Tennis e calcio, il sogno croato di mezza estate
Li avevamo lasciati entrambi un po’ così a Parigi. I sogni di gloria di Borna Coric e del suo staff (“Può fare parecchia strada” ci aveva detto Riccardo Piatti dopo la convincente vittoria del suo allievo su Thomas Fabbiano al secondo turno) erano stati infranti dalla solidità di trottolino Schwarztman. Quelli di Marin Cilic dalla sua nemesi coetanea Juan Martin del Potro, che gli aveva inflitto l’undicesima sconfitta in tredici scontri diretti. Con l’aggiunta dell’amara sensazione di aver meritato molto di più (“Penso di esser stato il giocatore migliore in campo, ma il match si è deciso su pochi punti e li ha vinti lui” aveva detto, accigliato, nella conferenza stampa dopo la sconfitta). Insomma, a Parigi Argentina – Croazia 2-0 e arrivederci.
Gli altri undici, la nazionale croata di calcio, li avevamo lasciati nel novembre scorso, quando si erano qualificati per la fase finale dei Mondiali dopo aver superato nello spareggio play-off la Grecia. Il risultato minimo se si tiene conto della quantità industriale di talento in squadra, ma non così scontato a sentire le voci che riferivano di una squadra non proprio coesa e compatta a livello di spogliatoio.
Li abbiamo ritrovati tutti a cavallo del solstizio d’estate, protagonisti di un curioso intreccio, fatto di risultati importanti. Ha iniziato la nazionale di calcio, prima superando la Nigeria con il più classico dei punteggi calcistici (2-0) e poi regalandosi una di quelle vittorie che rimangono scritte in grassetto negli almanacchi del football: il 3-0 all’Argentina vicecampione del mondo di Messi & Co. A cui va aggiunta, a margine, la scelta del ct Dalic di rispedire a casa il panchinaro scontento Kalinic che il resto della squadra ha serenamente accettato. Fatto che avvalora la percezione che dentro lo spogliatoio croato l’aria sia decisamente cambiata e che di conseguenza tutto quel talento faccia ora fronte comune. E se così fosse, replicare o addirittura migliorare in terra russa lo storico terzo posto di Francia 1998 non appare un’utopia.
Molto probabilmente, anzi quasi sicuramente, non è accaduto. Ma è bello immaginare che ieri Borna e Marin, prima di scendere in campo, abbiano pensato per un momento a come giovedì sera Manduzkic, Modric e tutto il resto della compagnia in casacca a scacchi biancorossi hanno fatto esplodere di gioia la Croazia intera. E che allora, in questa prima domenica d’estate, abbiano avuto uno stimolo in più: quello di mettere il loro sigillo per rendere ancora più indimenticabile questa settimana per lo sport croato, nella quale arrivano i primi due titoli della stagione tennistica 2018.
Ovviamente il risultato più eclatante è la vittoria di Coric su Federer nella finale di Halle. Battere il fuoriclasse svizzero sulla sua superficie preferita, negandogli il decimo titolo in terra tedesca e facendolo abdicare dal trono ATP per la terza volta nel 2018 – in questa schizofrenica sfida con Rafa Nadal fatta di sorpassi e controsorpassi da MotoGP in testa alla classifica mondiale – è anch’essa un’impresa che resterà negli annali dello sport. Basti pensare che sinora a battere Federer in una finale sull’erba era stata solo gente che come minimo è stata n. 2 al mondo (Tommy Haas) se non n. 1 e pluricampione Slam (nell’ordine Nadal, Hewitt, Murray e Djokovic). A sconfiggere “the Swiss Maestro” il 21enne di Zagabria ci era già andato parecchio vicino ad Indian Wells, e in quell’occasione era sembrato che il braccio del giovane croato avesse un po’ tremato nei momenti decisivi. Paradossale, pensando che seppur ancora giovanissimo aveva già portato a casa match decisivi a livello di Coppa Davis, a dimostrazione delle sue capacità di esaltarsi quando la tensione sale in campo.
Ma si sa che circuito ATP e Coppa Davis possono raccontare storie completamente diverse e giocatori che per la gloria personale si sono bloccati a pochi metri dal traguardo sono stati invece capaci di imprese eccezionali in Davis. E viceversa. Ecco, forse questa vittoria è anche un modo per esorcizzare quella sconfitta e dimostrare che non è certo il “killer instinct” a mancare a Borna, a nessun livello. E che, anzi, con il lavoro fatto con Piatti ed il resto del team (a partire dal vice-allenatore Kristijan Schneider che abbiamo visto esultare in tribuna ad Halle subito dopo il match point) non gli manca forse proprio più nulla per fare l’ingresso nel tennis che conta, ovvero la top 20. In realtà al momento gli mancano un centinaio di punti, quelli che lo separano da quella ventesima posizione distante ormai solo un piccolo scalino da quel n. 21 che da oggi per Borna vale il best ranking.
