FLAVIA E FRANCESCA: L’ALTALENA E LA FIACCOLA
Dubai, torneo Premier da 2 milioni di dollari di montepremi. Mentre Francesca Schiavone subisce la rivincita di una determinatissima Kuznetsova, ancora furente per la sconfitta subita nella storica maratona di Melbourne, è Flavia Pennetta a fare il botto, centrando una importantissima semifinale, che la porta al n. 8 nella classifica race della WTA.
Flavia Pennetta e Francesca Schiavone. Francesca Schiavone e Flavia Pennetta. L’una perde? No problem, vince l’altra, e il nostro tennis rosa resta sugli scudi, e continua a mietere allori come nessuno, nemmeno il più ottimista dei tifosi, fino ad un paio di anni fa, si sarebbe aspettato.
In effetti, le vicende tecniche di Francesca e Flavia ci spiegano molto bene per quali motivi il nostro tennis per 30 anni non ha ottenuto risultati di livello assoluto.
Si diceva che non avevamo “la tradizione vincente”, l’abitudine ad arrivare ai vertici. Ed era proprio così.
Certo, abbiamo avuto una serie di buoni giocatori e giocatrici, buoni professionisti. Per limitarci alle ragazze: Golarsa, Reggi, Cecchini, Ferrando, Bonsignori, Garrone, eccetera…
Poi è arrivata Silvia Farina che, insieme a suo marito Francesco, ha insegnato a tutte, in primis alle coetanee Rita Grande e Tatiana Garbin, cosa significa esattamente fare il professionista a 360 gradi nel tennis del 2000, curando ogni particolare, in modo certosino e maniacale, 365 giorni all’anno.
Francesca e Flavia le sono andate dietro, ne hanno seguito l’esempio e l’approccio al lavoro. Tutte e tre sono entrate nelle prime 20, tutte e tre fermandosi sulla soglia del Paradiso.
Perché diciamoci la verità: ad un certo punto, diciamo ad inizio 2008, sembrava che anche Flavia e Francesca avessero esplorato i loro limiti.
Francesca, dopo essere andata a un pelo dalle Prime Dieci, sembrava appagata della sua carriera: aveva pur sempre battuto un mare di top 10 e vinto una Fed Cup. Flavia, dal canto suo, pensava già a diventare la signora Moya, e pianificava una vita da moglie e da mamma, a Barcellona.
Poi, ecco che succede qualcosa. Uno di quegli eventi, apparentemente insignificanti, che cambiano la storia.
Succede che Carlos Moya incontra una certa Carolina Cerezuela, starlette della tv iberica, e perde letteralmente la testa, mollando Flavia con un sms.
La pugliese pare affondare nella depressione, ma è una tosta, e si riprende. Decide che il tennis è la sua cura, torna a darci dentro come una matta, ed ecco, nell’estate del 2009 accade una cosa che a noi pareva proibita, impossibile: cade un tabù.
Flavia Pennetta, con una esaltante serie di risultati nella caldissima estate americana, entra, prima italiana nella storia, fra le prime 10 tenniste del mondo. Non ci accadeva da 31 anni, l’ultimo essendo stato Corrado Barazzutti, nel lontanissimo 1978.
Per il nostro tennis è come passare le Colonne d’Ercole, per avventurarsi nell’ignoto, nel periglioso Mare Oceano, come le tre caravelle di Cristoforo Colombo nel 1492.
Ed ecco, arriva la grandine. Tutti i giornali e i media si accorgono del tennis, e di Flavia Pennetta, bellezza mediterranea dolce e rassicurante, che finisce su tutte le copertine, va in tv, concede interviste, diventa un personaggio.
Siamo tutti contenti.
Ma c’è qualcuno, nell’ombra, che osserva con aria torva quel che accade alla sua amica. E’ una piccola, razzente milanese dai capelli ribelli. La rabbia le cova dentro, le infonde motivazione.
Decide di fare come Rocky prima del match contro Ivan Drago.
Fa di Tirrenia la sua dacia siberiana, di Barazzutti e di Furlan i suoi Apollo Creed, si allena come una pazza, con una determinazione mostruosa, decisa a far vedere alla sua amica, e a tutti, di cosa è capace. Decisa a chiudere le sua carriera, quando sarà il momento, senza alcun tipo di rimpianto.
E succedono cose strabilianti, culminate in quel magico momento di maggio in cui, sul Philippe Chartrier, sale un tricolore sul pennone più alto, e 15.000 francesi si ritrovano ad ascoltare l’inno di Mameli dopo 34 anni.
Succede che si va al Master di fine anno, e bum! cade un altro tabù.
Nel frattempo, l’altra, la pugliese, dopo alcuni match girati storti in singolare (clamoroso quello di Parigi con la Woszniacki) si dà al doppio, e fa le cose per bene: diventa n. 1 di specialità, vince addirittura il Master, e poi l’Australian Open. Anche qua, cose mai viste, dalle nostre parti.
Ma nonostante questo, tutti, inevitabilmente, parlano di Francesca, della Leonessa indomabile, che unisce atletismo e tecnica, fantasia e grinta, volèè al bacio e passanti in corsa, smorzate millimetriche e topponi roteanti, riscattando il circuito femminile dalla noia degli armadi sparapalle.
“Ah si? E allora adesso tocca a me!”
Flavia chiama il suo coach Urpi: “Gaby, vieni qua, dobbiamo imparare a variare il gioco. Insegnami l’attacco in controtempo, voglio finire i punti a rete, non posso fare sempre 100 chilometri a partita. E insegnami a variare le traiettorie, che ormai sono maturata, ho capito che non posso fare sempre e solo a pallate con queste dannate slave 10 centimetri più alte e 15 chili più pesanti di me. Guarda, se ci riusciamo, voglio anche imparare il rovescio in back… e usare di più la smorzata, e il rotolone di diritto. Gli faccio vedere io a questi qua: se lei ha vinto uno Slam, beh, a costo di schiattare sul campo, ma ce la posso fare anch’io…”
E in un mese e mezzo la Pennetta ha già risalito undici posizioni nel ranking, superando 3 top 10.
In bocca al lupo ragazze. Chi verrà dopo di voi, seguirà le vostre orme. Perché per la prima volta, dopo tanto tempo nel nostro tennis, la strada è tracciata.
Confidiamo che tra qualche anno voi due, magari assieme a Tatiana e a Rita, sarete là, con i nostri giovani, a tracciare uno schema, a correggere un’apertura. O in giro per il mondo, sedute all’angolo del coach, seguendo quelle a cui avrete passato il testimone, per guidarle, la torcia stretta nella mano, sulle vostre stesse orme.
Perché la fiaccola, che voi avete acceso, non si spenga più sul nostro tennis, e sconfigga definitivamente le tenebre, che ci hanno avvolto per 30 anni. Onore a voi.