Così svanì il sogno del duello Federer-Nadal. Ma io sogno la Spagna dei n.1 e dei top 10

Amo l’Italia, il Paese più bello del mondo; amo gli italiani, pur con tutti i loro difetti il popolo più creativo del mondo; amo il giornalismo, il mestiere più bello anche se è tanto difficile farlo bene se non si vuole cedere a compromessi con chiunque detenga un qualsiasi tipo di potere e di popolarità; e amo il tennis più di qualsiasi sport, ma amo un po’ tutto lo sport perché alla fine è quasi sempre un mondo dove viene premiata l’abilità e il talento senza le raccomandazioni, il coraggio senza l’ipocrisia, la determinazione e lo spirito di sacrificio senza gli sgambetti dei colleghi, la lealtà. Seguire i Giochi Olimpici dal vivo, sei volte, è una delle esperienze più piacevoli della mia vita.

Negli anni, sempre più giornalista sportivo dopo aver “imbrattato” tutte le pagine del giornale nel quale sono cresciuto, La Nazione di Firenze, dalla prima all’ultima passando per la terza, interni, esteri, spettacoli, economia, cronaca, sono spesso andato a letto, dopo qualche epica impresa sportiva, sognando di risvegliarmi… spagnolo. Ma che vita, quali emozioni avrei provato, quali trionfi avrei celebrato se anziché giornalista italiano fossi stato “periodista” espanol? Eh sì. Se ti piace il calcio di chi ti innamori? Del Real Madrid o del Barcellona, di Cristiano Ronaldo o di Messi. Negli ultimi dieci anni se hai seguito con passione le sorti della nazionale, ecco che hai provato quasi sempre cocenti delusioni: le Furie Rosse ti rifilano una volta, l’altra sera, tre pallini, un’altra volta – agli Europei del 2012 – quattro pallini. Nei motori, auto come moto, Alonso non ha alter ego italiano, e nelle moto meno male abbiamo avuto Valentino Rossi e ora Dovizioso, ma vogliamo parlare del numero dei campioni sulle due ruote sfornati dalla Spagna negli ultimi anni?

Pallanuoto e basket… anche lì nel confronto non brilliamo mica tanto. Andiamo meglio nel nuoto e nel rugby… ma nel tennis va di sicuro peggio. Ogni confronto italo-spagnolo ti fa venire le lacrime. Se Santana battagliava con Pietrangeli più o meno alla pari, e Panatta provava a stare alla pari con Orantes (più continuo ad alto livello), e Barazzuti con Higueras (idem), poi però sono venuti fuori top-ten a iosa mentre noi in 40 anni neppure uno: i Bruguera e i Berasategui, i Sanchez, i due Costa, i Moya, i Ferrero, i Ferrer, i Robredo, i Lopez, i Verdasco e il fenomeno Rafa Nadal che da solo ha vinto 15 Slam e ha appena raggiunto la ventiseiesima semifinale di Slam (l’ultima italiana è del ’78, quella persa da Barazzutti con Borg 6-0 6-1 6-0…). Capace che ne abbia anche dimenticato qualcuno. Le Coppe Davis vinte dalla Spagna si devono ricordare e contare, per quelle dell’Italia è più semplice: una sola. Con le donne grazie alle quattro più una Schiavone, Errani, Pennetta e Vinci (e Farina) ci siamo difesi molto meglio, soprattutto in Fed Cup (quattro vittorie), ma insomma Arantxa Sanchez ha vinto 3 Slam da sola, Conchita Martinez ha trionfato nel più prestigioso, Wimbledon – noi abbiamo uno Slam per uno fra Schiavone e Pennettae poi è venuta fuori in tempi recenti anche un fenomeno in gonnella, Garbine Muguruza che a 23 anni di Slam ne ha già vinti due (Roland Garros e Wimbledon) pur avendo perso una finale e se non vincerà come Nadal, però è messa benino.

Questo mercoledì, senza giocare ma grazie alla sconfitta di Pliskova contro Vandeweghe, Muguruza è diventata n.1 del mondo. Questo mercoledì, dopo aver dato una severissima lezione al ragazzino russo Rublev che lo aveva eletto suo idolo, grazie alla vittoria di Juan Martin del Potro su Roger Federer, Rafa Nadal si è assicurato il trono del tennis – dal quale è sceso e risalito più volte – per almeno tutto il prossimo mese e, se Roger Federer non farà sfracelli a Shanghai, Basilea, Parigi Bercy, alle finali ATP di Londra approfittando di non avere alcun punto da difendere, ha buone chances di chiudere il 2017 da n.1. Soprattutto se dovesse confermare il pronostico che oggi lo vede favorito n.1 per il trionfo finale all’US Open, nonostante la mina vagante costituita in semifinale dal “risorto”  Juan Martin del Potro e da quel dritto “rocket”  razzo: così lo ha definito Federer) che però Rafa riuscirà con i suoi profondi topponi mancini ad evitare molto più e meglio di quanto non abbia fatto un Federer assai poco lucido…

