Querrey e Muller osservati speciali (Bertolucci). La grazie di Venus, vent’anni d’amore (Clerici). Diva Venus conta fino a 100 (Mancuso). Venus la castigaventenni (Giua)
Querrey e Muller osservati speciali (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)
Il circuito tennistico è da sempre frequentato da giocatori come Sam Querrey e Gilles Muller che quando sentono sotto i piedi la soffice erba riescono ad alzare il proprio rendimento, a mietere vittime importanti e raggiungere traguardi, sulla carta, insperati. Per arrivare al quarti di finale entrambi sono usciti vincitori da dure battaglie fino al quinto set dimostrando solidità mentale, doti temperamentali e qualità fisiche di tutto rispetto.
Oggi sono chiamati a superare la famosa prova del nove per continuare la corsa e diventare protagonisti assoluti in questa edizione londinese. Querrey è un giocatore che non trema di fronte al palleggio anche se i suoi cavalli di battaglia risiedono nel penetrante dritto e nel consistente servizio con i quali apre il ventaglio alle soluzioni. Contro un difensore come Murray dovrà avere la giusta pazienza senza però rimanere imbrigliato nella sapiente ragnatela di scambi imbastita dallo scozzese. Altro discorso per Muller che, forte dei successi ottenuti nei tornei preparatori, propone un gioco più scarno ma non meno redditizio.
Un tennis che necessita di coraggio sfiorando, in certi casi, l’incoscienza. Il lussemburghese sta vivendo una seconda giovinezza e, superati i guai fisici, con i suoi effetti mancini e un gioco votato all’attacco, esprime movimenti quasi sempre verticali. Nel match odierno contro Chic non entrerà in campo da favorito (…)
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La grazie di Venus, vent’anni d’amore (Gianni Clerici, La Repubblica)
Venus ha appena vinto quello che i bene informati – non oso definirli colleghi perché somiglio sempre più a un ufficio ricordi smarriti – hanno chiamato “scontro generazionale”. Ha cioè battuto quella che potrebbe essere una sua bambina ( che piacere sarebbe stato prendere parte alle ragioni della nascita ), la vincitrice del Roland Garros Jelena Ostapenko, vent’anni meno di lei. Finito il match, mi stavo avviando verso il Museo, per cercare di riprodurre i miei articoli su Venus, contenuti in due dei miei libri, quando mi sono imbattuto in una giovane collega, Francesca. Mi ha chiesto dove stessi andando e, alla mia risposta, ha affermato «Non ti vergogni? Il plagio di se stessi significa la crisi della creatività, posto che tu ne abbia ancora una». Aveva ragione.
Mi sono allora seduto al mio banco e ho cercato di ricordare vicende che abbiamo vissuto, insieme a quella che oggi, dopo aver vinto cinque Wimbledon, è in semifinale del sesto. Ricordo la prima volta che la vidi, ragazzina, sul campo di Compton, insieme al mio povero amico Bud Collins. Era insieme a una sorellina più piccola, Serena, e il padre Richard, un omone che giocava malissimo e si chiamava, da sé, coach, chiese mille dollari per l’intervista a Collins, che rifiutò indignato. Passò tempo, Venus cominciò a vincere, venne in Europa e in una conferenza stampa al Roland Garros – aveva 17 anni – la informai che il suo nome fosse quello della Dea del Mare e che addirittura in un paesino della provincia di Arezzo, si celebrasse il suo rito.
Giunse poi il momento più emozionante del mio amore per Venus, quando una sua amica, Alexandra Stevenson, figlia del DoctorJay, giungendo alla semifinale di Wimbledon, me la presentò in un momento di gioia, in modo che, da quel giorno, a ogni vittoria fossi ammesso a baciarle il ginocchio sinistro. Fu quella la ragione della mia gelosia, perché un giovane autista degli Internazionali d’Italia, tale Davide, invitò Venus a casa sua, a Jesi, e si spinse – temo – oltre il ginocchio.
