Condannati al recentismo
Attendo con ansia il primo capace di scriverlo. Qualcuno che, dopo averlo visto legnoso e rigido mentre perdeva la prima finale dei 100m (corsa) in carriera, dica che al fin della fiera non può essere considerato il più grande di tutti i tempi chi si fa battere da Gatlin, quattro anni in più, o da Coleman, che sembra Carlton, il fratello tappo del Principe di Bel Air. Attendo, con ottimismo, i media che proporranno la sua immagine sconfitta e lo sguardo smarrito e speranzoso, supplicante verso il tabellone. Due occhi mai visti prima su quel volto, nei quali leggevi in stampatello: “Dai, anche se so di avere perso, tabellone, tu che puoi, dimmi che ho vinto”. Attendo persino (sarà l’abitudine), che si dica che vinceva negli anni passati, perché non aveva veri rivali. Mi aspetto le immagini consuete delle demolizioni dei grandi grattacieli, delle statue deposte dopo le guerre e dopo le rivoluzioni. Ammirerò le bandiere deposte prima ancora di fermarsi a mezz’asta.
Perché questo è quel che avviene il giorno in cui un migliore cessa di esserlo.
Nel tennis siamo abituati a dirlo un giorno sì e l’altro pure. C’è sempre la corsa a chi lo dice per primo, a chi per primo spara di bocca o di tastiera quel “ho sempre detto che…”. Poi assistiamo a questo anomalo 2017 in cui tanti “ho sempre detto che…” si rimangiano prima l’avverbio e poi i puntini sospensivi. Non mi illudo. In ambito tennistico l’appuntamento è solo rimandato con questo genere di frasi alla prossima sconfitta, magari in una anonima semifinale slam, da un Gatlin qualunque, che di Gatlin è pieno il mondo. Le Cassandre a posteriori retrodateranno le loro profezie: le hanno lasciate nelle casseforti dei Notai, dimostreranno di averle persino brevettate e le tireranno fuori al momento opportuno. L’abitudine è umana, come l’errore.
Usain Bolt aveva goduto, credo giustamente, e sarà ora dannato dal cosiddetto “recentismo”. Quel fenomeno intellettivo per cui una cosa che accade adesso, pur se minima, riveste maggior importanza di un grande evento del passato. Terzo ai mondiali oggi, pesa di più di una finale vinta a Pechino con record e balletto di esultanza negli ultimi 20 metri. Gatlin davanti oggi, significa meno di Gatlin sempre battuto negli ultimi anni. Lo sguardo perso, realizzando di essere sconfitto, scaccerà via le sue meravigliose smorfie e i suoi lazzi prima della partenza. Quanto adoriamo vedere gli angeli che cadono. Incapaci di coglierne la complessità delle traiettorie celesti, aspettiamo che stanchi si sfracellino al suolo per afferrarne una piuma o due, o scattarci un selfie davanti al fossile. Chiedi alla polvere (cit.) quanti ne accoglie e quanti ne sommerge.
Quando Roger Federer si ritirerà, ammesso a questo punto che ciò avvenga, sarà bene che lo faccia a braccia alzate e trofeo in mano. Quando si ritirerà sarà bene che Nadal e Djokovic abbiano fatto altrettanto e siano dietro per Slam, tornei, classifica, scontri diretti, punti nel fantacalcio e nel burraco. Quando Roger Federer si ritirerà, lui che ama giocare con la storia, con essa dovrà stare in pace: perché a chi sta lassù, essa è raramente riservata. E perché la polvere ne ricopre troppi e l’immacolata certezza del ricordo solo così può sopravvivere.
Agostino Nigro – Vive e lavora a Napoli Nord. Ha costruito le sue scarse fortune tennistiche sul proprio rovescio, eppure vive di diritto.