Lega giocatori: l’ATP trema, ma i big rinunceranno davvero ai loro interessi?
Novak Djokovic, alla vigilia dell’Australian Open, si è riunito privatamente con un centinaio di colleghi e ha discusso con loro su come migliorare la situazione attuale dei tennisti, in particolare soffermandosi sulle difficoltà finanziarie dei giocatori oltre la cinquantesima posizione del ranking. L’intenzione di Novak è mettere in piedi una lega dei giocatori che tuteli i loro interessi. Nella conferenza stampa dopo il match di primo turno contro Donald Young, vinto in tre set, Nole ha precisato con forza che non c’è nessuna intenzione di boicottare in futuro lo Slam australiano, anzi ha detto che la loro intenzione era solo “discutere per i fatti nostri, non capita quasi mai, mentre abbiamo bisogno di cooperare di più fra noi”. Ubitennis ha già sottolineato come l’interesse di Djokovic di gettare acqua sul fuoco delle indiscrezioni sia logico e opportuno nel bel mezzo di uno Slam, essendo per tutti i protagonisti prioritario concentrarsi sulle prestazioni in campo. Ovvio però che la vicenda avrà un seguito.
LE POSIZIONI, VERE E PRESUNTE, DEI GIOCATORI
I primi a parlare alla stampa sono stati Victor Troicki e Ryan Harrison. Il connazionale e amico di Novak ha rimarcato quello che sembra essere stato il vero cavallo di battaglia dell’ex n.1 del mondo nella riunione a porte chiuse: “Gli Slam stanno aumentando i prize-money, ma in maniera molto minore rispetto alla crescita dei loro fatturati. Rispetto al totale degli incassi, ciò che arriva ai giocatori è ridicolo. Un’unione dei giocatori è l’unica cosa che ci permetterebbe di rivendicare efficacemente qualcosa”. Victor faceva riferimento al dato per cui i tornei dello Slam rendono ai tennisti il 7% dell’incasso complessivo, mentre nell’NBA (il basket professionistico americano) ai cestisti ritorna il 50% del totale. Anche il n.4 USA si concentra sul paragone con gli sport di squadra a stelle e strisce: “Quando pensi a un giocatore dell’NBA o dell’NFL (la lega di football americano), pensi a un conto in banca a sette cifre, cosa neanche immaginabile per la maggioranza dei giocatori iscritti ai main draw degli Slam”.
Kevin Anderson, attuale vicepresidente del Players’ Council, vorrebbe dettare una linea più morbida di quella del presidente Djokovic: “La situazione di noi giocatori è migliorata rispetto a 4-5 anni fa: se oggi sei nei primi 100 del ranking hai un ottimo tenore di vita. Il nostro obiettivo è estendere questa situazione ai primi 150-200: capisco che quei ragazzi vogliano di più. Lo meritiamo tutti, ma comprendo anche le istanze altrui”. Gilles Simon, interpellato sulla vicenda, non ha fatto trapelare nulla, limitandosi a dire che non aveva cambiato opinione rispetto al passato, come quando nel 2012 disse che “l’uguaglianza nei pagamenti non funziona nello sport. Il tennis maschile è oggi più interessante di quello femminile”. Ecco, non sappiamo se l’equiparazione dei montepremi per uomini e donne sia stata affrontata dai cento carbonari capeggiati da Djokovic. Sappiamo però che non sono in pochi a pensarla come Gillou. The Telegraph – pur senza riportarne dichiarazioni – cita fra questi anche Alexander Zverev.
