Parigi-Londra, solo ritorno
L’ultimo anno in cui Roger Federer vinse a Melbourne (per la quarta volta) e Rafael Nadal al Roland Garros (la quinta), fu il 2010. Era una delle annate migliori dello spagnolo, che andò avanti a conquistare anche i restanti du Major, superando Berdych a Wimbledon e Djokovic a New York, per completare il Career Grand Slam. Sono passati sette anni, tredici dal loro primo incontro in assoluto, e siamo di fatto tornati al punto di partenza. Prima di comunicare la sua rinuncia al Roland Garros, Federer era dai più additato come l’unica possibile alterativa alla Decima di Nadal: la condizione tecnica e atletica mostrata in avvio di stagione, con quel rovescio finalmente anticipato e aggressivo per non soffrire la diagonale mancina, faceva pensare ad un’ennesima battaglia di pronostici tra i due eterni rivali. Roger ha poi deciso di non partecipare sul rosso di Parigi, per evitare di minare la preparazione a Wimbledon con un solo torneo sul rosso. E Nadal ha vinto in pantofole.
Ancora, dopo tutti questi anni, si ritrovano come yin e yang, come se l’unico equilibrio possibile fosse quello in cui entrambi sono protagonisti. Se non c’è l’uno a pareggiare il peso, ci sarà per forza l’altro a dominare, senza la possibilità di un’intrusione. Subito dopo il Roland Garros, Nadal ha dato forfait per il Queen’s, torneo su erba da lui vinto nel 2008: “Se non mi sento al massimo, so di non avere la minima possibilità di vincere a Wimbledon. Per poter competere su erba, con i danni che causa al mio ginocchio, non devo avere il minimo problema. I medici mi hanno consigliato di riposarmi”. I dubbi sulla sua presenza a Wimbedon vanno moltiplicandosi, fermo restando che sarebbe inverosimile vederlo come primo favorito a Church Road. In ogni caso, la strada si spiana ancora di più per (ma no?) Federer, che invece va considerato eccome il più serio candidato alla vittoria finale.
Certo ci sarebbe Murray, che abbiamo rivisto in ottime condizioni a Parigi, domato soltanto al quinto set della semifinale da Wawrinka. Ma si continua a intravedere l’inadeguatezza dello scozzese al ruolo di numero uno del mondo, l’assenza di quell’aura di invincibilità tipica di chi è leader nell’animo, non solo per il computer. E per quanto abbia vinto già due volte in casa, Murray continua a riconoscere di essere un po’ allergico alla pressione che la sua terra gli mette sulle spalle quando gioca su quei prati. Lo stesso Wawrinka? Sciolto come un pupazzo di neve sotto i raggi mancini di Nadal, in finale al Roland Garros, sballottato a piacimento per tutto il Philippe Chatrier. “Se indovina le due settimane può battere chiunque”, ma non è così che si può interpretare il personaggio del favorito indiscusso di un torneo. Può fare l’exploit, certo, ma vederlo sollevare l’unico trofeo Slam che gli manca, su una superficie che gli toglie il tempo per le sue aperture, è da considerarsi poco realistico.
Djokovic sembra ormai aver perso la cartina per orientarsi tra i suoi fantasmi. Già il quinto set contro Schwartzman era stato un campanello d’allarme stridulo, ma la stesa con Thiem a Parigi è il vero segnale da non far passare inosservato, specialmente per l’affermazione in conferenza stampa dopo il match: “Dopo il primo set, era già decisa”. Una velata, ma nemmeno troppo, spia sulla mancanza di voglia di lottare, che gli è invece stata tipica per tutta la sua carriera. E Agassi, e il guru, e la famiglia, e Lacoste. Troppi dettagli che lo stanno allontanando da quella “gioia di giocare a tennis, che però sto cercando con tutto me stesso”, come disse quando annunciò la separazione dallo storico team di Vajda e staff tecnico. Uscito dalla top 3 per la prima volta dal 2009 (adesso è numero ATP), sembra essere ben lontano dalla mentalità di cemento con cui ha costruito il suo successo. Non può essere il favorito a Wimbledon.
Certo, come per ogni torneo, la mina vagante, la sorpresa può sempre esserci, e in quanto tale non è pronosticabile. I vari Sascha Zverev, Kyrgios, Cilic, Raonic possono sbucare con lo sgambetto da dietro l’angolo per creare squarci nel tabellone. Insieme agli specialisti o semplicemente giocatori più adatti alla superficie, che per natura si presta a smuovere gli equilibri. Muller, Kohlschreiber, Karlovic, Brown, Mischa Zverev, Isner, Lopez. Tutti grandi servitori, con un gioco d’attacco, professori del gioco di volo, che potrebbero far storcere il naso se incontrati ad un secondo turno o comunque nella prima settimana. Ma senz’altro con speranze di andare in fondo vicinissime allo zero Nel marasma generale, insomma, a Londra il favorito è Federer, che pure ha perso all’esordio a Stoccarda, contro Tommy Haas. Non perdeva al primo match di un torneo su erba dal 2002 (Ancic a Wimbledon). L’anno prima del suo primo trionfo a Londra, due anni prima della prima partita contro Nadal. Quindici anni fa, e il tempo sembra comunque non passare.