Papà Tsitsipas: “Quando Stefanos mi svegliò in piena notte…”

da Barcellona, il nostro inviato Federico Bertelli

Stefanos Tsitsipas è nei quarti di finale del torneo ATP 500 di Barcellona (sfiderà alle 12.30 Dominic Thiem). Dopo la netta vittoria di mercoledì contro Schwartzman, c’era la curiosità di vedere come sarebbe andato il giovane greco nel match successivo contro il vecchio volpone Ramos-Vinolas. La partita si giocava sul raccolto campo numero 1 e per puro caso il nostro inviato è capitato a fianco del padre e coach di Stefanos, Apostolos. Al termine del match (vinto da Tsitsipas per 6-4 7-5) abbiamo approfittato della sua gentilezza e disponibilità per fare due chiacchiere.

Siamo curiosi di avere qualche dettaglio su come Stefanos si è avvicinato al tennis. Cosa ci può dire?
Stefanos cominciò a giocare quando era veramente piccolo. Io sono un insegnante professionista di tennis e fin da quando Stefanos ha cominciato a camminare l’ho tenuto nei miei gruppi di piccoli. Chiaramente all’inizio stava solo in compagnia, poi ha cominciato a prendere la racchetta in mano. A sei anni ha iniziato a giocare in un buon tennis club di Atene, da cui in passato erano usciti diversi talenti, ma era solo minitennis, fino agli otto/nove anni. A quel punto arrivò la sua decisione di competere (la decisione sottolinea il padre è stata di Stefanos, un tema che tornerà anche più avanti, ndr). Cominciò a competere nei tornei locali, ma allora non era il suo unico interesse; praticava anche altri sport, come calcio e nuoto, che poi gli hanno fatto bene per il fisico e la coordinazione. Era contento e si divertiva, non era stressato, tutto qua.

Quindi Stefanos non è mai stato forzato nella sua decisione di dedicarsi al tennis?
Sua madre, russa, anche lei era una tennista professionista e faceva parte del team di Federation Cup e in effetti è stata la prima tennista che ho allenato 27 anni fa. Forse lei lo spingeva un po’ di più all’inizio a prendere la racchetta in mano. Io però sono specializzato nel far crescere giovani giocatori di tennis e sono cosciente di quanto sia complicato spingere qualcuno dal punto di vista psicologico; noi possiamo ispirare i bambini, motivarli, fargli intravedere delle possibilità, ma non possiamo prendere le decisioni per loro.

Quindi come arrivò Stefanos a prendere la decisione di diventare un giocatore professionista?
In effetti è una storia divertente: prese la decisione quando aveva 10/11 anni. Dovevamo raggiungere un mio amico in Francia per un summer camp di due settimane e Stefanos venne con me. Fu lui a chiedermi di partecipare alla competizione, si qualificò anche per il Master che si sarebbe giocato tra i migliori otto giovani ragazzi… e lo vinse. Quel giorno mi svegliò nel mezzo della notte e mi disse: “Papà devo dirti qualcosa: voglio diventare un giocatore di tennis, mi piace la competizione, mi piace la sfida”. Decidemmo quindi smettere con gli altri sport che lui all’epoca praticava. Ma è stata una decisione sua.

Quindi praticare sport diversi lo ha aiutato?
Sicuramente, la coordinazione e la partecipazione in altri sport è utile per poter poi decidere. Il suo corpo è migliorato, è diventato più forte. Come dicevo sono specializzato nello sviluppare giovani atleti, e quello che si fa è studiare dei piani personalizzati per capire quali possano essere gli interessi e le potenzialità. Una volta che i ragazzi sono veramente motivati per il tennis vediamo com’è strutturato il loro corpo e quali sono le loro abilità (esplosività, resistenza etc): manteniamo le abilità di base e sui loro punti di forza costruiamo il loro gioco. Abbiamo delle metriche per capire come vanno le cose in modo da sapere qual è il percorso migliore grazie ai numeri.

