Nei Dintorni di Djokovic a Londra: è croata l’erba più verde
L’edizione di Wimbledon appena conclusasi ha visto tra le nazioni protagoniste proprio uno dei paesi dell’ex Jugoslavia: la Croazia. Basta dire che nella finale del singolare maschile c’era un croato era in campo ed un altro era nel box del suo avversario in qualità di coach.
Ma partiamo dall’inizio, da come tutto era cominciato lunedì 26 giugno. Erano quindici i rappresentanti dei paesi dell’ex Jugoslavia ai blocchi di partenza nei due tabelloni di singolare: otto uomini e sette donne. Le pattuglie più numerosa erano quella serba in campo maschile e quella croata in campo femminile, con 4 rappresentanti: Djokovic, Lajovic, Tipsarevic e Troicki da una parte e Lucic-Baroni, Konjuh, Vekic e Martic, quest’ultima reduce dalle qualificazioni, dall’altra. In campo maschile c’erano anche tre giocatori croati, Cilic, Karlovic e Coric, ed il bosniaco Dzumhur. Provenienze tutte diverse invece per le restanti tre donne nel main draw: la serba Jelena Jankovic, la montenegrina Danka Kovinic e la rediviva slovena Polona Hercog, proveniente anche lei dalle qualificazioni. Analizziamo nel seguito il percorso dei quindici, eliminazione dopo eliminazione, fino ad arrivare a colui che si è spinto più avanti di tutti, il finalista Marin Cilic. Facendo anche una valutazione complessiva dei risultati, in particolare per quanto riguarda le due “grandi potenze” tennistiche della zona, Serbia e Croazia.
I turno
Pronti, attenti e via, salutano i Championship in sette, pattuglia praticamente dimezzata. In campo maschile fuori i due croati Borna Coric e Ivo Karlovic. Il 20enne zagabrese lotta come sempre, dato che fa parte del suo DNA, ma Harrison ha un tennis più adatto ai prati e ha la meglio in tre set. Per “dr. Ivo” invece la solita fiera dei tie-break: quattro in quattro set, suddivisi equamente con lo sloveno naturalizzato inglese Bedene prima di cedere 8-6 nel set decisivo. Entrambi ritirati invece i serbi Janko Tipsarevic e Viktor Troicki. Per Janko Tipsarevic, che ha rimandato al mittente le accuse di essersi presentato solo per ritirare il prize money, si è trattato del riacutizzarsi di un problema muscolare alla gamba, Viktor Troicki invece ha accusato invece problemi alla schiena che lo hanno costretto al ritiro dopo aver perso il primo set contro Florian Mayer e a dare forfait in doppio, dove era iscritto in coppia con il connazionale Nenad Zimonjic. C’è da dire che il 31enne di Belgrado stavolta non aveva preparato a dovere la sua stagione sull’erba, superficie su cui si è spesso espresso bene in passato, ma era ampiamente giustificato: la testa di Viktor era rimasta probabilmente ancora nella capitale serba – dove infatti è subito tornato – dove a metà giugno è nata la primogenita Irina. Tra le donne invece fuori le due veterane del gruppo: la 35enne Mirjana Lucic-Baroni e la 32enne Jelena Jankovic. La tennista croata, testa di serie n. 26, si arrende sul filo di lana, 8-6 al terzo, alla tedesca Witthoft. E salta all’occhio come dopo lo splendido inizio di stagione (semifinale a Melbourne e quarti a Miami) da aprile in poi non ha combinato moltissimo. Jelena Jankovic lotta un set prima di cedere il passo alla n. 9 del seeding Aga Radwanska. Sorteggio non proprio fortunato per l’ex n. 1 del mondo, che comunque però pare proprio non riuscire ad arrestare la sua parabola discendente. Out anche Danka Kovinic, sconfitta nettamente in due set dalla statunitense Brady. Continua il periodo nero della 22enne di Cetinje, che quest’anno non è ancora riuscita a vincere due partite di fila nel circuito WTA: è sprofondata ben oltre la 100esima posizione mondiale ed è riuscita a tenersi un po’ a galla solo grazie ad una finale e ad una semifinale a livello ITF.
