Tanti auguri Schiavone, dieci anni fa regina di Francia (Crivelli). Parigi e il bacio della Leonessa (Semeraro). Sinner pronto ad allenarsi con Nadal e Djokovic (Barana). «Datemi salute e pace e gioco altri due anni» (Semeraro)
Tanti auguri Schiavone, dieci anni fa regina di Francia (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Incancellabile. Nel grande libro dello sport italiano, il 5 giugno 2010 resterà una data scolpita nell’immortalità. Dieci anni fa, la Schiavone vinceva il Roland Garros battendo in finale l’australiana Stosur 6-4 7-6 (2). Per omaggiarla, le dedichiamo un decalogo personalizzato. 1 – Il ricordo. Francesca affronta il Roland Garros del 2010 da testa di serie numero 17. La partita chiave è quella di terzo turno contro la cinese Li Na: la Schiavone gioca quella che lei stessa definisce la partita più bella in carriera e da quel momento diventa inarrestabile. Così ricorda i momenti che hanno preceduto l’ingresso in campo della finale: «Eravamo pronte a uscire dal tunnel ed è partita la musica del Gladiatore, la canzone di uno dei miei film preferiti, che ho visto decine di volte. E stato un attimo, mi sono connessa immediatamente con le mie emozioni, lo stress è sparito». 2 – I sogni. In quel pomeriggio parigino Francesca Schiavone realizza in un colpo solo i due sogni sportivi che coltivava fin da ragazzina: «A 18 anni mi ero posta di inseguire due obiettivi, ben sapendo che probabilmente si trattava solo di un sogno: vincere il Roland Garros ed entrare tra le prime dieci giocatrici del mondo». 3 – I rimpianti. Nonostante una carriera fenomenale, anche per lei c’è stato il momento dei rimpianti: «La finale del Roland Garros del 2011: sul 6-5 per me nel secondo set la giudice di sedia Engzell chiama buona una palla della Li Na che è decisamente fuori. Probabilmente avrei vinto il set, e al terzo avrei avuto più birra di lei. E invece quella chiamata mi ha mandato in tilt. E poi mi dispiace non essere riuscita a mettermi al collo una medaglia olimpica (a Pechino 2008 si fermò ai quarti, ndr) per l’Italia. Ci sono andata vicina. Ma so che prima o poi qualcuno di noi la vincerà». 4 – La malattia. A maggio del 2019 le diagnosticano un linfoma. A dicembre, su Instagram, l’annuncio che la bestia è stata sconfitta. Poi a Sportweek confessa: «È stata la battaglia più dura della mia vita, non è comparabile con nessun’altra cosa. Anche se sei stata un’atleta, anche se sei stata abituata a lottare, quando te lo dicono senti le gambe sprofondare. D’altra parte non è che con il tumore chiudi la partita e finisce tutto. Dentro un po’ di paura rimane. Ma adesso l’emozione più grande è essere viva, alzarsi al mattino e dire “sto bene”». […] 6 – La pandemia. Anche Francesca, come tutti, è stata travolta da un’emergenza che nessuno aveva mai vissuto: «Stiamo condividendo un’esperienza che ci costringe a riflettere. I più forti sono quelli che non ne usciranno a mani vuote, ma portandosi dietro qualcosa. Io mi sono ripresa la salute, che non è poco, e il tempo. Ora mi rendo conto di quando vado troppo veloce». […] 10 – Allenatrice. Dopo il ritiro e appena prima della malattia, Francesca aveva allenato la Wozniacki per la stagione sulla terra e aveva cominciato una collaborazione con Fognini. Adesso, se riprendesse quella strada, le piacerebbe occuparsi di giovani italiani oppure della Halep. Ma la porta di casa Fognini è sempre aperta: «Allenare un uomo sarebbe una gran bella sfida».
