Impressioni di Parigi: Bautista, Djokovic e l’ingiustizia del mondo
Parigi. L’aria è elettrica. Il cielo è color canna di fucile, la terra lingua di bue. Da una parte della rete c’è un trattato cinetico di psicanalisi. Dall’altra la logica della serialità applicata al tennis. Napoleone-Bonaparte (Djokovic) contro l’Uomo-Più-Normale-del-Mondo (Bautista Agut). Uno che crede ancora di essere l’Imperatore del mondo e l’altro che anche se ci parli per due ore non sai nemmeno che suono abbia la sua voce.
Per i più distratti è solo un terzo turno. Per occhi più attenti è una sliding door definitiva. Si entra in una maniera e si esce in un’altra. Uno di quei momenti speciali che passano un paio di volte nella vita. Per Nole l’opzione è: grande ritorno o psicofarmaci. Per Bautista la meritata promozione nell’ufficio del capo, accanto alla segretaria sexy, o un amaro ritorno in catena di montaggio. Lo so io, lo sanno loro e lo sa tutto il pubblico di Parigi.
I primi due set volano via a corrente alternata. Botte a tutta da fondocampo senza un domani. Nole accanto alla segretaria c’è già stato, e vuole tornarci. Bautista ha comprato i cioccolatini e il vestito nuovo da una vita e non vede l’ora di indossarlo almeno una volta. Lo schema di Djokovic è semplice. Un colpo alla vecchia maniera o un furioso monologo interiore se la pallina esce, se Bautista prende la riga o se qualcuno si permette di dimenticarsi anche solo per un istante che lui è stato il numero uno al mondo, che ha rotto il duopolio Federer Nadal e che è ancora il più grande imperatore francese di tutti i tempi. Lo schema di Bautista è ancora più semplice: le piglio tutte e appena lui rallenta mi sposto sul dritto e urlo Waterloo.
Un set va a Nole e l’altro ad Agut. Il terzo è quello decisivo. Anche il cielo trattiene il fiato. Non si respira per una mezz’ora buona. Un colpo un urlo. Un altro colpo un altro urlo. Sempre più forte. Il mondo fuori dallo stadio diventa lentamente un’astrazione. Il silenzio diventa piombo. Qualcuno vede un cavallo bianco aggirarsi sulla Senna. Da una finestra, dietro a due ciglia che sembrano una delicata architettura barocca, gli occhi della segretaria si staccano dal pc e diventano due fessure.
La pressione diventa intollerabile e fatalmente si trasforma in una sliding door. Cinque a quattro Bautista, trenta pari, servizio Djokovic. È qui che si gioca tutto. Lo scambio è di quelli pazzeschi coi due giocatori trasformati in Pacman cibernetici intenti a disegnare le ali di una farfalla gigantesca sul campo. Nole picchia e Bautista anche. Il pubblico trattiene il fiato. Il cavallo bianco nitrisce.
E appena la pallina arriva finalmente un filo più morbida sul dritto di Bautista, lui sente che è il suo momento. Prima bastona la pallina con tutta la sua forza proletaria, facendo saltare alla segretaria un bottoncino dalla camicetta di seta, e poi, sullo straccetto di Nole, esce trionfalmente dalla fabbrica e fa vedere al mondo che è anche lui un artigiano di lusso e che la classe operaia deve andare in paradiso. Dal suo dritto piatto esce la prima smorzata federiana della sua carriera. Un cioccolatino. Un vestito elegantissimo. La presa della Bastiglia. Fate voi. Nole si proietta in avanti come inseguito dalla moglie all’uscita di una discoteca e tutto quello che può fare è mettere di là una palla disarmata che arriva innocua sul rovescio bimane di Bautista ormai nei pressi della rete pronto a intascare il suo TFR o il bacio liberatorio di Lady Oscar.
A quel punto, mentre la segretaria si scioglie lentamente i capelli e si libera da scarpe castigate, Bautista può fare solo tre cose. Uccellare con un pallonetto facile facile Nole ormai appiccicato alla rete. Andare semplice in lungolinea. O sparare il quattromilionesimo rovescio incrociato della giornata, alzare le braccia al cielo e guardare, dal giorno dopo, il mondo dalla parte dei vincitori.
E invece, siccome il mondo è ingiusto e il tennis è uno sport che assomiglia troppo alla vita, la paura di classe piomba sul suo braccio proletario che, quasi terrorizzato dall’ottenere quello che ha sempre desiderato, si limita a tagliare un rovescio innocuo e depositare la palla sulla racchetta di un Nole più incredulo di lui. E restaurazione fu.