Riforma Davis: una voce fuori dal coro
Mi sento di rappresentare una voce fuori dal coro per dire che sono in generale a favore della riforma, anche se ci sono aspetti che mi convincono poco. La Coppa Davis così com’è non è più sostenibile e sta perdendo rilevanza ogni anno che passa. Ricordiamoci che nulla è eterno, che anche alcuni tornei dello Slam (Australian Open in primis ed anche, in misura minore, il Roland Garros) per certi periodi avevano perso la loro “aura” di élite assoluta.
La Davis ha una grande tradizione, una storia ultracentenaria, ma la formula attuale non si concilia con il tennis attuale: impegnare quattro settimane l’anno per la Davis, in un periodo che va da febbraio a novembre, senza poter sapere con certezza e con un certo anticipo dove si gioca e su che superficie, rende la programmazione troppo complicata. Un evento unico di una settimana, fissato nel tempo e nei luoghi con mesi (o forse anni) di anticipo, è molto più semplice da inserire nei propri programmi. Specialmente se ci sono tanti bei soldini in palio.
Non dimentichiamoci inoltre che la Coppa Davis rappresenta la principale fonte di sostentamento dell’ITF, e che al momento le nazioni organizzatrici dei match di Davis lo fanno in larga parte in perdita. Di conseguenza, da una parte l’ITF deve forzatamente salvaguardare la sostenibilità economica della Davis, pena la stessa sopravvivenza della Federazione, e dall’altra le nazioni membre vedono certamente di buon occhio l’influsso dei dollari di Kosmos che per loro rappresentano un maggiore introito a fronte di un minor carico di lavoro (la logistica della Davis attuale è complicata e costosa, e richiede che vi si dedichino risorse economiche ed umane consistenti).
È certo che la comparsa della Laver Cup e le voci di una possibile World Cup organizzata dall’ATP in gennaio abbiano forzato la mano dell’ITF, che come detto non può permettersi di perdere la propria fonte di sostentamento, per cui è probabile che alcuni degli aspetti più controversi della proposta attuale siano stati inseriti nella speranza di poterli aggiustare in seguito. La data, per esempio, è stata fissata “utilizzando quello che c’era in casa”, ovvero riciclando l’attuale settimana dedicata alla finale di Davis, ma è abbastanza chiaro come iniziare a giocare poche ore dopo la fine delle Nitto ATP Finals a Londra ponga dei notevoli problemi logistici.
Non vedo problemi invece nel trovare impianti adatti ad ospitare l’evento: se pensate a quello che è stato possibile fare a Milano per le Next Gen Finals in una frazione di un padiglione della Fiera di Rho, è abbastanza semplice pensare di poter occupare diversi padiglioni fieristici di uno delle migliaia di centri congressi in giro per il mondo per poter costruire tutto quello che serve, compresi i campi di allenamento per le 26 nazionali impegnate. Si tratterebbe di una soluzione certamente molto costosa, ma i soldi non sembra siano un problema qui. Ricordiamoci oltretutto degli oltre 4 milioni di Euro spesi dalla Federazione Francese per portare la terra battuta a Guadaloupe via nave per il primo turno 2016 contro il Canada, o dei mega impianti costruiti al Palexpo di Ginevra piuttosto che alla Fiera di Dusseldorf o addirittura all’interno del Prater di Vienna per incontri di Davis durati tre giorni.
Oltre alla collocazione in calendario, ciò che invece deve essere rivisto della proposta attuale, a mio avviso, è la collocazione geografica. Attualmente sembra che si sia orientati a far debuttare la manifestazione a Singapore (anche se Piqué e Kosmos spingono per Madrid), ma credo che per i primi anni sarebbe opportuno mantenere la competizione in Europa o, al limite, in Nord America. Bisogna prima creare una nuova tradizione, poi magari si possono affrontare mercati nuovi come quelli asiatici dove il pubblico e meno affezionato alla competizione a squadre ed al tennis in generale. L’Europa, in particolare, è dove sono situate buona parte delle nazioni leader, ed è abbastanza piccola (ed attraversabile rapidamente ed a prezzi contenuti con i voli low cost o i treni ad alta velocità) da poter consentire ad un numero consistente di fans di viaggiare per andare a sostenere la propria nazionale.
Infine mi piacerebbe che si introducesse una clausola che impedisse di ospitare la “nuova Davis” (se così vogliamo chiamarla) in un luogo in cui già si svolge un torneo del circuito. Uno degli aspetti positivi della formula attuale infatti è che si riesce a portare il grande tennis dove di solito il grande tennis non va, dando così la chance agli appassionati che non possono viaggiare di vedere tennis ad alto livello vicino a loro. Scegliere come sede Indian Wells oppure la già citata Madrid, per esempio, anche se dal punto di vista logistico potrebbe essere più semplice, finirebbe per portare ancora più tennis là dove il grande tennis già c’è, quindi ritengo che sarebbe opportuno evitare di tornare nei soliti posti.
È inutile raccontarci fandonie: certi aspetti della Davis attuale andranno persi. L’atmosfera del tifo per la squadra di casa sarà impossibile da ricreare in campo neutro; non si avranno più incontri alle Hawaii, oppure a Guadaloupe o a Vladivostok. Ma li perderemmo comunque se la Davis venisse lasciata intatta a morire di morte naturale. A questo punto credo che un cambiamento, qualunque cambiamento, sia meglio di un rassegnato immobilismo, iniziando così un processo di evoluzione che sicuramente richiederà diversi cicli e possibili, sostanziali aggiustamenti prima di trovare la formula ideale, ma come dice Nadal “qualunque cosa è meglio di non far nulla, se non si fa nulla non cambierà mai niente”.