Svelato il calendario ATP 2019: la rivoluzione non s’ha da fare (per ora)

Le voci si rincorrevano da mesi, e le dichiarazioni rilasciate a mezza bocca dai maggiorenti di settore occorrevano a garantir loro una certa fondatezza. Il rinnovamento profondo del calendario ATP in vista della stagione 2019 pareva certo e se ne attendeva solo l’ufficialità, che certo sarebbe arrivata entro la fine di gennaio. Il comunicato è in effetti giunto quest’oggi a metà mattinata, ma le notevoli aspettative sono andate deluse e non è difficile immaginare la tristezza dipinta sul volto di molti dirigenti in trepida attesa. Ci aspettavamo la concessione di qualche giorno extra utile a far assurgere almeno uno tra i tornei di Madrid, Roma e Shangai al trono di mini-slam in dieci giorni – con tabelloni a 96 sullo stile proprio del Sunshine Double -, prestigiosa via di mezzo tra i “Mille” ordinari e i quattro Major. Per ottenere lo strabiliante aggiornamento, i direttori di turno sarebbero stati pronti a fare carte false, addirittura ad accettare di far disputare la finale in un giorno diverso dalla sacra domenica dei decisivi duelli tennistici: nella capitale italiana si era ipotizzato di poter inaugurare il tabellone principale mercoledì 8 maggio per terminare con l’ultimo atto lunedì 20, mentre Michael Luevano, da anni a capo del rampante evento di Shangai, si era addirittura detto disposto a giocare la finale di mercoledì pur di proseguire la propria scalata verso l’eccellenza. Luevano sembrava piuttosto sicuro che il nulla osta sarebbe arrivato dopo l’incontro tra i vertici dell’associazione dei professionisti avvenuto durante le scorse Finals londinesi, ma i progetti di Shangai, e non solo quelli, sono rimasti al palo.

Niente Mini-Slam, dunque, e niente World Team Cup: almeno per ora. La competizione a squadre targata ATP, naufragata nel 2012 a Dusseldorf dopo lunghi anni di oggettiva decadenza, sembrava sul punto di essere reintrodotta in grande stile: posizionata nelle prime due settimane della stagione in territorio australiano, essa avrebbe raccolto i favori anche dei tornei che sarebbero stati fagocitati dall’ingombrante presenza, in ragione di una diffusione capillare e itinerante nelle principali città down-under e di una proposta regolamentare che certo avrebbe attratto i migliori campioni, con piena soddisfazione di tutti: 24 nazionali da 5 convocati, sei round robin preliminari ed eliminazione diretta a partire dai quarti, 1000 solidi punti ai vincitori: bello, ma un discreto trambusto da gestire in meno di dodici mesi. Meglio rinviare al 2020, se sarà cosa. Nell’anno olimpico, già solitamente foriero di discreto fracasso per quanto riguarda l’organizzazione dei calendari, una simile new entry comporterebbe la necessità di rivedere davvero ogni cosa dall’inizio, ma può essere che i vertici abbiano compiuto la scelta con coscienza: se rivoluzione dev’essere, meglio risolvere tutti i problemi in un colpo solo.

Restano disattese anche le ambizioni dei “Cinquecento” più snob: Roger Brennewald, direttore del torneo di Basilea, avrebbe ambito a un riconoscimento che elevasse la propria creatura a un livello superiore rispetto agli affini eventi di Rio de Janeiro e Barcellona, senza parlare, per carità di patria, del declinantissimo torneo di Amburgo: l’idea era quella di inventarsi una categoria nuova, gli ATP 750, ma anche in questo caso non c’è stato nulla da fare. In definitiva, l’unico cambiamento rilevante toccherà il povero 250 sulla terra di Istanbul, che quest’anno aprirà i battenti lunedì 30 aprile prima di inabissarsi definitivamente. Per il resto, tutto come prima: i tornei saranno 63, con 9 Masters 1000, 13 ATP 500, 39 ATP 250 oltre alle Finals di Londra e alle Next Gen Finals milanesi. Anche la rimodulazione dei regolamenti sottesi al ranking (nei meeting del 2017 se n’è discusso) non sono state ancora ufficializzate, sebbene una prima bozza sembra sia stata approvata dal board ATP e dovrebbe emergere a breve con tutti i dettagli. Il prossimo meeting ufficiale si terrà adesso a Indian Wells.

L’impressione è comunque che Chris Kermode sia piuttosto recalcitrante ad accettare i proposti salti nel vuoto, visto che la formula inaugurata nel 2009 sembra garantire notevoli sicurezze tanto a livello finanziario, quanto a livello di pubblico: “Il nostro calendario ha garantito un costante miglioramento del Tour negli ultimi dieci anni. Ci ha permesso di migliorare l’affluenza del pubblico e di aumentare in modo incredibile i prize money. Siamo felici di poterlo estendere anche alla stagione 2019, nell’ottica di una crescita continua e sostenibile del tennis sotto il nostro patrocinio“. I numeri diffusi dall’organizzazione tenderebbero a confermare le tesi di Kermode: da quando la logica del tennis griffato ATP è stata sconvolta dalla riforma del 2009 i montepremi complessivi sono cresciuti del 110%, mentre i 4,5 milioni di spettatori accorsi ad assistere dal vivo agli incontri (oltre ai 995 milioni davanti a televisori e device elettronici vari) rappresentano un nuovo record di affluenza. Abbastanza per affrontare un nuovo rimescolamento di carte con i piedi di piombo. Ma la sensazione è che tra un annetto ci troveremo a trattare da capo l’argomento.