La lezione di Federer «Giovani, ci vuole più coraggio» (Clerici, Audisio, Crivelli, Piccardi, Semeraro, Azzolini, Scanzi, Lombardo)

Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

La sua sanità va ai posteri

 

Gianni Clerici, la repubblica del 18.07.2017

 

Sono appena arrivato da Wimbledon, che mi telefona un editore piuttosto importante. «Cosa ne pensi di un libro su Federer?». «Deja vu» rispondo, e per fargli capire meglio, aggiungo: « Ne ho dieci nella mia libreria». E li ho anche letti, contrariamente al Beato, che ha, guarda caso, un cognome che inizia per “Fede”. L’Editore, tranquillizzato dal rischio che correva, con il suo superficiale entusiasmo di spettatore televisivo, domanda allora: «Quali sarebbero, i volumi?». B primo, rispondo, è la biografia del mio amico René Stauffer, del Tages-Anzeiger, Das Tennis-Genie, tradotto in varie lingue da uno che ha conosciuto professionalmente il genioda piccolo. Di lui Stauffer dice, dopo averlo visto giocare contro l’italiano Fracassi, sedicenne: «La sua tattica era insolita. Cercava di finire il punto presto, ad ogni opportunità». Nel libro è ricordata anche l’opinione del 2004 di Jack Kramer, un altro Federer cui la guerra impedì di esser tale, fondatore del professionismo: «Roger è come un buon vino rosso. Penso che i suoi anni migliori debbono arrivare». Segue l’opinione di Connors: «Tu sei uno specialista del tennis su terra, suerba, sul duro. Ti chiami sempre Roger». Spostiamo l’attenzione su un altro libro di un giornalista svizzero di lingua francese, Roger Jaunin. Nel suo primo libro su Federer dice: «Giocare 6 la mia chiave. Ping pong, tennis, calcio, basket. Li ho provati tutti». B libro ha un’altra edizione in cui il giornalista cita Rod Laver: «Roger è il miglior tennista che abbia mai visto». Da frasi pronunziate da personaggi famosi e da Roger stesso si passa ai Silences de Federer dello psicologo André Scala: «E alla presenza poetica, ammirabile di Federer che il mio libro è consacrato. Nel 2006 a scrivere di Roger si spinge il grande David Foster Wallace, in Roger Federer come esperienza religiosa. «La bellezza umana di cui stiamo parlando è un tipo di bellezza particolare. È una bellezza cinetica. Non ha niente a che vedere con il sesso e le norme culturali. L’attrazione e il fascino che esercita sono culturali. Semmai sembra strettamente legata alla possibilità per un essere umano di riconciliarsi con il fatto di avere un corpo». Dopo il ben noto scrittore ecco qualcuno che, di Federer, fu allenatore, il francese Georges Danieau, nel libro Des Mousquetaires à Federer. n mio buon amico Georges scrive, dopo aver diretto il Centro nazionale svizzero a Losanna: «Pur apprezzandolo, non avrei mai immaginato una carriera simile. Né ci avrebbero pensato i suoi genitori, e nemmeno lui. Solo Peter Carter, l’allenatore australiano, aveva intuito il talento del suo allievo. Peter e Roger erano diventati molto amici. Così la morte di Carter in una gara d’auto safari in Sudafrica fu un autentico dramma per Roger, una perdita che lo toccò nel più profondo del cuore». Viene poi, nel 2015, un libro di William Skidelsky, Federer and Me. E la storia di un aficionado matto per Federer, che muta la sua vita per seguire dovunque il campione. E un esempio al quale nessun scrittore aveva pensato, a eccezione forse del vecchio Clerici che ha offerto un anno della sua vita e tutto il suo amore a una tennista non meno grande di Federer, la donna che fu battuta una sola volta, Suzanne Lenglen. Infine le Edizioni Mare Verticale, benemerite per il tennis, hanno tradotto Roger Federer The greatest di Chris Bowers. Ed ecco Roger che afferma: «Contro Safin credo di aver giocato il match migliore della mia vita. Riuscivo a rischiare molto, e le palle stavano sempre in campo. E stato incredibile». Mentre evito per la loro modestia altri tre libri mezzo copiati dai sette che ho citato, mi viene in mente un irrispettoso paragone con una biografia di San Francesco che sto leggendo: «Ma Francesco era consapevole della propria Santità?». E Federer, nella sua vita, lo è altrettanto del proprio diritto-rovescio? Ai posteri.