Rafa Nadal, dopo il vittorioso secondo turno contro Leonardo Mayer, pur senza esporsi troppo (in un primo momento non voleva nemmeno proferir verbo a riguardo) ha rilasciato qualche dichiarazione interessante: “Il mercato è il mercato e non si può combattere”, qui Rafa rispondeva al parallelismo tra guadagni del calcio e del tennis, dove il primo consente a molti più professionisti di mantenersi rispetto al secondo (“Ci vedi una giusta proporzione tra 6.000 calciatori che guadagnano più di $100.000 l’anno contro 150 tennisti?”). Rafa ha poi aggiunto che ogni sport va per la sua strada e i tennisti e tutto il movimento devono pensare a come rendere migliore lo spettacolo offerto, altrimenti non si otterrà nessun miglioramento. Magari non è il pensiero del n.1 del mondo, ma se si sostiene che “non si può andare contro il mercato” è poi difficile stare dalla parte di chi come Billie Jean King pretende gli stessi premi anche per il movimento femminile, in particolare in questo periodo in cui tra le donne mancano le stelle che invece continuano ad affascinare il tennis degli uomini. Comunque la si pensi e al di là della singola posizione del Re del Roland Garros, è facile che una delle leve su cui agiranno i tennisti per avere una fetta più grande della torta passi proprio dalla rivendicazione di prize money più generosi rispetto alle ragazze. Su questo fronte, non saranno pochi i direttori di tornei che, bilanci alla mano, alzeranno le orecchie.
“Ciò che conta davvero è fare in modo che ci siano più giocatori in grado di vivere grazie al tennis. Per fare questo i tennisti devono parlare tra loro, è secondario parlare di ‘unione’ o non ‘unione’: dimenticatevene”. Rafa dunque condivide in pieno l’impostazione di fondo che ha animato la riunione voluta da Djokovic, mentre non convince la sua esortazione ad andare oltre l’unione, ovvero la lega giocatori. Semplicemente, anche Nadal come lo stesso Nole vuole minimizzare la portata del fenomeno in pieno Australian Open, ma è chiaro che l’unico modo che i tennisti hanno per parlare fattivamente tra loro è proprio attraverso un loro ente ufficiale (di peso ben superiore all’attuale Players’ Council, come vedremo a breve).
LA PORTATA DELLA LEGA GIOCATORI E COSA SIGNIFICHEREBBE FARNE PARTE
L’unione d’intenti di Nadal e Djokovic – che sempre a quanto riporta The Telegraph sembrerebbe trovare un altro grande alleato in Andy Murray – è del tutto condivisibile. Da molti anni l’ATP è l’Associazione dei tennisti professionisti solo di nome, non di fatto. L’organismo presieduto da Chris Kermode è infatti il vero carrozzone che muove la macchina del tennis maschile e dei suoi guadagni (molto più della Federazione Internazionale), facendo gli interessi sì dei giocatori ma anche (leggasi soprattutto) degli organizzatori dei tornei. Un ente unico che rappresenti sia l’interesse dei primi che dei secondi (per natura almeno in parte divergenti) è destinato a partorire un focolaio di rivolta che ha avuto la prima sommossa a Melbourne pochi giorni fa. Gli organizzatori cercano di ottenere il massimo profitto da un torneo, poi nella suddivisione degli incassi devono dividere la torta in varie fette, principalmente a loro stessi e ai giocatori, ma potrebbero intervenire altri attori come ad esempio la municipalità cittadina che stipula un contratto con chi organizza il torneo. Inoltre ci sono le tasse locali, aspetto che – per citare un caso noto – da diversi anni fa mugugnare i big quando si tratta di prolungare la sede delle ATP Finals a Londra.