Perché Federer abbia insistito troppo spesso ad attaccare, e talvolta anche a servire, sul dritto della Torre di Tandil – anche in occasione di uno dei quattro setpoint del terzo set chiave – davvero non me lo spiego. Anche se è vero che, esaltato dai tifosi argentini che erano riusciti non so come a impossessarsi dei biglietti più in alto dell’Arthus Ashe, Juan Martin si è battuto come un leone, dall’inzio alla fine questa volta, e non come nei soli ultimi due set (straordinari) contro Thiem cui aveva annullato due matchpoint con alttrettanti aces a 220 km orari. È stata una bella ed emozionante partita anche questa con Federer, dopo quella priva di ogni suspence vinta da Nadal – leggete la cronaca eccellente di Vanni Gibertini che l’ha inserita un nano secondo dopo che si era conclusa con l’ennesimo dritto “rocket” e vincente di delPo – anche se Federer non era davvero quello visto in Australia e a Wimbledon. Troppi errori, volée sbagliate non da lui, uno smash ciccato in un momento importante, qualche doppio fallo di troppo in frangenti decisivi. Forse non avevo le idee chiare in testa, non ho risposto bene alle sue prime di servizio e questo mi ha messo in difficoltà per tutto il match. Era dura cominciare i palleggi senza essere in difficoltà fin dall’inizio, non giocavo abbastanza bene per far partita pari con del Potro”.

Con i colleghi svizzeri Roger è poi stato ancora più sincero e diretto che nella conferenza stampa in inglese: “Non voglio togliere nulla a del Potro che ha giocato molto bene e ha meritato la vittoria – ha detto Roger insolitamente loquace pur nella sconfitta (presagivo il peggio quando si è presentato in conferenza cinque minuti dopo il k.o.) – non voglio fare la figura del maivais perdant (il cattivo perdente), ma dall’inizio del torneo non mi sono sentito come avrei voluto sotto nessun punto di vista. Fisico, mentale, tecnico. Avevo detto subito che non mi sentivo ben preparato, quando ho giocato due partite al quinto set (Tiafoe e Youzhny), ero preoccupato per la schiena che oggi non mi ha fatto assolutamente male… ho potuto servire come volevo senza problemi, però dentro di me non avevo la stessa attitudine positiva che avevo avvertito invece in Australia dopo il primo match, e anche a Indian Wells e Miami. Poi ho giocato meglio (contro Lopez e Kohlschreiber) ma sempre sentendomi insicuro. Oggi ho avuto diverse opportunità, il tiebreak nel quale sono stato sempre avanti (4-2, 6-4, 7-6) dopo il doppio fallo di delPo…”.

Vero, peraltro, che delPo aveva avuto la palla del 4-0 in quel set. E che nel quarto set l’argentino ha dominato. In quattro turni di servizio ha concesso un punto. Poi una comprensibile emozione lo ha attanagliato un momento sul 5-4 30-0, fino al 30 pari, fino all’oscena volée (“Non mi capita spesso di giocare volée che vanno a finire sulla rete di fondo” avrebbe detto poi, sempre in francese, Roger) e al dritto finale di delPo.

Ora è vero che alla vigilia di Federer-delPo erano pochissimi quelli che pronosticavano il… “ritorno del fantasma del 2009”, perché delPo aveva finito esausto la maratona con Thiem, quella in cui è stato lì lì per ritirarsi a metà secondo set per la febbre e il raffreddore che quasi non lo faceva respirare. Ma il Nadal visto con Dolgopolov e con Rublev faceva paura e molti, vedendolo ancora più in forma che al Roland Garros, dicevano: “Questo Nadal qui batte anche Federer, il Federer non troppo convincente di questi giorni”. Si vede che era proprio destino che l’US Open non dovesse mai vedere un Fedal. Nel video registrato in inglese, Steve Flink ha ricordato con l’abituale precisione tutte le volte che il Fedal sembrava imminente e poi evaporava nel nulla.

Ha strappato qualche sorriso, ma è stata puntuale l’osservazione di Roger a proposito dei quattro semifinalisti: “Salvo Carreno Busta… “cruising” (è andato come in crociera), gli altri ancora in corsa per il titolo hanno sofferto tutti un po’”. Del Potro ha giocato rovesci sorprendenti, “i migliori del torneo nei momenti importanti – ha ricordato lui stesso – sul setpoint del terzo set e poi per strappargli la battuta nel quarto, questo è un bel segnale per il futuro”. Poi quando gli hanno chiesto di Nadal Juan Martin ha spiegato: “Lui è mancino, quindi può trovare facilmente il mio rovescio. Non so che tattica userò… ma di sicuro cercherò di fare dei vincenti con il mio dritto e anche… di non correre troppo (risate) perché le mie gambe sono stanche”.

Comunque vada sarà un successo. Juan Martin, un giocatore che ne ha passate di tutte, quattro operazioni, tanto ospedale, è un tennista che piace a tutti, per la sua personalità, la sua garra, la sua simpatia, il suo tennis, quel dritto esplosivo che dovrà fronteggiare l’altro dritto che Federer ha detto di considerare perfino più forte del suo… ma lo diceva tre sere fa. Magari oggi ha cambiato idea.

Quanto a me, dopo aver doverosamente sottolineato che ci sono quattro americane in semifinale come non era più successo dal 1981 (ma una delle quattro era Martina Navratilova che era diventata cittadina americana proprio quell’anno dopo aver chiesto asilo politico nel 1975) e che a questo punto non mi stupirei se alla fine il torneo lo vincesse zia Venus Williams alla veneranda età di 37 anni e 3 mesi, dopo aver centrato due finali nello Slam australiano e britannico, penso che lunedì prossimo, quando vedrò i due ranking ATP e WTA dirò ancora una volta a me stesso… ma non era meglio se fossi stato un “periodista espanol” invece che di ritrovarmi a scrivere – per 40 anni e dopo quell’illusorio 1976 sigillato in primis da Adriano Panatta – di robetta italiana?