 

Mirka, ecco il rovescio di Federer. La moglie è il motore del suo genio

 

Emanuela Audisio, la repubblica del 18.07.2017

 

Ode a Mirka. Alla signora Miroslava Vavrinec in Federer. Alla moglie, alla stratega, all’organizzatrice, alla guardia del corpo, ma soprattutto alla padrona di Roger. E della sua resurrezione. È lei che a casa porta i calzoni, è lei che decide, è lei che ne gestisce la carriera. È Mirka che lo tiene prigioniero nella felice gabbia del suo talento. E che non lo fa evadere da sé stesso. Roger anche a 36 anni ne è pubblicamente suddito: «Quando Mirka si stancherà di viaggiare, io smetterò». Il campione che si sottomette alle esigenze della sua domatrice. È lei che come Cornelia decide a Wimbledon l’esposizione dei loro gioielli gemelli: due femmine e due maschi. A ricordare che gli otto titoli sull’erba non bastano, ci sono quattro figli da mantenere, c’è da fare il papà, c’è da sostenere una famiglia. Myla Rose, Charlene Riva, Leo e Lenny, hanno bisogno di un futuro garantito. Come se il tesoretto di 300 milioni di dollari (fonte Forbes) non bastasse. Non è tipa che si accontenti, Mirka: 260.832 dollari guadagnati in carriera, anche lei tennista, nel 2001, suo anno migliore, numero 76 del mondo, terzo turno passato all’Us Open. Nient’altro di rivelante sul court, se non che ai Giochi di Sydney nel 2000, dove esce subito, Roger la nota: «Non capivo perché mi parlasse tanto, ma alla fine mi ha baciata». Lui ha 19 anni, i capelli lunghi, e si deve consolare di un bronzo sfumato, lei 22, già fidanzata con un arabo ricco ma cambia campo. Flashback: slovacca, naturalizzata svizzera, emigrata a due anni con la famiglia, a nove incontra Martina Navratilova che resta colpita dal suo fisico atletico e le dice: prova il tennis. Le organizza un allenamento e le manda una racchetta. Puoi rifiutare un invito da una regina del tennis? No, e infatti Mirka si applica ma nel 2002, per un infortunio al piede molla il tennis. Ha altri prize money su cui contare, quelli di Roger. Non proprio una paghetta. Si sposano nella primavera 2009 a Basilea, lui passa da una madre, che ne ha scoperto il talento, a un’altra, brava a stimolarlo. A Roger va bene così: per esaltarsi ha bisogno di quella guida. Vi diranno che ha cambiato la racchetta: nel 2002 e nel 2014 è passato ad una taglia di Wilson più grande. È vero: il piatto corde è aumentato dell’8%, Roger si è convinto per i problemi alla schiena, ma prima ha provato 127 prototipi. Vi spiegheranno che coach Ivan Ljubicic, che due anni fa ha preso il posto di Edberg, gli ha consigliato una tattica più aggressiva, di non stare lì a subire a fondocampo. È vero: meno rovescia slice, più potenza. Tutto ha la sua importanza, ma prima di convincere lui, hanno dovuto spiegarlo a lei. È Mirka che gestisce l’impero, è Mirka che proibisce a Roger di diffondere la notizia su dove alloggino durante i tornei, è Mirka che non vuole che lui giochi in Davis, è Mirka che gli allontana ogni altro orizzonte che non sia quel rettangolo dove lui è bellissimo, bravissimo, remuneratissimo. 19 Slam in 29 finali, 42 semifinali, 315 partite vinte, 93 titoli in 141 finali. La presenza di Mirka non è mai discreta: c’è, e non si vergogna di esserci. Di stare dietro non ci pensa proprio, meglio avanti, visibilissima. Sa che il talento ha bisogno di frusta e carezze, sa che il suo uomo è umile e geniale, al limite della noiosità, sa che due ambizioni sono meglio di una, sa che per andare avanti quando sei già re, hai bisogno di una spinta in famiglia. Soprattutto quando non hai più nulla da dimostrare, ma solo contraccambiare la fiducia di una moglie: vai caro, il mondo è tuo. Pardon, nostro.