Meno sorprendente la vittoria di Marin Cilic su Novak Djokovic. In fin dei conti parliamo del vice-campione degli ultimi Championships e dell’Australian Open, che ha superato un giocatore che sta ancora cercando di ritrovare pienamente il campione che è in lui, sebbene da questo punto di vista la settimana londinese abbia evidenziato segnali positivi. Che peraltro c’erano stati sia a Roma che a Parigi, nonostante la sconfitta inaspettata contro Cecchinato.
C’è però qualcosa di particolare nella vittoria del tennista di Medjugorje. Spesso in passato, nei momenti caldi del match, Cilic si era visto sfuggire la vittoria di mano. Citiamo gli esempi più recenti. Il match della finale di Coppa Davis 2016 dov’era in vantaggio due set a zero e poi ancora di un break all’inizio del quinto contro il solito del Potro (tanto per tornare all’iniziale leitmotiv della sfida Argentina – Croazia), dando così, di fatto, l’addio all’insalatiera. Era la seconda volta in pochi mesi che bruciava due set di vantaggio in un match decisivo, dato che era capitato a luglio – con l’aggiunta di tre match point non sfruttati nel quarto parziale – contro Federer nei quarti di finale a Wimbledon, dopo aver giocato in maniera splendida per buona parte del match. L’anno scorso ci sono state le sconfitte dopo essere stato ad un passo dalla vittoria contro Zverev e Sock alle ATP Finals, con il terzo gradino della classifica ATP di fine anno sfumato di conseguenza. Infine la palla break sprecata all’inizio del quinto set contro il fuoriclasse di Basilea nella finale di Melbourne del gennaio scorso, quando sembrava avesse ribaltato la partita a suo favore. Insomma, il killer instinct di cui parlavamo prima pareva proprio non fosse patrimonio di casa Cilic.
Ed ecco invece che oggi, sotto di un set e 4-2 nel tie-break del secondo, dopo aver già annullato un match point in precedenza con il servizio, il buon Marin decideva che non poteva essere lui a rovinare proprio all’ultimo giro la settimana magica dello sport croato. Cinque punti consecutivi ed il tie-break era suo. Un finale di parziale che da una parte era l’evidente segnale che Djokovic, seppur in crescita, quel killer instinct che era uno dei suoi tratti distintivi quando era all’apice deve ancora ritrovarlo. Ovvio in tal senso trovare similitudini con l’incredibile tie-break del quarto set contro Cecchinato. Dall’altra, come dimostrato anche dalla solidità con cui ha difeso fino alla fine il break conquistato all’inizio del set e che si è rivelato decisivo per le sorti del match, la fiducia e la sicurezza nel proprio gioco ed in se stesso del n. 5 del mondo. Probabilmente già quella rabbia a stento trattenuta in conferenza stampa dopo la sconfitta parigina contro del Potro era stata in realtà un segnale in tal senso: Cilic era conscio di non essersi perso e spento nei momenti clou come spesso in passato, ma che era stata più una questione di sfortunati dettagli a fare la differenza a suo sfavore.
Vera o falsa che fosse questa impressione, in realtà non importa molto. Importa che nella sua testa ci fosse ben impressa la sensazione di averla persa ingiustamente quella partita. Ci ricordiamo lo sguardo spento e vuoto dopo la sconfitta a Zagabria nella finale di Davis: niente a che vedere con quello corrucciato ed indispettito di qualche settimana fa Parigi.
E allora, con questa aumentata fiducia e sicurezza nei propri mezzi, vuoi non pensare che dodici mesi dopo – senza vesciche o altro di mezzo, perché, diciamolo, il buon Marin ha anche avuto una buona dose di sfortuna nella sua carriera: oltre alla finale di Wimbledon 2017 basterà ricordare la semifinale giocata da infortunato contro Djokovic nell’US Open 2015 in cui era defending champion – l’ultimo atto a Church Road potrebbe avere un esito diverso, proprio come è avvenuto a Palliser Road?
Obiettivamente difficile pensare che dall’altra parte della rete il 15 luglio ci possa già essere proprio Borna Coric, che però dopo quello che ha fatto ad Halle è diventato ufficialmente un avversario che da lunedì prossimo nessuno avrà voglia di ritrovarsi davanti sui campi dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Più probabile, invece, che ci possa essere la terza sfida in una finale Slam nell’arco di 365 giorni contro il fuoriclasse svizzero, il grande sconfitto delle finali di ieri.
Però quel giorno Marin Cilic potrebbe comunque non essere l’unico croato in una finale. Eh, sì perché domenica 15 luglio, guarda gli scherzi del destino, si giocherà un’altra finale: quella dei Mondiali di calcio. E allora, dopo questa settimana da ricordare, ci sta che a Zagabria e dintorni si sogni qualcosa di assolutamente indimenticabile. Un sogno che, seppur lontano, in questo momento appare comunque più vicino alla realtà che all’utopia: una notte di una domenica di mezza estate in cui festeggiare sull’asse Londra-Mosca.