Parigi e il bacio della Leonessa (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
E’ il 2004, o forse il 2005, in una saletta degli US Open c’è Francesca Schiavone, sudata e incazzata per una sconfitta. «Lo so che dirlo adesso sembra folle, e che non mi crederete – butta lì – Ma un giorno io vincerò un torneo dello Slam». Roland Garros, 5 giugno 2010, sul “Philippe Chatrier” c’è Francesca Schiavone che alza la coppa del Roland Garros. Ha appena battuto Samantha Stosur; 6-4 7-6. E chi era lì se li ricorda tutti, uno per uno, i brividi che ha provato quando è partito l’Inno di Mameli per la Leonessa, la prima tennista italiana della storia a vincere uno Slam, la terza in assoluto dopo Pietrangeli e Panatta. «Sono passati dieci anni, ma sembra adesso», ha ammesso in questi giorni Francesca, che da qualche mese si è messa in tasca un successo ancora più importante, quello contro il tumore con cui ha combattuto per più di un anno. «Quella di Parigi è stata la seconda vittoria più importante», ripete. «La prima è essere viva». Dieci anni fa al Bois de Boulogne aveva camminato da predestinata, eliminando al terzo turno Na Li – che l’avrebbe beffata l’anno dopo, nella sua seconda finale, con la complicità di una chiamata scandalosa – poi Maria Kirilenko, Caroline Wozniacki nei quarti e la Stosur in finale. In semifinale il pizzico di fortuna, la spolverata di destino che assiste sempre i Prescelti: il ritiro di Elena Dementieva. Poi quel bacio alla terra rossa, e l’inizio della love story fra il nostro tennis femminile e la storia. Il prologo era stato l’ingresso di Flavia Pennetta fra le Top 10, nell’agosto di un anno prima, un altro debutto storico. Le basi erano state gettate con il primo dei quattro successi in Fed Cup, nel 2006. Il colpaccio della Leonessa, quasi ripetuto nel 2011, ha stappato cinque anni irripetibili. Una serie di vittorie continue anche a livello individuale: Francesca che sfiora il bis nel 2011 – e il tarlo che dietro quella chiamata “assurda” di Louise Engzell ci fosse anche un filo di sudditanza verso lo sterminato mercato cinese, comunque, rimane – Sara Errani che l’anno dopo macchia di nuovo la finale di azzurro, arrrendendosi solo alla Sharapova. L’ingresso fra le prime dieci di quattro delle nostre: dopo Flavia (best ranking n.6) e Francesca (n.4), anche la Errani (n. 5 nel 2013) e Robertina Vinci (n.7 nel 2016). La semifinale agli US Open di Sara, nel 2012, il grande Slam di doppio in carriera suo e di Roberta fra 2012 e 2014. Infine l’apoteosi a New York, nel 2015; quella finale “all Italian”, magnifica e quasi surreale, vinta dalla Pennetta sulla Vinci dopo che Robertina aveva umiliato sua maestà Serena Wiliams. Quella generazione fantastica – ecco l’unico rimpianto – non ha lasciato eredi in campo femminile. Ma in maniera segreta, sottocutanea, ha nutrito il rinascimento maschile, la crescita di Fognini, Berrettini e ora di Sinner. L’impresa di Francesca a Parigi, 10 anni fa, ha mostrato a tutti che sì, si poteva fare. Guarda caso il nome del bistrot che Francesca ha inaugurato a Milano è proprio quello: Sifà. E magari sarà lei, in futuro, da coach, a mostrarci che si può anche rifare.
Sinner pronto ad allenarsi con Nadal e Djokovic (Francesco Barana, Corriere dell’Alto Adige)
Linea diretta con Nadal e Djokovic. Il telefono lo ha preso in mano Riccardo Piatti, il coach di Jannik Sinner, che vuole far allenare insieme il pusterese con i due fuoriclasse. L’obiettivo è creare «delle vere e proprie simulazioni di partite approfittando dei tornei fermi» ha detto Piatti, in modo che «Jannik porti via qualcosa ai migliori». Piatti così nei giorni scorsi ha parlato con Carlos Moya, ex campione spagnolo e oggi allenatore di Nadal. Il filo è diretto invece con Djokovic, che da ragazzino è stato cresciuto dal maestro comasco. Inoltre Nole, attuale numero uno del mondo, spesso va ad allenarsi a Montecarlo, dove attualmente è di stanza Sinner, che ha lasciato provvisoriamente Bordighera. Nel Principato già in passato Sinner ha potuto scambiare qualche palleggio con il serbo, ma questa volta sarebbe diverso. Negli anni scorsi Sinner era solo un ragazzino usato come sparring partner, adesso si tratterebbe di allenamenti mirati. Con Nadal invece la questione è un filo più complicata da organizzare: il maiorchino in genere non si allontana mai dalla sua Accademia a Manacor, per questo Piatti sta lavorando per portare per un periodo Sinner proprio nelle Baleari, a «casa» di Nadal. Il coach è determinato: «Sinner va portato al top in tre anni, deve incrociare i migliori e imparare da loro». Alcuni colpi vanno perfezionati. Prendi il servizio: «Deve aumentare la rotazione delle spalle, se va in anticipo con il movimento può trovare angoli più stretti. Poi deve iniziare a utilizzare meglio le variazioni» dice Piatti. Poi c’è il gioco al volo: «La sua volée è buona tecnicamente — conclude Piatti — ma se gli cambiano la rotazione o la velocità del passante va in difficoltà».