 

La lezione di Federer «Giovani, ci vuole più coraggio»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 18.07.2017

 

Il signor Nick Newlife, in quell’estate del 2003, aveva intuito che l’avvento di Federer a Wimbledon e nel tennis possedeva qualcosa di messianico e così puntò 1520 sterline su Roger vincitore di 7 titoli ai Championships entro il 2019. La scommessa era data 66 a 1. L’impresa al Divino riuscì nel 2012, ma Newlife era morto nel 2009 e il ricavato, oltre 100.000 sterline, and a un ente benefico. Il 2017. Fino a gennaio, l’orizzonte perduto e la pietra di paragone della solita domanda: riuscirà mai Federer a rivincere uno Slam? A ripeterla 6 mesi dopo, sembra uno scherzo. Risanato e resuscitato, Roger si è preso l’Australia e poi di nuovo i prati di Church Road. Per l’ottava volta, un record. E ha riassaporato il piacere del ballo di gala: «E’ stata una serata eccitante, purtroppo sono arrivato un po’ tardi, dopo la portata principale,e ovviamente ho ballato con la Muguruza. Il problema è che dopo le danze sono andato al bar con 30 o 40 amici, ho bevuto diversi cocktail, sono andato a letto alle 5 e adesso sento le campane nella testa e ricordo poco di quello che è successo». Un party da rock star, come l’ha definito lui stesso. O da leggenda. Infinita. Tanto che le prospettive cambiano, addirittura si allungano a immaginare il 20 Slam già in America a settembre oppure il 10 Wimbledon. Il Divino, di fronte alla storia, torna umile: «L’obiettivo adesso è assaporare l’ottava coppa. Non ne ho mai fatto una questione di numeri, avevo apprezzato lo Slam 17, mi è piaciuto molto il 18, adoro il 19. Ma l’importante è che io continui a divertirmi, rimanga sano e possa competere a lungo per vincere. La caccia proseguirà sul cemento degli Stati .Uniti, anche se probabilmente Federer salterà il Master 1000 a Montreal per ripresentarsi a Cincinnati. E con Murray e Djokovic affannati e infortunati, i secondi 6 mesi dell’anno saranno una corsa a due con Nadal per il numero uno di fine stagione: «Il ranking non è mai stata un’ossessione, ma è vero che adesso siamo tutti molto vicini e non escludo che Nole e Andy, se staranno bene, possano vincere 20-25 partite di seguito, perché è già successo, e quindi rimanere in alto. Certo, quando fai bene torneo dopo torneo, il numero uno diventa un obiettivo, ma a me farebbe felice pure tornarci per una sola settimana». Anche a girarci intorno, l’argomento resta sempre lo stesso: per quanto tempo ancora i Fab Four avranno la forza di dettare legge? Dal 2003, a Wimbledon, solo loro si sono spartiti il titolo e Federer ne individua il motivo: «Resto stupito quando guardo le statistiche e leggo che il ragazzo che ho di fronte fa serve and volley il 2% delle volte. Vorrei vedere più giocatori e più coach interessati a prendersi più chance e poi assistere a cosa succede. Decidi di stare a fondo campo con Murray, Djokovic e Nadal? Fortunato se arrivi nei primi SO del mondo. E’ anche vero – prosegue -che il sistema che assegna i punti oggi è più complicato e non permette ai più giovani di salire in fretta la classifica, quando ho iniziato io ti davano punti in più se battevi uno dei’ top 5, ma non so se sia riproducibile. In ogni caso la nostra generazione ha preso forza dal fatto che ci fossero alcuni dei giocatori più grandi di sempre, ci siamo stimolati a vicenda». n TEAM Intanto, per il Masters di Londra di fine anno, ci sono al momento due qualificati: Nadal e lui. Il tempo che si ferma. Soltanto qualche mese fa, parlando dei più grandi rivali della storia dello sport, il pensiero più ricorrente era che fossero arrivati alla fine: «Per me – racconta Roger – è stato importantissimo che il mio team ci credesse. Non sono stato io a dover portare avanti la squadra, piuttosto il contrario. E in queste cose che il team fa la differenza. Rassicurarmi quando ho avuto dubbi, o farmi tornare con i piedi per terra quando le cose vanno troppo bene. Ho chiesto a tutti loro apertamente se credessero nelle mie possibilità di vincere un altro Slam e tutti mi hanno risposto allo stesso modo, cioè che se fossi stato al 100% e voglioso di giocare, tutto sarebbe stato possibile. Per questo la pausa dello scorso anno è stata necessaria». Con l’Australia come apoteosi della scelta: «Mettere a confronto quella vittoria con questa è difficile, l’unico punto in comune è il fatto che sono padre di 4 figli. Diciamo che Melbourne, specialmente dopo la vittoria in 5 set contro Nishikori, mi fece capire che 5sicamente avevo recuperato tutte le energie». E adesso? «Beh, adoro giocare, mia moglie mi sostiene in tutto e per tutto, è fantastica. Adoro competere nei grandi tornei e non mi importa dei viaggi o degli all’allenamenti. Ora che sto giocando un po’ meno ho anche più tempo a disposizione. Mi sento come se stessi lavorando part-time, ed è una gran bella sensazione…». Si chiama onnipotenza.

