Addio, zio Toni, addio
Rafael Nadal è appena sceso a rete a prendersi il sedicesimo titolo slam quando il suo coach, Antonio Nadal Homar, per tutti zio Toni, si alza dalla tribuna e si avvia su per le scale dell’Arthur Ashe, dando le spalle al nipote che esulta con le braccia verso il cielo. Anche per Toni questo è lo slam numero sedici, nessun altro allenatore ha mai vinto tanti Major nella storia del tennis. Ma questo sarà anche l’ultimo. E allora ci piace immaginare che zio Toni, da sempre il ritratto dell’impenetrabilità, sia andato a rifugiarsi in un antro nascosto del campo centrale di Flushing Meadows e si sia lasciato andare ai ricordi e all’emozione. Già lo scorso giugno a Parigi l’avevamo visto commuoversi in mondovisione davanti alla decima vittoria di Rafa sulla terra rossa del Philippe Chatrier. Pare quasi che ora che questa avventura sia per lui giunta al termine Toni possa finalmente concedere spazio all’emotività. Sì perché lo zio più famoso del tennis negli anni è sempre stato considerato una maschera imperturbabile sia nelle vittorie che nelle sconfitte. Egli ha incarnato perfettamente i consigli di Rudyard Kipling incisi sulla porta d’ingresso del campo centrale di Wimbledon: “Se saprai confrontarti con il Trionfo e con la Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori […] sarai un Uomo, figlio mio!”. Ed è esattamente ciò che Toni ha voluto insegnare al nipote, non con le parole ma con i fatti.
Rafael è ancora un bambino quando conquista il suo primo torneo di tennis. I genitori decidono di organizzare una festa a sorpresa. Non appena il giovanissimo tennista arriva accompagnato dallo zio/allenatore accade l’impensabile: davanti agli occhi attoniti della cognata e a quelli delusi del nipote, Toni strappa le decorazioni e intima di annullare i festeggiamenti; a suo dire Rafa non ha fatto nulla se non ciò per cui si era preparato. Il mattino seguente all’alba il piccolo Nadal è nuovamente sul campo ad allenarsi. Rafael è ormai un campione affermato quando si presenta in campo per giocare la finale di Wimbledon contro Roger Federer nel 2007. Un incontro infinito vinto dall’elvetico al quinto set. Nadal, a pezzi, si rifugia nello spogliatoio dove piange ininterrottamente per un’ora e mezza. Toni si siede accanto lui. Spiega con pazienza al nipote affranto che non ci sono ragioni per disperare, certo avrà altre occasioni per vincere Wimbledon. Nel 2008, al termine di quella che allora John McEnroe definì “la più bella partita di tennis di tutti i tempi”, Rafa sconfigge Roger e trionfa nel tempio del tennis.
“Toni mi ha reso un uomo più forte” ha dichiarato Nadal domenica a New York, nel corso della premiazione. Dietro a queste parole scorrono centinaia e centinaia di allenamenti vissuti con zio Toni in piedi, cappellino calato sulla testa e braccia conserte, a dare ordini con il suo tono duro, deciso. Scorrono i momenti difficili durante una partita e i consigli spudoratamente malcelati del coach. Scorrono le decine di coppe morse da Nadal e dedicate alla sua famiglia e a colui, senza il quale, quelle coppe non sarebbero forse mai state conquistate. Scorrono le interviste volutamente provocatorie di Toni, in netto contrasto con le parole sempre diplomatiche del nipote. Scorrono il sudore e le lacrime che hanno accompagnato le cadute di Rafa. Scorrono le reazioni di Toni che di tali cadute mai ha fatto un dramma. Scorrono i sorrisi del tennista nelle vittorie. Scorrono gli stratagemmi di un allenatore per non far mai sentire arrivato un campione.
Nella tiepida notte newyorkese è così dolce questo lungo addio da apparire quasi un arrivederci.