Renzo Olivo: “Io più forte della crisi”
DA PARIGI – Renzo Olivo. Una delle grandi sorprese di questo Roland garros 2017. Già, perché il timido – e quasi sconosciuto – 25enne argentino ha affrontato l’arena dello Chatrier con il coraggio di un leone, sconfiggendo al primo turno il beniamino di casa Jo-Wilfried Tsonga. Con un pubblico di casa effervescente e basito allo stesso tempo, Olivo accede al secondo turno a Porte d’Auteuil ma non in un colpo solo. Il match si interrompe all’inizio della serata per oscurità sullo score di 7-5 6-4 6-7 5-4 a favore di Olivo. La mattina seguente, è Tsonga a servire ma, in 8 minuti, Olivo gli strappa la battuta realizzando il suo miglior risultato in carriera: Tsonga non perdeva al primo turno dell’Open di Francia dal lontano 2005! Poi però l’incantesimo svanisce. Forse la tensione, l’adrenalina e il grande sforzo fisico e mentale, fanno sì che con la stellina Kyle Edmund, l’argentino si faccia travolgere.
Le condizioni economiche della famiglia non gli permettono di continuare ad allenarsi in Argentina e, all’età di 12 anni, Renzo arriva all’Accademia di Patrick Mouratoglou accompagnato da suo padre per poter continuare a realizzare il sogno di diventare un tennista professionista. Vi resta per quasi sei anni, per poi rientrare in patria e cominciare la carriera nel circuito. Attualmente n. 91 del mondo, negli ultimi tre anni si mette in luce con ottime prestazioni contro Robredo (quando era n. 18 ATP nel 2014), Vesely e Verdasco. Poi l’anno scorso arriva finalmente il risultato più importante finora, la semifinale ad Amburgo. Il capitano della squadra argentina di Coppa Davis Orsanic lo convoca infatti al primo turno della competizione del 2016, l’anno magico per gli albicelesti di del Potro. Insomma, non potevano mancare qui a Parigi quattro chiacchiere con il gentile ragazzo di Rosario che – ci ha confessato – ispirato dai grandi Messi & co. originari della sua stessa città, se non avesse fatto il tennista, sarebbe certamente diventato un calciatore.
Raccontaci come hai vissuto la notte prima della conclusione dell’incontro con Tsonga. Non dev’essere stato un momento facile…
No, assolutamente. Quando bisogna terminare una partita il giorno seguente, è difficile riuscire a dormire. Sentivo grande tensione e adrenalina ed è stata una notte molto complicata; continuavo a pensare al primo punto che avrei giocato la mattina seguente. Non volevo essere costretto a servire ancora, volevo fare il break e credo di esserci riuscito al meglio (ride).
Sei nel circuito ormai dal 2009 e, anche se hai già prodotto un ottimo tennis con giocatori importanti (Robredo, Verdasco, ecc.), fino ad ora non sei riuscito a importi come avresti voluto. Ma come sei riuscito a produrre un livello di gioco così alto proprio con Tsonga?
Mi sentivo molto bene, ero a mio agio. Con un giocatore così forte, di un livello così elevato, non lo so, mi sono sentito capace di giocare ancora meglio. E per giunta mi è piaciuto tantissimo giocare sul Centrale, dove non ho mai disputato partite prima d’ora.
Parlaci un po’ del tuo percorso. So che hai lasciato l’Argentina a 12 anni per frequentare l’Accademia di Patrick Mouratoglu?
È stato molto difficile per me e per un ragazzino di 12 anni era una decisione molto complicata da prendere. Ma questa scelta mi ha insegnato molte cose, ci sono state cose positive e negative ma mi hanno reso più forte mentalmente. Ero lontano dalla mia famiglia, ho trascorso quattro anni presso l’Accademia. Per continuare a giocare a tennis dovevo frequentare l’Accademia perché mio padre in quel periodo non aveva più denaro e non avrebbe potuto pagarmi le trasferte ai tornei e gli allenamenti. Anche se il distacco dalla mia famiglia è stata molto doloroso, era la scelta giusta per cercare di costruire una carriera tennistica. Ma è stato molto difficile: non parlavo né inglese né francese e i primi sei mesi sono stati tristi perché non parlavo quasi con nessuno.
Hai ancora contatti con Mouratoglou? Ti dà dei consigli ogni tanto?
Abbiamo ancora un ottimo rapporto e ogni tanto parliamo ma non abbiamo avuto il tempo di commentare il match contro Tsonga. E poi dopo la partita ho staccato il telefono perché volevo concentrarmi al massimo sull’incontro successivo. Le persone infatti vogliono parlare del match, hanno tante aspettative e non volevo mettermi pressione.
Parlaci un po’ delle tue origini italiane. Torni ogni tanto in Italia?
Capisco molto bene l’italiano e, a 7 anni, ho frequentato la scuola italiana e ho imparato a parlarlo. Ho la doppia nazionalità ma ora non ricordo il nome della città di cui è originario mio padre, mi dispiace. So che si trova nel sud. Purtroppo non ho occasione di tornare spesso in Italia ma sono molto legato al fatto di essere in parte italiano.
Vieni da una città, Rosario, che è una fucina incredibile di talenti sportivi e soprattutto calcistici: Messi, Di Maria, Icardi… Come mai hai scelto il tennis?
Beh, mio padre aveva un club di tennis e ho cominciato a giocarci all’età di quattro anni. Ma se non avessi fatto il tennista, penso che sarei diventato certamente un calciatore (ride).
L’Argentina ha realizzato un exploit enorme vincendo la Coppa Davis e tu vi hai partecipato al primo turno. Com’è il tuo rapporto con gli altri membri della squadra e cosa ti ha detto del Potro dopo il match con Tsonga?
C’è un ottimo rapporto tra i ragazzi della squadra ma, del resto, per vincere, è necessario avere una bella intesa. Sì, siamo uniti e mi trovo molto bene con gli altri giocatori e del Potro. Ho visto Juan Martin proprio prima del match contro Edmund, mi ha incoraggiato e mi ha detto di continuare così.