 

II fenomeno. I ruoli: il manager Godsick pensa agli sponsor, la moglie Mirka ai vip, lui ad allenarsi e a vincere

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 18.07.2017

 

Il giorno dopo che Federer ha scritto la storia, Roger è tornato al circolo con la testa pesante e la voce da baritono di chi si è appena buttato giù dal letto. «Ho i postumi della sbornia di otto Wimbledon — ha scherzato —. Dopo la cena di gala dei campioni, ho continuato i festeggiamenti in un pub. Eravamo una trentina di amici e ci siamo divertiti. Devo aver mischiato troppi drink: sono andato a letto alle 5 e adesso non riesco a ricordarmi né dov’ero né cosa ho bevuto…». Il Supereroe normale, smessi i panni del fuoriclasse impeccabile, arrossisce spesso. Per esempio ogni volta che gli chiediamo — ed è puntualmente successo nella conferenza stampa che ha seguito il 19 Slam — come ci si sente a essere una leggenda e lui abbassa gli occhi, vorrebbe sparire e invece si sforza di organizzare una risposta decente, che potrebbe declinare in cinque lingue diverse. Il Supereroe tranquillo sa come comportarsi in qualsiasi circostanza: tre baci (non uno, non due) sulle guance di Kate e una virile stretta di mano a William, poi una grattatina affettuosa alla testa canuta di papà Robert, lo svizzero che incrociando i geni con la moglie sudafricana ha prodotto l’eccellenza. Dottor Roger è il bravo papà che, riempiendo la vasca per il bagnetto delle gemelle, si rompe il menisco come un umano comune. Freddure, amici e una vita normale da sovrappeso. Mister Federer è il fenomeno che, dopo un’operazione al ginocchio e sei mesi di bacino di carenaggio, torna e vince due Slam su tre (a Parigi, quando Nadal ha suonato la decima, non c’era). Roger è il compagnone che arrivando da dietro ti fa il coppino e, se Mirka non è in giro, aspetta che spiova giocando alla PlayStation. E il protagonista di un video divertente girato quest’anno a Indian Wells: lui, l’amico Haas e Dimitrov che cantano in playback «Hard to say Fm sorry» dei Chicago, classico strappalacrime, mordendosi la lingua per non ridere. ll suo profilo Twitter, oltre che di marchi prestigiosi che i top players gli invidiano, è zeppo di facce buffe, spiritosaggini (la coppa di Melbourne portata a duemila metri sulle Alpi, il ricevimento al Metropolitan di New York indossando lo smoking con un cobra ricamato sulla schiena), freddure. Domenica sera, andando al gala di Wimbledon, ha raccolto la provocazione di Garbine Muguruza. «Roger sei pronto ad aprire le danze?». «Fatti sotto campionessa…». Con un pinguino a compendio, come dire: ma come cavolo ci siamo dovuti vestire? Gli sponsor sono affare di Tony Godsick, storico manager. I vip li gestisce Mirka nel suo ruolo di amministratrice delegata della Federer Family e Corporation. Per Roger avanza ciò che più gli piace: allenarsi, viaggiare, vincere. Con la naturalezza di chi è venuto al mondo per fare, nell’ordine, le tre cose. Altro che la fatica bestiale del tennis di Nadal o la simpatia marketizzata di Djokovic. Nell’ultima foto, ieri ha posato con le maestranze dell’All England Club. «Cheeeeseee…» ha detto — come al solito — qualcuno. E lui: «Però svizzero». Come si fa a non amarlo?

 

