Denis Shapovalov, un buon… paté e non il solito panino fast food

Non sapremo mai come sarebbe finita se Pluvio non ci avesse messo lo zampino sul 3-1 al terzo per Zverev. Fatto stà, che l’acqua è arrivata, la gente è scappata e quando ha ripreso posto Nadal ha fatto suo l’ottavo titolo a Roma, poche settimane fa. Quel che sappiamo, invece, è che Zverev inizia ad incalzare da vicino i signori del tennis, pur lasciando spazio a un filo di domanda: la Next Gen è frutto di rinnovati modelli di gioco oppure è soltanto il risultato naturale dell’esuberanza giovanile?

Dico questo perché, pur se affollato di gente felicemente accoppiata, il tennis rimane sport irrimediabilmente single, anche tenuto conto della disgrazia in cui versa il povero doppio ormai da tempo. Così il gioco della racchetta vorrebbe i suoi eroi disuguali uno all’altro, un po’ come le nuvole, i sassi e le gocce di pioggia. Inseguendo questa idea bislacca, pensavo addirittura che gli ultimi arrivati concepissero qualcosa di nuovo conio contro il tennis forsennato dei giorni nostri, magari frequentando la rete con maggiore entusiasmo. Vado appurando, invece, che, a dispetto di grande prestanza e innegabile agonismo, anche i campioni di domani sembrano impantanati nel copione già recitato dalla past gen, Federer escluso, e anche il tennis del futuro rischia di essere tanto uguale a se stesso da renderli come i cheeseburger di McDonald’s, simili a Sydney come a New York. E, confessando una irrefrenabile curiosità ad assortire i giocatori per affinità fisiche tecniche e tattiche, mi accorgo che, se in tempi andati, appiccicare un’etichetta poteva contare sulla triplice scelta tra attacco, difesa e tutto campo, oggi è sufficiente distinguere tra una maggioranza che randella la palla in modo anonimo e mosche bianche che bucano il video con qualche giocata fuori dal normale.

Rarità, quest’ultime, in cui sopravvive quella spiccata identità che fa tirare un sospiro di sollievo al grande pubblico elevandoli, anche, a comete che illuminano il processo evolutivo. È lo sport! Senza Cassius Clay, il pugilato non avrebbe volato come una farfalla e punto come un’ape, così come il calcio non avrebbe assunto tinte alla Van Gogh senza Maradona. Anche la sfida a distanza tra Jessie Owens e Usain Bolt ha contribuito a schiacciare sotto i dieci secondi le falcate necessarie a bruciare i fatidici cento metri. Insomma, tutta questa filippica per ribadire che senza i fuoriclasse che azzardano qualcosa oltre la zona di comfort, la crescita sportiva sarebbe rimasta al palo già da tempo.

Una fissa, la mia, che si fustiga oltremodo al cospetto del gioco mancino, dopo che il mestiere mi ha dato in sorte allievi sinistri di buon valore mondiale. In totale delirio, dunque, me la sento di dire che Nadal è sicuramente una mutazione in meglio di Vilas e Muster ma ha qualcosa da invidiare a Laver e McEnroe che hanno osato di più. Rimanendo in tema, da qualche giorno vado tracciando la collocazione di Denis Shapovalov, diciannovenne rampollo dal tennis champagne stappato con l’entusiasmo dell’outsider. Nato a Tel Aviv, cresciuto in Canada e residente alle Bahamas, anche il bell’adolescente non sfugge al confronto rivelando di essere più saggio di Leconte e di aver ereditato qualche perla dal buon Laver. Sotto il profilo puramente tecnico, il biondo tennista di sembianze rockettare, potrebbe essere il vero passo avanti rispetto a Nadal, proprio per la tendenza ad allargare la visuale all’intero campo piuttosto che a restringerla alle sole retrovie. Se anche la continuità avrà un ruolo siamo di fronte al nuovo campione. Aggiungo che, rispetto ai destroidi, i mancini mal sopportano briglie a un’istintività assai spiccata per cui Shapo, come risuona in intimità, andrà dove lo porta il cuore allietando, nel frattempo, quello degli appassionati più esigenti che intravedono in lui una innegabile gradevolezza del gioco. Ciò detto, mi lancio dicendo che la sua individualità è la sorpresa più interessante del nuovo che avanza e che, giustamente, il tennis mondiale già guarda a lui come a un paté da guida Michelin più che a un panino da fast food.

Massimo D’Adamo


Massimo D’Adamo è maestro di tennis, giornalista pubblicista ed organizzatore di eventi sportivi. Già Direttore Tecnico del Foro Italico e del Centro Nazionale di Riano, è stato Responsabile in Italia della
formazione Junior, selezionatore e capitano di tutte le rappresentative nazionali. Coach internazionale, vanta collaborazioni con giocatori di Coppa Davis di Italia e Giappone. Ha già pubblicato due libri: “…IN VIA DELL’IDROSCALO” nel 2013 e “VAGABONDO PER MESTIERE” nel 2016.