Non serve dare la colpa alla Cina
(free) – Ospitiamo un commento di Daniel Wagner, CEO della Country Risk Solutions di New York, sui crolli dei mercati finanziari di queste settimane. Wagner non entra nel dettaglio dei problemi interni e esterni dell’economia cinese, ma presenta una prospettiva più generale sui mali di cui soffre il sistema internazionale, a prescindere dalle azioni di un specifico paese.
Mentre continua la strage sui mercati azionari globali, si tende a voler guardare le lezioni della storia per poterci salvare. Molti commentatori finanziari cercano infatti di spiegare questo ultimo crollo dei mercati emergenti dicendo che siccome i mercati si sono comportati in un certo modo nel passato, seguiranno un copione simile anche ora. Tuttavia, per vari motivi, questo punto di vista è sempre meno convincente.
Sappiamo che le dinamiche che sottostanno all’economia globale sono cambiate negli ultimi 20 anni. L’America non è più il motore della crescita mondiale, il mondo sviluppato non consuma più la maggior parte delle materie prime mondiali, e ora esiste un mercato unico globale. Anche prima che la Cina diventi ufficialmente l’economia più grande del mondo, il mondo sta trattando la Cina come tale, giustamente.
Molti indicano la Cina come epicentro della strage, ma così facendo omettono alcune considerazioni importanti. La Cina sarà anche il simbolo del problema e il paese dove si manifestano di più certi difetti strutturali dell’economia globale, ma in realtà è solo un sintomo, non la causa.
La Cina non ha certamente inventato l’avidità, la gestione del rischio troppo lassista, l’inadeguatezza dell’applicazione delle regole, e la memoria corta – tutti fattori che portarono alla Grande Recessione, che ovviamente partì dagli Stati Uniti. Gli ingredienti di base che gettarono il mondo nei guai nel 2008 sono sempre presenti. L’avidità non è certamente scomparsa, ed è molto chiaro che le persone hanno ancora la memoria corta. Sebbene le procedure per la gestione del rischio e i meccanismi per l’applicazione delle regole siano decisamente migliorati, la tendenza ad annacquarli ha acquistato slancio con il passare del tempo – negli Usa più che altrove.
La Cina non ha creato nemmeno i global supply chains, i flussi finanziari elettronici e le comunicazioni istantanee che hanno accentuato la velocità con cui i mercati possono salire e accresciuto la nostra vulnerabilità collettiva ai cali economici. La Cina era diventata la “droga” che serviva per la dipendenza dei produttori di commodities, degli importatori di merci e degli utilizzatori di lavoro a basso costo. Il mondo ha accettato felicemente l’invito della Cina, ma ora si lamenta della propria creazione.
Gli investitori e i prestatori globali hanno imparato abbastanza poco dal 2008. Hanno creato altre bolle, ignorando altri segnali di pericolo, e fino a poco fa hanno continuato a fare festa come se fosse il 1999. Ora i nodi vengono al pettine. Ora come allora siamo noi il nostro peggiore nemico, con tutti i pezzi del puzzle che svolgono un ruolo predefinito.
I banchieri sono sempre avidi, i lobbisti continuano a trovare modi di annacquare le regole che limitano la libertà di movimento dei loro clienti, e i gestori del rischio sono impegnati a capire come riescono a spingere al limite le nuove regole. Gli elettori continuano ad eleggere legislatori che hanno un interesse costituito nel perpetuare il sistema. Il risultato è un polis globale che è marcio dentro. Perché dovrebbe sorprendere che ci troviamo di nuovo nei guai?
Se non è bastata la Grande Recessione a cambiare i cuori e le teste dei banchieri, dei legislatori, dei lobbisti e degli elettori, che cosa ci vuole? Esiste una responsabilità collettiva per aver perpetuato un sistema rotto. Ogni attore ha svolto il proprio ruolo nel far andare avanti il sistema in questo modo.
Il crollo dei mercati cinesi sta provocando delle ripercussioni sul mondo simili a quelle della Grande Recessione americana, per motivi strutturali dello stesso tipo.
Poiché il mercato non si autoregolamenta, chiaramente, si dovrebbero attuare delle restrizioni ancora più forti su come gli investitori possono investire e come i prestatori possono prestare. Le autorità di regolamentazione dovrebbero applicare meglio le regole, i gestori del rischio devono concentrarsi sulla gestione del rischio e non su come aggirare le regole, e siccome l’avidità fa parte della condizione umana, dovremmo tutti fare qualcosa per ricordare le lezioni del passato.
Accusare la Cina non ci aiuterà a fare ciò, come non ha aiutato dare la colpa all’America nel 2008.
– Newsletter Transatlantico N. 63-2015