Il mondo di Federer oltre il tennis

 

Stefano Semeraro, la stampa del 18.07.2017

 

Federer non sa se continuerà a giocare fino a 40 anni. Papà Roger spera di si, almeno per un paio di ragioni. II Genio, che ieri si è svegliato con la testa pesante dopo il ballo dei campioni di Wimbledon e un party finito alle 5 di mattina con 40 amici («non so neanche quello che ho bevuto»), ad esempio, pub puntare a tornare n.1 del mondo a 36 anni suonati, e sarebbe il più anziano della storia: il record ora è di Agassi a 33 anni. «Vorrei farcela», dice, «anche solo per una settimana». Murray fra agosto e settembre rischia quasi certamente di cedere il posto a Nadal, oggi n.2, ma anche Federer (3), giocando sia Cincinnati sia in Canada, potrebbe riprendersi il trono prima degli Us Open; e comunque resta favorito a fine anno. Le vere ragioni che muovono il babbo fuoriclasse però si chiamano Leo e Lenny, i due gemelli più giovani che domenica stavano beati con le gambe a penzoloni sul Centre Court «Oggi credono che questo sia solo un parco giochi», ha spiegato il patriarca. «Ma un giorno si renderanno conto di ciò che significa». Già nel 2009, quando nacquero Myla Rose e Charlene Riva, le due prime gemelle, Federer confessò che sperava un giorno di vincere davanti a loro…La sua forza del resto è anche quella di saper armonizzare mestiere e famiglia, portandosi appresso nei tornei una carovana dei sentimenti che comprende anche mamma, papà e spesso uno stuolo di amici. A costo di rischiare il sonno («ma adesso metto un cartello fuori dalla stanza: ‘papà dorme’») e persino la salute, se è vero che il menisco l’anno scorso se lo frantumò mentre faceva il bagnetto con le bimbe. Ma schivando la nostalgia. In questo Federer è un fuoriclasse unico, diverso da R.onaldo, Lewis Hamilton, LeBron James, Tom Brady o dal suo ex amico Tiger Woods. Molto del merito va alla donna che gli sta a fianco da 17 anni. Prima fidanzata, poi moglie e mamma, è Mirka che stabilisce l’agenda social del campione, che programma le trasferte, gestisce i bambini e il turnover delle governanti, con nonna Lynette a supporto. Una routine complicata ma che ai Federers viene spontanea. «Nel periodo in cui sono stato fermo sei mesi», ha raccontato. «I bambini non facevano che chiedermi: quando ricominciamo a viaggiare? Fino a che questa vita andrà bene a tutti, non ci saranno problemi. E Mirka resta sempre la mia tifosa n1, la prima a incoraggiarmi a continuare». Provaci ancora, papà.

