La presa di posizione dell’Australia
(free) – di Paolo Balmas –
Durante la settimana, alle Hawaii si sono tenuti (e sono ancora in corso) gli incontri per raggiungere un accordo sulla Trans Pacific Partnership. I dodici delegati presenti rappresentano gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, il Perù, il Cile, l’Australia, la Nuova Zelanda, la Malesia, Singapore, il Brunei, il Vietnam e il Giappone.
Nel promuovere l’accordo si parla di una potenziale crescita del Pil di vari punti per i paesi coinvolti, in base principalmente ad un aumento delle esportazioni. Però la riduzione delle barriere comporterebbe vari inconvenienti relativi alle esigenze di specifici settori di ogni singolo paese. Lo scorso 28 luglio, è stata la volta dell’Australia.
Il Ministro del Commercio di Canberra, Andrew Robb, ha dichiarato durante un’intervista radiofonica che l’Australia non firmerà il Trattato se non saranno rielaborate delle clausole più convenienti per i produttori di zucchero del proprio Paese. Della stessa idea è il collega all’Agricoltura, il ministro Barnaby Joyce.
Il settore dello zucchero in Australia vale circa 1,3 miliardi di Euro l’anno e il volume delle esportazioni è il terzo al mondo. L’obiettivo del governo di Canberra è di garantire una maggiore quantità di esportazioni verso il Nord America.
A tale posizione si sono opposti i produttori statunitensi che hanno messo in chiaro che un trattato che garantirebbe all’Australia di superare la quota di 4,5 milioni di tonnellate l’anno per le esportazioni verso l’America del Nord, non potrà essere accettato.
Tuttavia, la divergenza dei produttori di zucchero che si affacciano sul Pacifico non è l’unica a mettere in dubbio il raggiungimento di un accordo entro oggi. L’Australia ha espresso le proprie preoccupazioni anche a proposito di altre due questioni spinose.
La prima riguarda la validità dei brevetti delle biomedicine. Secondo gli Stati Uniti dovrebbero essere validi per 12 anni. Secondo altri per 8 o per 5. L’Australia si è espressa a favore dei 5 anni. La seconda, invece, riguarda il diritto delle imprese private che operano in uno degli altri undici paesi firmatari, di fare causa ai governi che approvano leggi che in qualche modo possono riflettersi negativamente sui propri affari. Canberra non è d’accordo.
Le preoccupazioni australiane si sommano agli interessi statunitensi nel regolare il ruolo delle imprese pubbliche e alle resistenze giapponesi ad agevolare le importazioni di alcuni prodotti agroalimentari che in casa sono super protetti (carne bovina, carne suina, prodotti caseari, riso, soia). Anche se si raggiungesse un accordo preliminare, le parti non pienamente soddisfatte sarebbero molte.