Nadal, l’anno magico di un campione esempio (Valenti). Nadal, numero 1 anche nel privato (Semeraro). Shapovalov prenota il futuro (Piccardi)
Nadal, l’anno magico di un campione esempio (Gianni Valenti, Gazzetta dello Sport)
Gli aggettivi per definire la sua grandezza sono stati consumati tutti, da tempo. Allora è più semplice dire che Rafael Nadal è un campione che ha pochi eguali nella storia del tennis e dell’intero sport. Lo spagnolo chiude la stagione per la quarta volta in carriera da numero uno del mondo ed è un risultato straordinario perché Rafa mette la bandana sul trono nove anni dopo il primo acuto del 2008, impresa mai riuscita a nessuno in un lasso di tempo così lungo. Ma il dato che la rende ancor più significativa è che questo primato da allora è stato riconquistato in altre tre occasioni. Il suo rivale storico Roger Federer (cinque volte in cima al ranking al termine dell’annata) lasciata la leadership mondiale nel 2007 riuscì a riprendersela solo nel 2009. L’exploit di Nadal arriva dopo un’annata magica, del tutto inaspettata visti i guai fisici che l’avevano tormentato durante il 2016.
La striscia vincente che l’ha portato di nuovo nel paradiso dei tennisti annovera finora due Slam, il Roland Garros e gli Us Open, e altrettanti Masters 1000 (Montecarlo e Madrid). Il tutto condito dai successi a Barcellona e Pechino. Il maiorchino rafforza così la sua posizione nel club dei più grandi di tutti i tempi. E a 31 anni suonati, con sedici titoli del Grande Slam in bacheca, ha il tempo e soprattutto la voglia per battere altri record. La cosa che più colpisce in lui è la determinazione che ancor oggi mette nel lavoro. Nadal è l’esempio perfetto per le giovani generazioni. La sua correttezza in campo nei confronti di arbitro e avversari va di pari passo con la disponibilità che ha verso i tifosi: non lo vedrete mai rifiutare un autografo o una foto. Pochissime distrazioni, vive per il tennis assorbito dal desiderio costante di migliorarsi, circondato da pochi compagni fidati tra i quali lo zio Toni, Carlos Moya e Francis Roig (gli allenatori) e Benito Perez-Barbadillo, manager della comunicazione. Proprio questa caparbietà gli ha permesso di tornare a vincere sul cemento di New York, superficie a lui poco congeniale (…)
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Nadal, numero 1 anche nel privato (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Cannibale in campo, signore fuori. Comunque e sempre gentleman, nonostante la fama da terribile che si porta dietro per via della passione che lo scuote, e di un look – canotta, braghe e chioma da corsaro – ormai archiviato da tempo. Rafa Nadal, se lo incontri a spasso per Londra o Parigi, è il primo a tenderti la mano e stendere un sorriso, quello che nella players lounge di Roma si ferma volentieri a discutere di caldo. Camicia bianca e jeans o vestito scuro, il campione della porta accanto. L’unico argomento in grado di farlo delirare (non avvicinatelo dopo un clàsico vinto dal Barça…) è il Real Madrid, di cui prima o poi, sospettano in molti, diventerà il presidente: ieri ad esempio ha chiesto di giocare di pomeriggio per non perdersi il match con il Tottenham, mentre fu lui a convincere Florentino Perez a ingaggiare Asensio. Per il resto, quanto a riservatezza ed eleganza, lui e Federer – altro “malato” di calcio – sono gemelli diversi. Mai uno scandalo, mai una nota stonata.