 

Elisir Federer

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 18.07.2017

 

Lo considerano uno di loro, un inglese nato chissà perché in Svizzera. Nel 2012 applaudirono Federer vincitore del settimo titolo neanche fosse un loro figlio e fecero spallucce alle lacrime di Murray, lo scozzese perdente. Venti giorni dopo cambiarono sponda e sostennero Andy e l’Union Jack durante i Giochi Olimpici, Roger lo svizzero giunse secondo. Per gli inglesi fu l’anno perfetto. Questo 2017 segue a ruota, l’applauso del Centre Court, domenica, è stato accorato, palpitante di orgoglio. Se vince Federer, vince l’Inghilterra. L’All England Club gli ha ribaditola proposta in termini perentori: quando deciderai di lasciare il tennis, la festa dell’addio la faremo qui, apriremo il Centrale per te in qualsiasi momento dell’anno. Si sa che hanno già i piani dell’evento. E si sa anche che non sarà tanto presto. L’elisir di lunga vita non è una pozione, tanto meno un lifting che tiri su labbra, zigomi e seni. un melting pot di doti personali, fisiche, di filamenti di Dna che alcuni hanno al tungsteno e altri cedevoli come spaghetti passati di cottura. È un insieme di scelte tecniche e di organizzazione, di talento e di corretta gestione. Federer lo ha capito da un pezzo. Anche Nadal l’ha capito, di Federer… «Non suda. Lui non suda mai», dice Rafa, «io sudo anche quando faccio uno starnuto». Piedi da ballerino e senso dell’anticipo a dir poco straordinario, Federer ha deciso di puntare ora sulla “gestione delle risorse; e prolungare fino a 40 anni la sua permanenza nel circuito. Sempre che i risultati siano a misura di campione e la famiglia d’accordo (ma è Mirka a spingerlo). «l esperimento della sosta ha funzionato. Ho sofferto a non giocare Parigi, ma è stata la scelta giusta. Credo sia un elemento di novità che potrebbe avere un peso notevole nel prosieguo della mia carriera». Fermarsi, ricaricarsi e ripartire. «Non è una regola, e non è un consiglio che mi permetterei di dare ad altri. C’è chi ha bisogno di giocare tutti i giorni, di avere un contatto continuo con la pallina. Ognuno è fatto a modo suo, per nostra fortuna». E per sua fortuna .. Federer ritrova la forma in fretta, il feeling con la palla gli viene naturale. E non è così pieno di sé da pensare che questo bendiddio possa non finire mai. «Spero di poter giocare ancora su questo campo», è stato l’ultimo saluto rivolto al pubblico di Wimbledon. Non sono pause dedicate solo alla famiglia. Ljubicic lo costringe a lavorare duramente. Messi da parte i guai fisici, Federer ha ritrovato la forma che mancava da almeno tre o quattro stagioni. Una nuova sosta, breve, è prevista ai primi di agosto. Salterà il Masters 1000 in Canada e tornerà a Cincinnati, poi gli Us Open. Infine la preparazione indoor in vista delle Finali Atp (già qualificato) a Shanghai e Basilea. Roger chiuderà la stagione con 13-14 tornei. Pochi per puntare al numero uno, che forse non è nemmeno un suo obiettivo. È quello di Nadal, infatti, e potrebbe arrivare prima del previsto, date le precarie condizioni di Murray e Djokovic. Nella classifica di ieri il tennis ripresenta al vertice i Fab Four, ma sono tutti “vicini vicini; meno di 1400 punti fra Andy, in testa, e Nole, quarta Federer è terzo. Di nuovo sul podio. Aveva cominciato l’anno al numero 17, poi ha vinto tutto. Senza tirarsela, per dirla in gergo giovanilistico. Ieri sera si è svolto il ballo dei campioni. Ad aprire le danze, Federer e Muguruza. Lei, rinomata ballerina, aveva inviato un tweet a Federer in serata: «Sei pronto a ballare con me?». La risposta è arrivata a stretto giro. «Guidi tu?».