Ma il momento più nero della mia mancata intimità con la bella avvenne l’anno scorso a Roma dove, nonostante io le mostrassi uno scatto del fotografo Koto Bolofi con tanto di affettuosissima dedica, Venus mi disse di avermi dimenticato, di non ricordare più il mio nome. Terminati di ricucire questi ricordi, non sarà difficile credere che, dopo il match in cui ha dominato la Alona Ostapenko, chiamata Jelena sul passaporto lettone, io sia rimasto ad ammirare Venus in silenzio nella conferenza stampa (…)
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Diva Venus conta fino a 100 (Angelo Mancuso, Il Messaggero)
Il torneo dei campioni infiniti. Mai in passato nella storia del tennis un giocatore e una giocatrice avevano festeggiato entrambi la centesima partita nello stesso Slam. Accade a Wimbledon dove nel giro di 24 ore ieri Venus Williams e oggi Roger Federer centrano l’impresa. Due fenomeni di longevità, 37 anni la statunitense, uno in meno lo svizzero, che hanno trionfato ai Championships per 12 volte: 7 King Roger (la prima nel 2003), 5 la Venere Nera (la prima nel 2000). La loro grandezza sta nel fatto che sono tra i favoriti per il titolo anche quest’anno: la Williams alla 20esima presenza, il tennista di Basilea alla 19esima. Mostruosi.
Serena è sul divano di casa in dolce attesa del primogenito. E allora tocca alla sorella maggiore rappresentare da sola il vessillo della famiglia Williams, che ha cambiato il tennis femminile. Venus c’è sempre con il motto “forever young”. Nei quarti ha dato lezione sul Centre Court alla regina del Roland Garros, Jelena Ostapenko: 6-3 7-5. La lettone aveva 3 anni quando l’americana trionfava per la prima volta sui prati londinesi. Nell’era open solo Billie Jean King (39) e Martina Navratilova (38) erano più in là negli anni quando hanno raggiunto una semifinale Slam (sempre a Wimbledon). La sua è una seconda giovinezza: nel 2011 le hanno diagnosticato la “Sindrome di Sjogren”, una malattia autoimmune. Non è mortale, ma essere sempre affaticati non aiuta se pratichi lo sport ad alto livello. La soluzione è stata la dieta: oggi Venus è vegana e vive un capitolo nuovo della sua vita.
C’è un campione che a Wimbledon rende memorabili tutte le partite, per qualcosa di più, che va oltre un servizio a 200 orari o un timing perfetto sulla palla. Parliamo di pura poesia, di creatività e fantasia. Tutto questo è perfettamente sintetizzato dietro un nome: Federer. Sin qui il Divino ha fatto percorso netto senza cedere un set ai rivali e oggi ritrova nei quarti il canadese Raonic, che 12 mesi fa gli negò a suon di ace la finale bruciandogli quella che si pensava potesse essere la sua ultima occasione per conquistare uno Slam. Invece King Roger ha fatto 18 a Melbourne ed è pronto a prendersi la rivincita sul Centre Court.
Nella stessa parte di tabellone Djokovic, che ieri ha superato per 6-2 7-6 (5) 6-4 il francese Mannarino, affronta Berdych. Nella parte alta Murray-Querrey e la sfida degli ace tra i due giganti Muller e Cilic. La grandezza di Federer e Venus ha fatto passare in secondo piano la lotta per lo scettro delle donne. Simona lIalep è stata a due punti dalla vetta del ranking (La ceca Karolina Pliskova nuova numero uno del mondo del tennis femminile) nel tie break del secondo set contro Johanna Konta, ma ha finito con l’arrendersi al terzo: 6-7 (2) 7-6 (5) 6-4 per l’inglese nata a Sydney, prima britannica in semifinale dal 1978. Ancora una volta la rumena si è smarrita sul più bello (…)
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Venus la castigaventenni (Claudio Giua, repubblica.it)
La controrottamazione generazionale ha le fattezze della più longeva e titolata delle singolariste in attività, Venus Williams, 37 anni, titolare di sette Slam, finalista quest’anno a Melbourne. È lei a eliminare nei quarti di finale – faticando il giusto: 6-3 7-5 in un’ora e 13 minuti – la migliore under 21 del circuito, la lettone Jelena Ostapenko, vincitrice a sorpresa dell’ultimo Roland Garros.
