con il veterano cipriota Baghdatis – ha denunciato un problema ad una spalla – e anche il belga Goffin, n.10, che ha avuto la sfortuna di trovarsi di fronte l’australiano Matthew Ebden che a 30 anni gioca un po’ come gli australiani della generazione…Kooyong. Quando tutti, anche senza chiamarsi Newcombe, Roche, Emerson, Stolle (più che Laver e Rosewall che veri serve&volleyer non erano, soprattutto Muscle Ken), giocavano ancora serve&volley sull’erba e l’impianto di Flinders Park – oggi Melbourne Park – era lungi dal nascere. Ma a differenza di Kvitova fra le donne, né Thiem né Goffin potevano considerarsi candidati alla vittoria finale. Quindi, ok, due sconfitte inattese, ma niente di davvero traumatico per il torneo.
Il bilancio azzurro dei 10 nostri rappresentanti, 4-1 dopo la prima giornata (aveva perso solo Travaglia), è 7 a 3 dopo la seconda. Sei italiani al secondo turno a Wimbledon non li avevamo mai avuti. È un fatto che non può che far piacere. E non è che Sonego sia apparso tanto inferiore a Fritz, sebbene l’aver fatto soltanto 7 games fra secondo, terzo e quarto set, sottolinea che una differenza c’è stata. Le cronache le potete trovare nell’articolo dedicato ai tennisti italiani. Bravi tutti direi, vincitori e sconfitti, anche se menzione speciale meritano Bolelli per aver battuto un giocatore di spessore come Cuevas – anche se l’uruguagio non è davvero un “erbivoro” tant’è che aveva perso tre volte al primo turno e una al secondo qui – e ovviamente Berrettini che ha avuto la meglio su Sock nonostante il trauma di due set perduti al tie-break. Sock era stremato alla fine, però Matteo è stato bravissimo a restare lì con la testa, lui che nel torneo junior qui – ha raccontato – “persi 14-12 al terzo da Rublev ed ero morto. Mi dissi allora: non ce la farò mai a fare cinque set sull’erba, dove ci si deve piegare fino a terra e per me che sono alto… Significa che ho lavorato bene per ritrovarmi in questa condizione fisica”.
Berrettini ha certo fatto progressi anche nei colpi più deboli, leggete quel che ha detto sul suo rovescio, ma ovviamente è con il servizio e il dritto che riesce a farsi rispettare. Salirà ancora in classifica anche se dovesse perdere con quel vecchio volpone di Simon “avrei preferito affrontare su un campo in terra rossa come a Parigi… piuttosto che sull’erba”. In 12 Wimbledon Simon ha fatto anche un quarto e un ottavo di finale e quattro terzi turni. Però ha 33 anni e viaggia per i 34 (a dicembre). Ma se anche Matteo dovesse perdere con Simon, Fabbiano con Wawrinka, Seppi con Anderson, Lorenzi con Monfils – tutti giocano contro pronostico, forse proprio Matteo è quello con il compito meno impossibile – almeno un italiano al terzo turno lo avremo. Io credo che Bolelli abbia buone chances di battere Fognini. Fabio in 9 Wimbledon ha raggiunto solo 3 volte il terzo turno. E di Bolelli ricordo qui alcune eccellenti e vittoriose prestazioni con Gonzalez, Wawrinka e altri, ma anche sconfitte più che decorose, tipo quella con Nishikori contro il quale andò vicinissimo a vincere. Comunque sia, l’uno o l’altro, dopo potrebbe avere il piccoletto argentino Schwartzman che insomma sull’erba è tipo giocabile. Divertente il racconto di Simone Bolelli, sesto in lista di attesa per essere ripescato. “Sapevo che tre sarebbero entrati…poi uno dopo l’altro entravano dentro, fino a che come già a Parigi Dolgopolov ha dato forfait…gli dovrò offrire una cena! E onestamente se c’era una superficie sulla quale preferirei affrontare il mio amico Fabio… è l’erba”. E Fognini avrebbe detto: “Sono sicuro che se potesse scegliere dove affrontarmi… Simone opterebbe per l’erba”.