 

Roger Federer, le quattro vite del folle maturato

 

Andrea Scanzi, il fatto quotidiano del 18.07.2017

 

Il campione che ha vinto tutto e ancora non gli basta, ha vissuto almeno quattro vite. La prima, da iconoclasta spensierato e fenomenale, che spaccava racchette, si tingeva i capelli come Mirko di Kiss Me Licia e poteva forse accontentarsi di vivere una carriera da Fognini molto più forte. Non si è accontentato. Giunse quindi la seconda vita, quella della dittatura livida e garbatamente efferata. Sangue ovunque degli avversari, ridotti a meri e spesso pavidi vassalli. Fu il tempo della dittatura algida: Federer, da potenziale Gilles Villeneuve, divenne un Prost che non sbagliava (quasi) mai. Un Michael Schumacher pressoché infallibile. Un talento inaudito, un genio totale, un fenomeno forse senza pari. Poiché però gli avversari non c’erano, o se c’erano marcavano quasi sempre visita, se eri uno spettatore neutrale – e non un fan di strettissima osservanza – qualche sbadiglio veniva. Come quando ascolti un disco dove non c’è una nota fuori posto o come quando guardi una donna bellissima, che ti appare così perfetta da risultare per contrasto fredda. Troppo fredda. ECCO ALLORA che, con mite inesorabilità, giunse la terza vita. Rafael Nadal costrinse Federer a scoprire una cosa che neanche concepiva, al punto da piangere infantilmente quando capitava la sconfitta. Spesso Roger ci perdeva per motivi poco tecnici e molto freudiani, quasi che Rafa – prim’ancora che tennista – fosse kryptonite iberica ideata a sua misura. Così, pur continuando a vincere, Federer non fu più dittatore. Gli storici, sul pianeta Terra come su Plutone, chiameranno quella fase “autunno del patriarca”. Sembrava il tramonto. Sembrava. Quando nessuno ne avrebbe probabilmente avvertito il bisogno, il più che trentenne Federer ha deciso di migliorarsi ancora. Di non arrendersi. Di concepire, almeno, un ultimo colpo di coda epocale. Contro il tempo, contro gli infortuni: forse perfino contro la logica. Prima ha chiesto aiuto a Stefan Edberg, e solo per questo meriterebbe peana eterni. Poi si è affidato a Ivan Ljubicic, che da giocatore umiliava con sadismo sordo alla pietà. Nel mezzo c’è stato il suo annus horribilis: il 2016. Tutto è andato male. Capolinea? Non esattamente: di là dal tunnel, la quarta vita. Il presente. L’epifania. L’ottavo Wimbledon (ennesimo record) vinto due giorni fa è apparso addirittura normale: l’epica c’era, c’è e ci sarà, ma quando vinci triturando tutto e non lasciando neanche un set ai rivali, come aveva peraltro fatto il mese prima Nadal (un altro “ritornante” miracoloso) a Parigi, lo strapotere è tale che non viene quasi neanche voglia di esultare. Infatti, mentre il mondo esondava già di enfasi e retorica, lui ha reagito con umanissima incredulità. Se l’Australian Open di gennaio è stata impresa, il Wimbledon di domenica è stata “solo” constatazione di una natura agonisticamente divina. Nel bruttissimo tempo in cui Djokovic e peggio ancora Murray sembravano i più vincenti, rivedere Federer sul tetto di uno o più Slam non appariva un’ipotesi percorribile. Anche per chi scrive: che bello, a volte, sbagliare. Roger Federer ha vinto tutto: 19 Slam, 6 Tour Finals, 93 tornei, una Coppa Davis, due medaglie d’oro alle Olimpiadi. Non gli manca nulla, se non la fame di se stesso e dell’arte che ama. Su questo gli storici si divideranno, ma delle sue quattro vite le più belle ci sembrano – senza dubbio alcuno – la primae l’ultima. Prima la follia non ancora irreggimentata, poi questa maturità che trasuda oltremodo incanto. Onore a te, Campione.