Considerato che le scelte non sono dettate dal caso, come è nata la decisione di far giocare a Stefanos il rovescio a una mano?
Lui ha giocato sia con una mano che con due fino a 10 anni. Per me è la forma giusta di insegnare, in modo da poter esplorare tutte le possibilità; poi quando a quell’età hanno sviluppato già una certa base tecnica li facciamo scegliere, non vogliamo essere noi a decidere per loro perché è una scelta che poi incide profondamente nel futuro dell’atleta. Crediamo infatti che i ragazzi vadano seguiti, ma senza indicare rigidamente la strada, perché hanno le potenzialità per fare le scelte giuste. Così un giorno gli dissi: “Guarda, oggi è l’ultimo giorno che ti permetto di giocare in entrambi i modi, fai una scelta, e tienila”. Mi ricordo che rimase molto in dubbio, ma alla fine scelse di giocarlo a una mano. Di nuovo fu una decisione sua; i bambini hanno grande capacità di esplorare e di capire, ma se uno distrugge questa plasticità è la fine. I bambini devono essere liberi di decidere, noi dobbiamo solo dare delle linee guida e spiegare che ci sono delle regole ovviamente, ma senza costringerli eccessivamente. Adesso il tennis è la sua vita ed è giusto che prenda le sue decisioni per la sua vita. Prendere una decisione al suo posto, non sarebbe una bella cosa. Puoi essere un buon padre, ma finire comunque per commettere un errore. E anche ora deve essere libero di esplorare, anche oltre il tennis.

Che cosa sta esplorando adesso suo figlio?
È super appassionato di fotografia e video; viaggia con delle videocamere professionali, e mentre viaggia si dedica anche a produrre dei video. È una sua passione, e non gli ho mai detto di non seguirla; se vuole passare 6 o 8 ore a montare dei video non lo forzo, è una sua decisione. È qualcosa che gli piace davvero. Su youtube alcuni di questi video li ha condivisi e anche l’ATP gli ha chiesto di produrre qualche video per fare vedere com’è la vita del tennista da insider. Ad esempio a Rotterdam e Marsiglia gli avevano fornito delle telecamere ufficiali ATP. Ed è una cosa buona, perché così i giovani possono rendersi conto di cosa significa diventare un giocatore professionista e dell’impegno che comporta. So cosa vuol dire per questi bambini, quanto è difficile una scelta del genere, i sacrifici che devono essere fatti, la routine, bisogna essere molto prudenti nel gestire queste scelte. Più volte ho detto a Stefanos che se a un certo punto non se la sarebbe sentiva di essere un giocatore professionista al 100%, non ci sarebbe stato alcun problema. Gli ho sempre detto: “Se vuoi smettere domani, sono con te. Se vuoi provare a vincere uno Slam, sono con te. Se vuoi fare altro, sono con te. La scelta è tua”.

Che cosa ci può dire della forza mentale di Stefanos?
Non sono un mental trainer, però si può allenare quella parte e ovviamente è molto importante nel tennis. In ogni partita circa il 50% dei punti li perdi. Gestire gli errori è complicato, specie in una società che vuole tutto perfetto. Puoi fare attenzione a certi aspetti, allenare determinate situazioni, ma la cosa importante è restare sempre positivi. Devi sempre ricordarti che non esistono molte persone al mondo che abbiano fatto qualcosa di grande senza aver commesso degli errori lungo il cammino. Il tennis è la stessa cosa.

Che tipo di programmazione vi state dando? Nell’intervista che aveva rilasciato ieri a Ubitennis, Stefanos raccontava che il suo obiettivo per quest’anno era finire nei primi 50.
Sì, ci siamo sempre posti una prospettiva di lungo termine e all’inizio di ogni anno fissavamo l’asticella: all’inizio era diventare competitivi a livello juniores in europa, poi a livello mondiale, infine diventare numero 1 a livello juniores. Tutti obiettivi raggiunti anno dopo anno. Nel 2016 l’obiettivo era cominciare ad accumulare punti ATP. L’anno scorso è stato quello più complicato, a causa di problemi fisici e di una preparazione non ottimale, ma quest’anno le cose stanno migliorando. La cosa più importante, al di là degli obiettivi che uno può porsi, è quello di non bruciarsi, di non caricare più del dovuto, crescere col giusto ritmo evitando gli infortuni. Nel tennis moderno con la giusta preparazione la carriera può essere lunga, magari finendo gli ultimi anni nel circuito di doppio; per cui è importante non avere fretta ed essere paziente, avendo cura di lavorare bene.