Federer, Kyrgios, Zverev. A New York tra leggenda e futuro
Ubichallenge by AOW. Vuoi vincere con noi? Partecipa al concorso
C’è aria di storia, anche a New York. L’ultimo Slam di stagione rischia di essere foriero di momenti indimenticabili, come già i primi tre Major di questo 2017: il ritorno di Federer e la Decima di Nadal sono ormai incastonati nell’immaginario collettivo e negli albi di statistiche, e gli US Open, al via oggi, hanno tutto l’aspetto di qualcosa di simile. Le defezioni sono state copiose, come già durante lo swing sul cemento americano: Montreal e Cincinnati hanno visto vincere due alfieri della promessa, da mantenere o sbiadita che sia. Djokovic, Wawrinka, Nishikori, Raonic: tutti ai box per motivi di varia natura, eppure il tennis che si è visto non è stato affatto male. Ci si dovrebbe forse rassegnare all’idea che il meglio, per quanto incerottato e manchevole di nomi altisonanti, sia comunque presente a Flushing Meadows: i vincitori dei Masters 1000 e degli Slam giocati finora ci sono tutti. E lo spazio perché anche questo Slam resti impresso nelle memorie, c’è eccome.
Roger Federer è il primo favorito. Nadal è il numero uno, certo, ma le sue condizioni sul duro, quest’anno come ormai da svariate stagioni, non permettono di considerarlo come il cavallo di punta. Non vince un titolo sul cemento da più tre anni (Doha 2014), per quanto nei mesi scorsi abbia fatto finale a Melbourne e Miami. Federer arriva nella Grande Mela con tre sole sconfitte in stagione, l’ultima nella dolorosa finale di Montreal, durante la quale ha accusato i suoi storici problemi alla schiena: lui stesso ha poi confermato di stare bene (parteciperà anche alla Laver Cup), per cui sarà su di lui che i riflettori andranno puntati. Ancora una volta, verso il terzo Major stagionale come nel 2004, 2006 e 2007. Il tabellone gli riserva tre turni nel complesso comodi, nei quali potrebbe incontrare avversari con cui non ha mai perso: dopo l’esordio con Tiafoe, con il quale ha vinto l’unico precedente, potenzialmente avrebbe Mikhail Youzhny al secondo turno (16-0) e Feliciano Lopez al terzo (12-0). Un bel vantaggio se non altro di esperienza: il mitico coach di Youzhny, Boris Sobkin, una volta disse che Mikahil ormai “guarda se in tabellone può incontrare Federer. Quando lo trova sulla sua strada quasi vorrebbe farsi subito le valigie”. I problemi veri inizierebbero agli ottavi.
Perché il quarto match di Federer sarebbe, virtualmente, contro Nick Kyrgios. L’australiano sembra aver imbroccato un buon trend, mostrando il lato migliore del suo tennis, fatto di accelerazioni fulminee e qualità abbondante. Alle spalle un periodo nerissimo (“Ho perso mio nonno, avevo la testa altrove”), ha vinto comodamente con Nadal a Cincinnati tirando a lucido il suo arsenale di bordate da fondo e servizi imprendibili, per poi raggiungere la sua prima finale in carriera in un Masters 1000. L’ha persa contro Grigor Dimitrov, ma può approcciarsi agli US Open con enorme fiducia e sopratutto un ulteriore pizzico di consapevolezza in quello che forse è il mantra della sua vita: se sta bene, può battere chiunque. Millman-Jaziri-Kohlschreiber i tre avversari che precederebbero lo scontro con Federer: i precedenti con lo svizzero sono in parità, uno per parte. A Madrid due anni fa vinse Nick salvando matchpoint, lo scorso marzo a Miami Federer restituì il favore con le stesse modalità. Nel mezzo ci sarebbe dovuto essere un altro confronto a Indian Wells, che Kyrgios dovette disertare per intossicazione alimentare.
Verosimilmente, questo è l’incontro che potrebbe ipotecare una buona parte di vittoria finale: i quarti virtuali sarebbero con Thiem, prima della finale con Nadal. Sia Kyrgios che Federer partirebbero con i favori del pronostico, senza ovviamente sottovalutare lo spagnolo. Che però non è più lui, e le sconfitte estive con Shapovalov e per l’appunto Kyrgios lo hanno dimostrato una volta di più. Gli manca a volte quella tigna, quella capacità di soffrire, quella resilienza che per anni lo hanno reso un avversario da battere due, tre volte prima di poter stringergli la mano a rete. Sono episodi sporadici, che però fanno la differenza quando la posta in palio è la maggiore possibile: sul rosso è sicuramente ancora irraggiungibile (e la stagione terraiola di quest’anno non ha lasciato dubbi alcuni), ma la completezza di rendimento ammirata nelle stagioni passate è ormai una foto grinzata. Improbabile vederlo trionfare alla fine delle due settimane newyorchesi, specie se dovesse incontrare uno dei due di cui sopra.
L’alternativa più concreta, nell’altra metà di tabellone, si chiama Alexander Zverev: i cinque titoli di quest’anno sono un biglietto da visita importante, impreziosito dai suoi primi due Masters 1000 e soprattutto uno status di vincente e uomo da battere ormai consolidato. La sconfitta al primo turno di Cincinnati può ancora essere archiviata come di “rodaggio” in vista di anni in cui sarà il dominatore assoluto. Se il tabellone dovesse seguire il suo andamento naturale si troverebbe di fronte giocatori di stampo simile: Anderson, Sock, Isner, Cilic, tutti bombardieri dal gioco non troppo diverso dal suo. Incontri che potrebbero decidersi su pochi punti, dove sì l’esperienza, ma anche la voglia e la determinazione fanno la differenza. E Zverev in queste due categorie si iscrive tra i primissimi della classe.
Federer, o due giovani. Come se il grande passato potesse essere sostituito solo da un grande futuro, senza alternative intermedie, in quella New York che tre anni fa vide vincere Marin Cilic nella finale meno attesa delle ultime ere. Fu anche teatro del trionfo di del Potro nel 2009, che rimane il più giovane vincitore Slam degli ultimi otto anni, e potrebbe essere sostituito proprio da Zverev o Kyrgios. La conferma di una leggenda o la prima affermazione del prossimo cannibale. Showtime.