Difatti così è stato. C’è da augurarsi soltanto che la pressione del derby non giochi a Fognini lo stesso scherzo dell’ultimo derby in uno Slam, quello con Travaglia all’US Open. Fu a seguito del comportamento di Fabio in quel match e dei pesanti insulti rivolti all’arbitro donna dell’incontro che Fognini fu espulso dal torneo senza poter giocare il doppio al fianco di Bolelli. Continuo a rinviare, causa la lunghezza di questi editoriali già insostenibili per molti lettori, un argomento che mi sta a cuore e del quale ho parlato con Steve Flink nel video in inglese. Quello della guerra in atto, e più che dichiarata, fra ATP e ITF. L’ATP che tramite il direttore dell’Australian Open Craig Tiley dichiara quanto segue per il grande global event che l’Australia vuole lanciare a partire dal 2020, la World Team Cup, strizzando l’occhio ai giocatori con l’annuncio di un grande prizemoney, e l’ITF che rimprovera all’ATP (ma dovrebbe rimproverare Tiley che è il direttore di uno dei suoi 4 Slam…) di non aver cercato di collaborare con l’ITF: “We do feel that this was an opportunity missed by the ATP to work together with the ITF in a beneficial and positive way for the whole of tennis”. Beh, si stanno tirando proprio gli stracci.
I giocatori sono stufi dei dirigenti dell’ITF; per loro sono poco più che vecchi tromboni. E il progetto Davis di Haggerty è talmente campato in aria che merita di essere bocciato dai giocatori e anche dai Paesi che andranno a Orlando ad Agosto. Mi auguro che se ciò avverrà l’attuale presidente abbia poi anche il coraggio di dimettersi. Tuttavia a Parigi parlandomi mr Haggerty mi era parso persuaso di vincere quella battaglia per la rivoluzione della Davis. Sospettai allora che troppi dirigenti di nazioni di secondo piano fossero stati invitati al Roland Garros nella speranza di convincerli a votare a favore del progetto. Si sa come sono andate tante votazioni per certe manifestazioni sportive, le Olimpiadi di Sochi, i Mondiali di calcio nel Qatar (che non si sa neppure se potranno essere giocati in piena estate in stadi con l’aria condizionata, oppure a dicembre…). Del resto anche noi non abbiamo grande stima dei nostri dirigenti sportivi, quale che sia la federazione di cui ci si trova ahinoi ad occuparci. D’altra parte se sono manifestamente scarsi (in grande numero e con rare eccezioni) i nostri dirigenti politici, perché dovrebbero essere migliori quelli sportivi?
Non sono improvvisamente diventate troppe queste manifestazioni a squadre per uno sport individuale come il tennis? La Davis rivoluzionata, la Laver Cup seppure qual esibizione, la Team World Cup? È chiaro che sono solo questioni economiche e politiche a portarle avanti. Che l’Australia si muova in autonomia rispetto al gruppo dei 4 slam è già strano. Che poi rischi di ammazzare tornei come Auckland, Hobart, Brisbane, Sydney creando un evento pre-Australian Open al quale vorrebbero che partecipassero I migliori tennisti del mondo mi pare ancora più strano. Ben poco hanno a che vedere tutte queste iniziative con il bene per il tennis e la sua promozione. Mi è piaciuta allora oggi una osservazione di Rafa Nadal, che pure aveva spesso espresso riserve sul calendario e la formula dell’attuale Coppa Davis: “Non so quanto la cosa mi riguardi, visto che ho già 32 anni – ha premesso – Non sono contrario di principio a un nuovo grande evento che competa con i più grandi eventi degli altri sport. Si vede in questi giorni l’interesse mondiale che suscita la World Cup di calcio… Ciò detto l’idea che questo evento si debba svolgere ogni anno nello stesso Paese, in Australia, non mi sembra un’idea buona”. Più chiaro di così cosa poteva dire?