II turno
Esce Dusan Lajovic, che nel primo turno aveva avuto la meglio con un periodo 6-4 sul Next Gen greco Tsitsipas. Ma con tutte le giustificazioni del caso: il 26enne di Stara Pazova si trova infatti davanti sua Maestà Roger Federer e riesce pure a trascinarlo al tie-break nel primo set, prima che il fuoriclasse svizzero lasci andare la tensione e prenda il largo nei restanti due set. Saluta Church Road anche Damir Dzumhur, che al primo turno aveva disposto facilmente dell’argentino Olivo, eliminato da Bedene in quattro set. In campo femminile esce Donna Vekic, ma anche lei con l’onore delle armi. Nella rivincita con Johanna Konta, sconfitta solo poche settimane fa nella finale di Eastbourne, è protagonista di un gran match in cui si arrende alla beniamina di casa solo 10-8 al terzo. La 20enne di Osijek perciò, seppur eliminata, conferma di essere tornata una giocatrice su cui puntare per il futuro.
III turno
Viene ammainata l’unica bandiera slovena dei tabelloni di singolare, dato che il terzo match è fatale per Polona Hercog. La 26enne tennista di Maribor tiene testa solo nel primo set a Kuznetsova, ma per lei – reduce da un infortunio e da un’operazione d’urgenza all’intestino a Natale – riuscire a tornare nel main draw di uno Slam e addirittura vincere due match è comunque un successo.
Ottavi di finale
Nel Manic Monday salutano Wimbledon anche le ultime due singolariste provenienti dai Balcani.
La 19enne Ana Konjuh si deve arrendere alla classe e all’esperienza di Venus Williams, una che era già in finale in uno Slam (US Open 1997) prima che lei nascesse. Per la giovane tennista di Dubrovnik, autrice nel turno precedente dell’eliminazione della n. 8 del seeding Dominika Cibulkova, si tratta comunque di un altro bel passo in avanti nel suo percorso di crescita – e anche a livello di classifica, dato che ora è a ridosso delle top 20, in 22esima posizione – e la conferma che il lavoro con coach Krajan sta iniziando a dare i suoi frutti. Petra Martic lotta invece per tre set contro Rybarikova prima di ammainare il sogno dei suoi primi quarti di finale Slam. Ma la spalatina non è certo delusa, dato che con questo risultato può festeggiare il rientro nelle top 100, proprio un anno dopo essersi dovuta fermare – dopo la sconfitta al primo turno sull’erba londinese – per risolvere i problemi alla schiena che la tormentavano da mesi.
Quarti di finale
Si ferma a sorpresa il cammino di Novak Djokovic. Pur non brillando, il tre volte campione di Wimbledon – che per l’occasione, oltre ad Agassi, aveva chiesto di avere al suo angolo un altro ex giocatore, il croato Mario Ancic – era arrivato al match contro Thomas Berdych con un percorso netto: vinto il primo set aveva beneficiato del ritiro di Klizan, aveva poi lasciato solo cinque game a Pavlasek, qualche fatica in più ma sempre in tre set con Gulbis e Mannarino. Tutto sembrava pronto per arrivare alla sfida n. 46 contro Federer, la sedicesima a livello Slam e la quarta a Wimbledon. Invece il nervosismo dimostrato del 30enne campione belgradese per il rinvio del match contro Mannarino nascondeva la preoccupazione per il dolore al gomito destro, che diventa insopportabile durante il tie-break del primo set contro il ceco e lo costringe al ritiro all’inizio del secondo parziale. Nelle dichiarazioni post partita il tennista serbo ha rivelato che si tratta di un problema che si sta trascinando da lungo tempo e che a cui ora è giunto il momento di porre definitivamente rimedio. Anche a costo di fermarsi per un po’.