 

Quando Milano trasformò l’antipatico Federer

 

Marco Lombardo, il giornale del 18.07.2017

 

Quel giorno a Milano c’era un ragazzotto che disputava la prima vera finale della sua vita di tennista: vestito di rosso con una maglietta troppo adulta per il suo giovane corpo e con una bandana ribelle in testa. Quel giorno esisteva ancora il Palalido e G dentro ci si giocava il futuro: in finale Roger Federer incontrava Julien Bouffer, che chissà mai dove poi è andato a finire. Quel giorno arrivava dopo una settimana in cui la gente riempiva il palazzo per vedere – per dire – Livraghi-Charpentier. Perché importava andare a caccia dell’ennesimo nuovo Panatta. Quel giorno qualcuno vide giocare Federer per la prima volta, e a chi lo aveva definito il nuovo Pete Sampras venne detto che uno che tirava la palla sempre così vicino alle righe – e spesso fuori – non sarebbe mai andato da nessuna parte. Quel giorno ci fu anche chi si spinse un po’ più in là: «Ma questo se arriva nei primi trenta è già tanto. E poi è svizzero…». Quel glomo mamma Lynette aspettava la notizia: tempo prima a Roger aveva detto che non avrebbe più rivisto la racchetta se non avesse cambiato atteggiamento. E probabilmente non si aspettava che tutto awenisse cosi in fretta. Quel giorno Roger tra un cambio di campo e l’altro probabilmente ricordava il via o in macchina dopo un torneo in cui aveva spaccato racchette in serie. E quando mamma e papà stettero tutto il tempo in silenzio per farlo sentire ancora più in colpa. Quel giorno Milano andava di corsa anche se era domenica. E poi c’era il Milan contro la Reggina poco più in là. E l’Inter che doveva farsi perdonare la notte brava di alcuni suoi giocatori. C’era da vincere a Bologna, quello contava. Quel giorno comunque il Palalido alla fine si era un po’ riempito, in fondo era sempre una finale. Quel giorno Roger Federer, con quegli strani pantaloncini un po’ larghi, cominciò a piacere alla gente. Perché in fondo ‘ste palline mica finivano tutte fuori. Quel giorno alla fine il tabellone segnò 6-4, 6-7, 6-4 e Roger gettò le braccia al cielo in maniera un po’ impacciata: aveva solo 19 anni, mica sapeva ancora bene come si esultava vincendo un torneo dei grandi. Quel giorno Federer sollevò il suo primo trofeo da professionista e pensava che non sarebbe stato male vincere almeno una volta Wimbledon. Forse poteva farcela. Quel giorno Lea Pericoli, che lo premiò, gli disse «ti auguro un radioso futuro». Quel giorno era il 4 febbraio 2001, c’erano ancora le Torri Gemelle, Mirka Vavrinec era una ragazza che aveva appena conosciuto alle Olimpiadi di Sydney, Pete Sampras un mito quasi irraggiungibile, il tennis un divertimento. Soprattutto ora che aveva imparato a controllarsi. Quel giorno soprattutto Milano scoprì un Re, per fortuna nostra. E quasi senza saperlo. Perché in fondo, ancora, non lo sapeva neppure Federer.