Diego Schwartzman giganteggia a Rio de Janeiro, trofeo e top 20
Sotto gli occhi di pietra del Cristo Redentore e quelli ben più vivaci del monumento tennistico brasiliano, Guga Kuerten, l’argentino Diego Schwartzman, numero 23 del mondo, ha vinto il torneo ATP 500 di Rio de Janeiro senza perdere un solo set nel corso della settimana. È il suo secondo successo a livello ATP dopo quello di Instanbul (categoria 250) del 2016. In finale l’argentino ha superato lo spagnolo Fernando Verdasco (n.40 ATP), contro il quale aveva vinto nell’unico precedente, al termine di una partita modesta tecnicamente e solo a tratti combattuta seppure più in virtù dei ripetuti errori commessi dai due protagonisti, che non per la qualità dei loro colpi.
IL MATCH
[6]D. Schwartzman b. [8] F. Verdasco 6-2 6-3
Inizio molto incerto da parte di entrambi i giocatori (in termini cari agli appassionati di tressette si direbbe “a ciapà no”). Se un pizzico di emozione era comprensibile per l’argentino alla sua prima finale 500 e alla quarta complessiva, lo era un po’ meno per il madrileno che di finali, prima di questa, ne aveva disputate 22 e vinte (soltanto) 7. Break spagnolo e controbreak immediato da parte di Schwartzman nei due game di apertura, contrassegnati da molti errori non forzati.
Verdasco mulina immediatamente il suo dirittone sinistro a mò di lazo ma son più le volte che ne perde il controllo che non quelle in cui riesce a sfondare le difese del suo avversario che per fronteggiarlo adeguatamente rema un buon paio di metri dietro la linea di fondo avendo solo cura di rimandare la palla oltre le rete. A forza di remi e senza fare assolutamente nulla di straordinario, il numero 18 del mondo in pectore (lo è diventato ufficialmente dopo l’aggiornamento delle classifiche) raggiunge la boa del primo set in trenta minuti, sufficienti per togliere il servizio all’ex numero 9 del mondo per tre volte complessivamente utilizzando tre sole palle break: un record. Un solo punto su nove conquistato da Verdasco con la seconda di servizio è il dato più eclatante – in negativo – della sua performance sino a questo punto ma in generale nulla ha funzionato nel suo gioco nel primo parziale.
Nella prima metà del secondo set Schwartzman fa involontariamente tutto ciò che è nelle sue possibilità per consentire a Verdasco di togliergli il servizio, ma lo spagnolo con un assortimento impressionante di errori gratuiti (e un pizzico di sorte avversa) sventa la minaccia e gli consente di portare a casa, tra gli altri, il quinto game in cui si è trovato a fronteggiare quattro palle break. La qualità di gioco resta modesta, ma il pathos, differentemente che nel primo set è sensibilmente cresciuto e trova la sua piccola apoteosi nel sesto gioco in cui Verdasco lotta come un leone prima di cedere il servizio e, metaforicamente, le armi. Il trentunesimo errore gratuito, rappresentato da un diritto in rete su una “folgore” di seconda a 130 km orari dell’argentino, pone fine alla sua sofferenza. Grazie a questa finale, comunque, Fernando Verdasco guadagna 13 posizioni in classifica e rientra tra i primi trenta giocatori del mondo.
Prima vittoria argentina a Rio de Janeiro, dopo la finale persa nel 2016 da Guido Pella. Schwartzman irrompe per la prima volta in carriera nei top 20 e continuerà la rincorsa al vertice da Acapulco dove, per ironia della sorte, al primo turno incontrerà…Fernando Verdasco. La settimana perfetta del ‘Peque’, più che un riconoscimento del livello di gioco espresso in terra brasiliana, sembra essere il coronamento di un percorso ben più lungo fatto di pazienza e dedizione. Un percorso nato lontano da Rio, per meglio dire nato dal ‘basso’ delle sue radici di tennista dotato di mezzi fisici certamente non all’altezza di tanti dei suoi colleghi, eppure capace di ricucire lo strappo con tutte le altre armi che è possibile rendere proficue su un campo da tennis. Al termine della sua crescita Diego è diventato un tennista solido, volentieri prodigo di buone esecuzioni specie sul lato del rovescio, dotato anche di un buon tocco ma soprattutto scaltro, rapido negli spostamenti e capace di rendere scomoda la partita di ogni suo avversario. Un piccolo gigante.