Finale
Delle lacrime di Marin Cilic e della finale che di fatto non ha giocato, hanno già parlato in tanti. Non si può che rimarcare come sia stato un peccato per il 28enne di Medjugorje non aver potuto dare il meglio nell’atto conclusivo dei Championship, a prescindere dal risultato. Sarebbe stato il giusto riconoscimento per la stupenda cavalcata che lo ha visto protagonista in queste due settimane londinesi. I primi quattro match (nell’ordine contro Kohlschreiber, Mayer, Johnson e Bautista Agut) li aveva vinti senza perdere un set, nei quarti aveva schiantato alla distanza (6-1 al quinto) il giustiziere di Nadal, Gilles Muller, infine in semifinale si era dimostrato migliore – nonostante un primo set immeritatamente sfuggito al tie-break – anche di quel Sam Querry che aveva appena battuto il n. 1 del mondo Murray. Comunque sia, ora il buon Marin può vantare nel suo curriculum Slam 1 vittoria, 1 finale, due semifinali e 6 quarti di finale. E si spera che con quest’ultima finale abbia finalmente convinto anche i più scettici nei suoi confronti che le due settimane degli US Open 2014 non sono stato uno scherzo del destino, ma la dimostrazione di quale sia il potenziale del tennista croato quando tutto nel suo gioco si incastra come si deve. Purtroppo per il n. 6 del mondo questo è accaduto poche volte sinora, complici anche i tanti piccoli (come la vescica di domenica) e grandi infortuni che ne hanno minato la costanza di rendimento. L’augurio per lui – che a livello di popolarità paga probabilmente anche il fatto di essere un ragazzo educato, timido e riservato, insomma molto poco “mediatico” – che Wimbledon rappresenti la rampa di lancio definitiva per raggiungere il suo obiettivo stagionale: la top 5. A tale proposito, è giusto osservare che a breve Cilic ha in scadenza la pesante cambiale della vittoria del Masters 1000 di Cincinnati, ma anche che ha nel mirino Stan Wawrinka che lo sopravanza di un migliaio di punti e che di cambiale ne ha una ben più pesante: la vittoria a New York.
Nel complesso, quindi, un Wimbledon da ricordare per i colori croati. Il risultato più eclatante è ovviamente quello di Cilic, ma è indubbiamente interessante – in prospettiva – la situazione in campo femminile: gli ottavi della teenager Konjuh, la conferma di aver ritrovato il talento della ventenne Vekic e quello di una giocatrice che può dare ancora tanto come Petra Martic, fanno ben sperare per il futuro dalle parti di Zagabria. A tutto questo si aggiunge anche la ciliegina dei risultati nel doppio maschile, dove Mate Pavic, in coppia con l’austriaco Oliver Marach, ha sfiorato la vittoria, arrendendosi solo 13-11 al quinto contro la coppia Kubot-Melo. Peraltro dopo aver sconfitto in un altro incredibile match, finito 17-15 al quinto dopo più di quattro ore e mezza di gioco, la coppia tutta croata composta da Franko Skugor e Nikola Mektic.
Senza dimenticare, infine, che c’è un po’ di Croazia anche nell’ottavo trionfo di Federer, seguito da coach Ivan Ljubicic. Pian piano, in molti cominciano ad ammettere l’importanza del contributo del 38enne di Banja Luka in questa seconda “seconda giovinezza” del campione svizzero. Ovvio che uno come Roger Federer certe cose le sapesse già fare, tecnicamente parlando, come osservavano in molti dopo la vittoria a Melbourne raggiunta anche grazie ad una aggressività con il rovescio che non aveva mai avuto in carriera. Il merito di Ivan è stato quello di fargli capire che era un’arma da usare con continuità in campo, fondamentale per riuscire a tornare vincente ai massimi livelli. E se vi sembra poco convincere uno che ha vinto diciassette titoli 17 dello Slam a cambiare dopo quasi vent’anni di carriera professionistica l’impostazione del suo gioco da fondo dal lato sinistro…
Lo Slam inglese sembra invece confermare che in Serbia si faccia fatica a trovare qualche ricambio di livello alla generazione d’oro dei Djokovic, Tipsarevic, Ivanovic e Jankovic. Allargando l’analisi ai tabelloni di qualificazione, scopriamo infatti che nessuno dei quattro giocatori presenti nelle qualificazioni maschili, compresi i due 21enni di belle speranze Nikola Milojevic e Laszlo Djere, è andato oltre il secondo turno. Anche se c’è da dire che quest’ultimo non si è lasciato scoraggiare e la scorsa settimana è riuscito a raggiungere uno degli obiettivi che si era posto in questa stagione, la vittoria in un Challenger (ha conquistato quello di Perugia). E vede a poca distanza un altro grande obiettivo stagionale, l’entrata nella top 100 (da lunedì è n. 106). Non è andata meglio in campo femminile, dove sono state eliminate sia Aleksandra Krunic – ha perso 7-5 al terzo proprio contro Martic – sia la ventenne promessa Ivana Jorovic, che ha salutato tutti dopo il primo match. Anche qui, tanto per capirci, ha fatto meglio la Croazia: oltre alla qualificazione di Petra Martic, si è comportata dignitosamente anche l’altra promessa 20enne Jana Fett, che ha sfiorato a sua volta l’accesso al main draw perdendo nel turno decisivo 6-3 al terzo contro la russa Blinkova.
Insomma, in questa zona della penisola balcanica pare proprio che al momento, tennisticamente parlando, l’erba più verde sia quella croata.