In Libia c’è in gioco l’Europa
La posizione ferma dell’ONU sul tentativo di mediazione lascia in sospeso questioni che troveranno risposta solo quando, in un modo o nell’altro si prenderà una seria iniziativa, qualunque essa sia. Non è pensabile un intervento fuori dall’ombrello dell’ONU ma è auspicabile che la faccenda si affronti a più livelli con un approccio integrato: che preveda proposte politiche e diplomatiche e sostegno diffusi, soluzioni regionali e nazionali (limitate all’area europea ed africana coinvolte) ed un’azione pragmatica nell’interesse della società libica.
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La crisi libica potrebbe essere un buon test per l’Europa, perchè è a livello europeo che dobbiamo affrontarla. È in gioco il modus operandi con cui l’Unione affronterà le emergenze ai suoi confini. L’Unione deve muoversi da Unione, compatta, anche se solo pochi Stati saranno attivamente coinvolti in una trattativa o in un’azione militare: quelli vicini per ragioni storiche o geografiche come Italia, Francia, Inghilterra e perfini Spagna e Germania. È un banco di prova a più livelli. L’Italia sarà sotto i riflettori, come lo sarà la nostra capacità politica e militare di reggere all’urto. D’altro canto il nostro compito ed il nostro merito sarà quello di tirare in ballo l’Europa e per farlo sarà necessaria una figura in grado di mediare sia all’interno che all’esterno (sempre che le tempistiche lo consentano). Il secondo livello è appunto europeo, qui sigioca la partita della fiducia tra Stati, cittadini, istituzioni comunitarie, la tenuta di una linea estera o di una solidarietà interna (non parliamo di politica estera perchè sembra essere troppo lontana ed inadeguata). O l’Europa agisce da Unione oppure è nuovamente a rischio non solola sua credibilità interna ma anche e soprattutto quella esterna, come hanno dimostrato in parte la crisi ucraina, l’embargo alla Russia, gli sbarchi dei migranti e perrestare in casa nostra la vicenda dei due fucilieri.
L’Europa sarà chiamata ad un impegno politico, diplomatico e militare. Quest’ultimo difficilmente avrà carattere di uma missione di peacekeeping, per il semplice fatto che non c’è alcuna pace da mantenere. Più probabilli saranno invece interventi di peace making e peace enforcing, il che significa prepararsi ad una guerra. Prima di queste soluzioni, che sono per loro stesso carattere non pacifiche anche se lo è il loro intento, il tentativo di mediazione non potrà che provenire dall’esterno. Attenzione andrà posta al ruolo per cui si proporrà l’Egitto. Attualmente al Sisi è molto attivo sul fronte libico per ragioni di sicurezza esterna ed interna (il suo è pur sempre un equilibrio instabile, che subirebbe forti sollecitazioni interne in caso di diffusione del clima fondamentalista). Gli Stati Africani potrebbero temere una crescita politica eccessiva del governo egiziano, già in passato offertosi come mediatore tra le diverse realtà islamiche e non.
È bene però che l’Europa trovi un accordo su un semplice punto, un dato di fatto: dobbiamo prepararci ad affrontare un futuro ricco di problematiche di vario genere di fronte al quale essere uniti sarà un vantaggio. Queste situaziini potranno essere un ottimo collante per l’Unione che, come tutte le unioni a carattere regionale ha dei confini ed è su questo che premeranno le future situazioni di instabilità. Le nazioni che rappresentano la cornice dell’area comunitaria e che saranno più esposte andranno sostenute politicamente, economicamente e militarmente. In questo quadro il ruolo anche simbolico di un intervento tedesco (il cui governo però sta agendo sul versante ucraino) sarebbe importante al fine di ricompattare la fiducia perduta tra gli Stati.
Se l’Europa non sarà in grado di fare questo, segnerà pesantemente il passo in un mondo che continuerà a correre e che rischia di travolgerla. Nel caso in specie l’esposizione maggiore è quella dei Paesi mediterranei, Italia in primis. Il problema che abbiamo in Libia è un problema arabo prima di tutto e poi internazionale capace di estendersi a tutto il nord Africa e, dato che l’antico Califfato inglobava anche la Spagna un coinvolgimento spagnolo sarebbe quanto meno auspicabile. Per ragioni storiche e culturali, perchè rappresenta un ponte tra due mondi. Allo stesso modo la Francia farebbe bene a proporsi attivamente sebbene per ragioni ovvie legate all’ultimo intervento, il governo francese come quello inglese farebbero meglio ad occupare una posizione di seconda fila rispetto ad una leadership sispera a guida italiana.
La risposta a questa emergenza deve essere europea, nel senso che sarebbe auspicabile che gli Stati europei prendessero l’iniziativa in ambito ONU. Qui si peserà la maturità delle istituzioni e l’adeguatezza dei suoi leaders. Non serve, come successo nel 2011 una concentrazione di fuoco sulla Libia ma una proposta politica che guidi questa nazione e per dimostrarsi all’altezza l’Europa dovrà fornire prima una prospettiva a se stessa.
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