In un match del quale l’americana non cede mai le redini, emerge con nettezza, scambio dopo scambio, come l’esperienza e l’intelligenza possono prevalere sull’entusiasmo e sulla freschezza. Anzi, per Venus è ormai una missione dare lezioni di tecnica e strategia alle emergenti della leva 1997, forse perché quell’anno lei raggiunse la prima finale a Flushing Meadows, cedendo 6-0 6-4 alla numero 1 WTA Martina Hingis (un’altra che, a 37 anni, continua a dominare nei doppi femminile e misto). Prima di Ostapenko (nata l’8 giugno 1997), Venus ha infatti mandato a casa nel terzo turno degli Championships la giapponese Naomi Osaka (10 ottobre 1997) e nel quarto turno la croata Ana Konjuh (27 dicembre 1997). E’ tutta qui la principale differenza tra il tennis femminile degli Ottanta e dei Novanta e quello di oggi (la notazione vale, in misura ridotta, anche per gli uomini): nessuno allora si stupiva se due diciassettenni raggiungevano la finale di uno Slam maltrattando esperte colleghe; adesso la Ostapenko fa notizia per aver incassato il suo primo Slam a vent’anni quasi suonati. Analogamente, è considerato normale che Williams Sr. sia tuttora tra le protagoniste mondiali di uno dei pochi sport che si praticano per l’intera esistenza.
Nell’altro quarto di finale che interessa direttamente Venus, la ungaro-australiana naturalizzata britannica Johanna Konta raggiunge il risultato che il Regno Unito s’attendeva da 29 anni: rivedere una di casa in semifinale. Era il 1978 quando Virginia Wade non riuscì a ripetere, per colpa di Chris Evert, l’exploit dell’anno prima con la vittoria in finale sull’olandese Betty Stove. La storia di Johanna e della sua lunga scalata al Gotha del tennis mondiale ha poco da spartire con quella di Venus: classe 1991, la ragazza nata a Sydney ha dovuto convincere molti scettici, perfino tra i vertici del tennis britannico, prima di avere qualche aiuto; aveva già 23 anni quando è entrata nelle Top 100; ha combattuto contro i pregiudizi di quanti la consideravano un’apolide, quasi una straniera. Oggi, in rimonta sull’aspirante numero 1 WTA Simona Halep (6-7 7-6 6-4) , Konta dà un’altra dimostrazione delle proprie caratteristiche più significative: la grinta, la perseveranza, il coraggio. Ripescando quando ho scritto poco sopra, sono convinto che con lei in semifinale salgano i tassi di esperienza e intelligenza e siano al massimo quelli di entusiasmo e freschezza. Per giovedì Venus dovrà impostare una strategia diversa, contro di lei. Una telefonata a Serena potrebbe esserle utile.
A Londra come a Roma ci sono dirigenti convinti che “il tennis femminile non fa audience tv e nemmeno vendere biglietti”. Tra loro, azzardo, anche qualcuno che conta all’All England Lawn Tennis and Croquet Club: solo così si spiega la decisione di permettere agli uomini di sottrarre la scena alle donne nel giorno – il martedì della seconda settimana – che lo Slam sull’erba riserva per tradizione ai loro quarti di finale. Gli incolpevoli intrusi sono Novak Djokovic e Adrian Mannarino, che a mezzogiorno s’installano nella Centre Court in versione indoor e ci restano fino a quasi le due e mezza, mentre nel resto dell’impianto la pioggia tiene sgombri campi e tribune. Il loro match degli ottavi era in programma ieri in chiusura di serata, ma la durata smisurata del confronto tra Rafael Nadal e Gilles Müller aveva suggerito ai felicissimi organizzatori degli Championships a spostarlo a oggi.
La partita (6-2 7-6 6-4 per il serbo) ha divertito il pubblico perché Mannarino è un giocatore che predilige la qualità. Molto leggero (70 chili) e non altissimo (181 centimetri), il ventinovenne di Soisy-sous-Montmorency ha avuto anni fa come allenatore – e si vede – l’ultimo fuoriclasse del tocco leggero, Fabrice Santoro, anch’egli d’origine italiana. Il tennis francese deve molto i nostri immigrati di quando esportavamo braccia da lavoro: i Mannarino hanno radici calabresi, così come i Santoro sono campani o pugliesi, i Bartoli (antenati di Marion) toscani finiti in Corsica. Contro l’ex numero 1 ATP, Adrian ha sfoggiato la specialità di casa: l’elaborata preparazione sia di dritto sia di rovescio che prelude l’accelerazione angolata o la palla corta. Seppure con minore propensione all’attacco rispetto Müller, che ieri ha stroncato Nadal con le discese a rete, il francese ama variare il gioco e spezzare il ritmo dell’avversario. Funziona quando Djokovic ha una pausa tra il primo e il secondo set ma non basta a invertire il momentum (…)