J.C. Aragone, dal coma agli US Open
La bellezza degli Slam, soprattutto nei primi giorni, è quella di offrire tante storie insolite che hanno come protagonisti giocatori che non sono abituati a palcoscenici tanto grandi, e spesso i loro trascorsi e le loro ambizioni valgono la pena di venir raccontati. È questo il caso di J.C. Aragone, 22 anni, che in questa edizione degli US Open è riuscito a superare l’ostacolo delle qualificazioni (battendo, tra gli altri, i due italiani Cecchinato e Bellotti) prima di perdere in tre set al primo turno dall’ex top 10 Kevin Anderson. La storia di questo ragazzo, che altrimenti non sarebbe altro che un qualsiasi americano con un buon passato da junior e una classifica a ridosso della posizione 500, è piuttosto particolare: soffre di diabete e in passato ha avuto problemi fisici ben più gravi.
Aragone aveva 16 anni quando si ammalò di quella che riteneva essere una banale influenza, ma ben presto si rivelò essere una infezione alle vie respiratorie e le sue condizioni fisiche non fecero altro che peggiorare,fino addirittura al coma. Si risvegliò dopo tre settimane e i tempi di recupero furono molto più lunghi. “Mi ci sono voluti quasi due anni prima di tornare a sentirmi meglio, e non ho colpito una pallina da tennis per tutto il tempo”. Ora comunque questo spiacevole episodio appartiene al passato e lo si evince anche dal modo in cui lui stesso ne fa riferimento: “È stato causato da un problema al fegato, o al rene… non mi ricordo bene. Quando poi le cose hanno iniziato a girare per il verso giusto (nell’agosto del 2013) ho iniziato a sentirmi disidratato e mi sono fatto analizzare il sangue. È venuto fuori che avevo il diabete“. Nonostante tutti i guai fisici del ragazzo, il suo coach Brian Boland ha insistito affinché andasse a Charlottesville per giocare nel campionato universitario NCAA con i Virginia Cavaliers, e in quattro anni ha contribuito alla vittoria di tre titoli.
Nella conferenza stampa dopo il suo match con il sudafricano, Aragone ha spiegato con degli esempi cosa significa convivere con questo problema. “Dopo il primo set il livello di zuccheri è schizzato alle stelle così sono stato costretto a lasciare il campo per farmi una iniezione (di insulina), ma è andata bene. Hanno chiamato un dottore”. Un po’ più complicate invece sono andate le cose durante gli incontri di qualificazione. “Ho un dispositivo che, vibrando, mi segnala quando il livello di zuccheri nel mio sangue è troppo alto e a quel punto devo assolutamente sedermi e farmi una iniezione, altrimenti me la potrei vedere davvero brutta. Quando sei nervoso per un match, il corpo rilascia tanti ormoni e i livelli si alzano, è per questo che devo sempre avere delle dosi con me”. Tra un cambio di campo e l’altro ormai è diventato frequente vedere tennisti mangiare delle banane o reidratarsi con bevande colorate, ma è certamente insolito vedere qualcuno tirar fuori degli aghi. “La situazione è strana perché nessuno mi conosce e si ritrovano questo ragazzo fare una cosa del genere. Ho dovuto parlare con quelli dell’anti-doping per spiegarglielo”.
Juan Cruz Aragone, nato in Argentina nel 1995, nonostante abbia già dimostrato di avere la stoffa di un gran lottatore, sa che sono ancora molte le cose da fare per mostrare il suo valore e soprattutto diventare una ispirazione per altri nella sua stessa condizione. Per la vita dopo il tennis, i suoi studi si concentrano principalmente sul diventare un consulente finanziario, ma al momento la sua attenzione è rivolta ad altro. “Ho ricevuto una marea di messaggi su Facebook da persone che volevano ringraziarmi e dirmi che ho ridato speranza alle loro famiglie. Al momento sono in contatto con diverse compagnie che si occupano di curare il diabete così da poter diventare il primo tennista a venir sponsorizzato da loro, o una sorta di ambasciatore. Non se ne vedono molti di atleti nelle mie condizioni. È un’area ancora insondata e mi sento di poter dare una mano a quelle persone che si sentono abbattute per la loro condizione“. Al momento l’americano utilizza un rilevatore Dexcom per controllare il suo livello di zuccheri nel sangue, il quale è anche dotato di una connessione bluetooth così da inviare i valori direttamente al suo trainer e ai suoi genitori sugli spali che possono tenerlo d’occhio. “La cosa che mi interessa di più è far conoscere la mia condizione e insegnare alle persone che alla fine non si sta così male. Non è qualcosa che deve impedirti di avere successo nella vita o non farti raggiungere i tuoi sogni. Questa settimana è stata sicuramente di grande aiuto, e adesso voglio dare una mano a questa causa il più possibile”.