«Datemi salute e pace e gioco altri due anni» (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
«Quello del tennis è un circuito mondiale, secondo me potrà ripartire quando tutti i tennisti potranno viaggiare. Se non sarà così, magari giocheremo lo stesso e parteciperò anch’io. Ma avrei la sensazione di fare una cosa che non è del tutto giusta». Metti una colazione – virtuale, via Zoom – con Rafa Nadal, che il giorno dopo aver compiuto 34 anni si collega con un gruppo di giornalisti per commentare a che punto è il tennis. In questa settimana di inizio giugno di solito Rafa è a Parigi, ma la pandemia per ora gli ha impedito di difendere il titolo vinto l’anno scorso al Roland Garros, il dodicesimo della serie. E solo a metà mese probabilmente sapremo se a settembre si giocheranno gli Us Open nella data consueta. Rafa, giocherebbe a New York senza pubblico né staff, chiuso in una sorta di “bolla”? «Non è la situazione ideale, e oggi come oggi non mi piacerebbe giocare un torneo a New York. Però non sappiamo se nel giro di due mesi la situazione migliorerà. Sono convinto che chi organizza il torneo vuole che l’evento sia sicuro, come pure la Federazione francese. Se non c’è sicurezza totale, per tutti, non ha senso giocare perché dobbiamo essere responsabili e dare l’esempio. In uno Slam saremmo in 700 persone minimo, anche limitando lo staff al solo coach, fra giocatori e addetti, ci sono i tabelloni di singolare, doppio, maschile, femminile, qualificazioni».
Cosa ne pensa del Roland Garros a fine settembre?
Non ne ho parlato molto con gli organizzatori. Ho saputo 10 minuti prima della comunicazione ufficiale che il torneo sarebbe stato spostato a settembre. Ho solo detto loro che dovevano consultarsi con i tennisti e l’Atp, perché se ognuno fa come vuole diventa difficile organizzare il calendario.
A New York ora ci sono problemi anche per le manifestazioni anti-razziste.
La situazione mi sembra molto brutta Guardo quello che sta succedendo li ed è tembile. Sono cose che nessuno vorrebbe accadessero, eppure ci sono. Spero che la situazione possa tomare sotto controllo e che si possa tornare a vivere una vita normale. Una vita di pace. Non c’è niente di più importante di vivere in salute e in pace, e oggi non abbiamo nessuna di queste due cose.
Qualche tempo fa ha detto che quest’anno non crede si giocherà ancora: è sempre della stessa idea?
Non so prevedere cosa succederà. Quando ho detto quelle cose la situazione era terribile, tanta gente moriva, pensavo alla salute di tutti e non al tennis. La chiave sarebbe trovare un vaccino, una cura, ma non ci sarà a breve, mentre dobbiamo avere la possibilità di viaggiate senza contrarre il virus e senza portarlo nelle nostre case. Il calcio o diversi altri sport si possono giocane stando in un solo Paese, il tennis è diverso, devi mettere insieme tanta gente da tutte le parti del mondo.
Ha potuto allenarsi in questo periodo?
Ero in un Paese che non permetteva di uscire di casa, ho ricominciato solo due settimane fa. Prima ero nel mio appartamento, non su un campo. Ora cerco di ricominciare passo dopo passo, evitando gli infortuni. Gioco qualche giorno a settimana e solo per un’ora e mezza alla volta.
Ripartire sarà più dura per voi “anziani” o per i giovani?
Non so dirlo, ma forse per noi. Se sei più anziano fai più fatica dopo una pausa lunga, però l’esperienza gioca a nostro favore. So come si torna in forma dopo un infortunio. Di sicuro posso dire che ho voglia di giocare ancora per almeno due anni. E voglio farlo in uno stadio pieno di gente e di energia.
Che Slam sceglierebbe di giocare fra Roland Garros e US Open?
Non riesco a immaginare che si giochino due Slam uno dietro l’altro. Ma deciderà quando sarà il momento, insieme al mio staff.