Shot clock e Hawk-Eye per tutti agli US Open
Una delle critiche fondate che si rivolgono al mondo del tennis è la disparità di trattamento che vengono riservate ai tennisti presenti nel circuito e una di queste riguarda la presenza o meno di Hawk-Eye – quel sistema che permette al giocatore di sfruttare il replay per verificare la validità della chiamata da parte del giudice di linea. Gli US Open furono il primo torneo Slam a introdurlo nel 2006 (nel solo Arthur Ashe Stadium) e a partire da quest’anno saranno il primo Slam ad avere tutti i campi coperti dall’occhio di falco. A differenza dei quattro stadi principali (Arthur Ashe Stadium, Louis Armstrong Stadium, Grandstand e Court 17) che hanno al loro interno una stanza dove vengono processate le immagini, tutti gli altri campi dell’impianto faranno riferimento ad un ufficio situato nel USTA Billie Jean King National Tennis Center.
Un’altra novità riguarda lo shot clock. L’introduzione di questo cronometro parte da lontano e il suo implemento è stato graduale. Il primo passo ufficiale, dopo tanti dibattiti negli anni precedenti, fu preso nel 2016 quando venne introdotto esclusivamente nel torneo junior, mentre l’anno successivo il conteggio dei secondi arrivò anche nel torneo di doppio. Con la prima edizione delle NextGen Finals di Milano si è appurato ancora una volta come questo sistema non influisca negativamente sullo svolgere del gioco e quindi, nonostante alcune critiche mosse in passato da alcuni giocatori che chiedono più tempo per rifiatare, lo Slam newyorkese ha deciso di implementare lo shot clock anche in singolare a partire dall’edizione di quest’anno. I tennisti quindi dovranno farsi bastare 25 secondi tra uno scambio e l’altro se non vogliono incappare in qualche sanzione. E uno sguardo all’orologio dovranno gettarlo anche durante il riscaldamento, perché dal loro ingresso in campo all’inizio del match non potranno trascorrere più di sette minuti.