Oltre all’alto numero di tagli alla torta, ritorna il tema del calendario. La fonte vicina a Djokovic che ha fornito a Ubitennis le prime indiscrezioni sulla riunione a porte chiuse che ha dato il via alla vicenda (il giornalista Vojin Velickovic di Sportski zurnal, quotidiano sportivo serbo) ha insistito sul fatto che oggi il calendario è determinato dagli interessi di tornei e sponsorizzazioni, trattando i giocatori “come gladiatori”. Si potrebbe obiettare che sono gli stessi giocatori che poi si precipitano a prendere parte alle ricche esibizioni che infittiscono ulteriormente lo stesso calendario. Vero, ma è esattamente l’assenza di un vero e proprio sindacato dei giocatori che permette ad ognuno di loro di agire individualmente, senza farsi carico degli interessi di quelli meno in vista, che a queste esibizioni non verranno mai invitati. Istituire una lega di giocatori che prenda decisioni comuni da quelli che vi aderiscono è infatti questione molto delicata. Oltre a sostenerne oneri e costi (amministratori, avvocati, tasse), i componenti devono trovare soluzioni condivise e poi sottostare ad esse. Se sono oltre i 100 del mondo, possono avere difficoltà nell’immediato a sostenere i costi di questo sindacato. Se sono tra i primi venti della classifica, hanno molto da perdere e poco da guadagnare. Facciamo un esempio: se la Lega decide a maggioranza che d’ora in poi, per risultare credibili nella critica al calendario, i suoi giocatori non prenderanno più parte ad alcun torneo ad esibizione, Federer e Nadal dovranno rinunciare a Laver Cup e compagnia. Un sindacato credibile agisce in questo modo, senza eccezioni. Ecco perché pare che non siano in pochi a mostrarsi scettici di fronte a questa proposta.
Non sappiamo se effettivamente Roger Federer abbia ribadito ai colleghi che sia solo l’ATP l’unico organo che deve rappresentare gli interessi del tennis maschile, come ha scritto sempre The Telegraph. Nella conferenza dopo la vittoria al secondo turno contro Struff ha usato tutta la sua diplomazia (altra qualità di cui dispone in abbondanza) per non scoprirsi, limitandosi a sottolineare che è positivo quando i tennisti si parlano fra loro, ma senza dire apertamente se è favorevole o contrario alla lega. Roger ha effettivamente affermato che la percentuale delle entrate dei tornei “non è come dovrebbe”, ma poi, dato il colpo al cerchio l’ha subito dato anche alla botte, difendendo l’operato degli organizzatori in merito al gran caldo e lodando l’ATP. Di certo, una sua dissociazione da questa lega sarebbe coerente e comprensibile. Magari egoistica, ma certamente apprezzabile per l’immediata chiarezza: “Voglio capitalizzare gli ultimi anni di carriera e vi dico chiaramente che non sono dei vostri”, sarebbe il significato di tale dissociazione.
Così come è corretta l’idea di Djokovic, perché l’ATP tutela gli interessi dell’intero movimento, non specificamente dei tennisti, e l’attuale Players’ Council da lui presieduto dallo scorso Settembre non ha nessun peso reale. Lo avrebbe invece questa Lega, appunto nella misura in cui prenderebbe a maggioranza decisioni cui tutti i suoi componenti darebbero seguito, anche chi non le condivide. Se così fosse, i giocatori acquisterebbero molta più importanza di fronte agli organizzatori e, così come per la quota degli incassi a loro destinata, davanti a giornate infuocate come le ultime a Melbourne Park potrebbero davvero fare fronte comune rifiutandosi di scendere in campo. A quel punto le eventuali aminacce di ATP e ITF perderebbero peso e le conseguenze sarebbero imprevedibili e molto forti. Affinché però la lega si materializzasse, occorrerebbe trovare larga disponibilità e pochi… crumiri. Se a Federer (ammesso e non concesso che voglia effettivamente dissociarsi) si unissero altri giocatori in vista, potrebbe crearsi un effetto domino con la conseguenza di scoraggiare Djokovic e gli altri big più volenterosi, che in questa lega, per quanto sopra descritto, hanno molto più da perdere che da guadagnare.
La salvaguardia dello status quo e dell’attuale potere dell’ATP passa da qui, ossia dalla disponibilità dei primi cinquanta del mondo di farsi davvero carico dei problemi dei tennisti che vengono dopo di loro. Migliorare la situazione di questi significa rinunciare a molti vantaggi: saranno disposti ad accettare di non giocare ricche esibizioni e a sottostare alle decisioni della lega per il bene altrui?