Una vita lontana dalla mondanità, che anche Rafa ama trascorrere nei suoi luoghi, circondato dalla sua gente («Perché a Manacor tutti mi trattano come uno di loro»). La casa di famiglia a Plaza del Palau a Manacor, la barca ormeggiata a Porto Cristo, la passione per la pesca e il gol, un cerchio magico di pochi amici del cuore: Tomeu Salvà, Tomeu Artigues e Joan Suasi. ll suo clan tennistico è composto zio Toni, Charlie Moya, il fisioterapista Rafael Maimb, il manager Carlos Costa, ex Top Ten, il consigliori tecnico Francisco Roig, l’addetto stampa Benito Perez Barbadillo e Jordi “Tuts” Robert, che lo segue per la Nike. Sempre la stessa fidanzata, Francisca Perellb, pochissima esca per i paparazzi che in cerca di scoop lo inseguono inutilmente quando si gode un po’ di vacanza a bordo dello yacht. Un nonno direttore d’orchestra, uno zio calciatore (Miguel Angel), una famiglia straborghese i cui limitati travagli, anni fa, furono gestiti con sobrietà suprema. Logico che l’Academy di famiglia l’abbia voluta aprire a Manacor, non a Madrid, dove hanno apprezzato la sua recente presa di posizione per l’unità nazionale, o a Barcellona, dove pure gli hanno intitolato il centrale all’interno del glorioso Real Club de Tenis. Sa curare i suoi interessi – ha investito nella ristorazione e in alberghi – ma non ostenta mai né lusso né conoscenze altolocate, anche se a Madrid, a maggio scorso, a tavola insieme con lui da “Tatel” – la catena di ristoranti presente anche a Miami e Ibiza nella quale ha investito insieme con Pau Gasol e Cristiano Ronaldo – c’era re Juan Carlos. Nobili si nasce, direbbe un principe di casa nostra, e il motto vale anche per i veri aristocratici dello sport. Del resto fu Nadal, in tempi di crisi, a rifiutare il jet privato che gli offriva la federazione (…)
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Shapovalov prenota il futuro (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
Il nipotino dell’Urss ha i capelli biondi alla Borg e il cappello con la visiera al contrario («Lo indosso così perché non mi vadano negli occhi: è diventato il mio marchio di fabbrica»), è portatore sano del rovescio mancino a una mano più straordinario dai tempi di Vilas e ha rischiato di stroncarsi la carriera giovanissimo. Febbraio scorso, primo turno di Davis: stizzito per la sconfitta scaglia una pallata che finisce dritta in faccia al giudice di sedia, squalifica immediata. «E lezione imparata». Denis Shapovalov, 18 anni, nello slang dello sport è the next big thing, il predestinato, il potenziale vincitore seriale di Slam con il futuro spalancato davanti. «Piano, di strada ne devo ancora fare…» racconta al telefono il figlio degli emigrati russi in Israele («Nel ’98, con il Paese a pezzi, i miei genitori appena sposati si trasferirono dai parenti a Tel Aviv: io e mio fratello siamo nati lì»), trapiantato a Toronto ad appena nove mesi: «Scelta di vita dei miei. Mia madre Tessa giocava e insegnava tennis. C’era anche la questione del servizio militare e si decise di emigrare ancora. Canada o Australia la scelta».
Dal bivio è uscito il numero 49 del mondo (all’inizio della stagione era oltre il duecentesimo posto), Davisman titolare («Ho due passaporti ma sono cresciuto in Canada e ho il Canada nel cuore. Di Israele non ho ricordi e non ci sono mai più tornato, ma mi dicono che è un Paese bellissimo»), già capace di appendersi due scalpi importanti (Del Potro e Nadal a Montreal) alla cintura e di sbucare negli ottavi dell’Open Usa partendo dalle qualificazioni. «Il lavoro sta pagando: capisco che i risultati sembrino drastici ma il miglioramento è stato graduale. In ogni caso, è stata un’estate meravigliosa». Da martedì prossimo Shapovalov sarà una delle stelline di Next Gen Atp Finals, il torneo (primizia assoluta: guai chiamarlo Master Under 21) che a Milano eleggerà il miglior giovane in circolazione, candidandolo all’eredità della vecchia guardia che ancora (per quanto?) domina il tennis. Denis, classe 1999, è cresciuto nel mito di Federer: «Adoro il suo stile, dentro e fuori dal campo. Avevo la sua foto in cameretta: mi addormentavo e risvegliavo guardandola. Il rovescio a una mano ho cercato di copiarlo a lui. E quando al torneo di Basilea si è fermato ben dieci minuti a parlarmi, mi sono chiesto: è tutto vero? Sta succedendo proprio a me?».
Della nouvelle vague russa (Rublev, 20 anni, Kachanov e Medvedev 21, tutti qualificati per Milano), Denis è amico per radici comuni («Le nostre mamme hanno giocato insieme però io frequento di più i tennisti canadesi»). Dall’alto della serietà con cui ha preso il mestiere di aspirante campione, può permettersi di difendere la sua antitesi, l’australiano che a furia di capricci sta gettando via il suo talento, Nick Kyrgios: «E un bravissimo ragazzo — dice con enfasi — che si trova in una posizione delicata perché non sa cosa vuole fare della sua esistenza. Ha un problema con se stesso da risolvere». Di Milano conosce il Trofeo Bonfiglio, poco altro: «Persi subito e ripartii. Ma questa volta voglio fare un giro in centro e mangiare italiano: avete i gnocchi alla bolognese e i vecchi edifici storici?». Sia gli uni che gli altri, Denis. Sarà, anche, l’occasione di sperimentare le nuove regole che l’Atp vuole testare tra i giovani prima — eventualmente — di introdurle nel circuito professionistico: partite al meglio dei cinque set, che si aggiudica chi arriva primo a 4 game (tie break sul 3-3); orologio a bordo campo per velocizzare i match; no-let (il nastro vale); coaching permesso e libertà di muoversi durante i punti (orrore!). Nel tennis che ha il problema di sopravvivere ai dinosauri (Federer e Nadal, 67 anni in due, non sono eterni), la Next Gen è il ponte gettato su un domani incerto più che mai (…)