I quattordici giorni di Zhizhen Zhang
“Quando hai lasciato la Cina l’ultima volta?” è ormai domanda di routine per Zhizhen Zhang, ventitreenne tennista di Shanghai. Perché, con quasi 1.400 vittime e 60.000 contagiati dal coronavirus in Cina secondo i dati ufficiali, Zhizhen sa che deve rendere conto della cronologia dei suoi spostamenti. Attualmente si trova in India, dapprima eliminato nelle qualificazioni dell’ATP 250 di Pune e ora all’esordio del Challenger di Bangalore (da un peraltro scatenato Julian Ocleppo). Anche due suoi connazionali avrebbero dovuto partecipare, ma non ci sono riusciti. “Sono stato fortunato perché ho lasciato presto il Paese” spiega Zhang intervistato da Espn. “Loro sono rimasti bloccati in Cina, tra l’ambasciata chiusa per le le festività del Capodanno cinese e l’India che, come molti altri Paesi, non accetta visti online”.
La sua sola presenza, questa settimana, ha creato qualche preoccupazione fra quelli attorno a lui: “Sono andato dal medico del torneo perché non mi sentivo bene e avevo una leggera di febbre. Quando gli ho detto di essere cinese, si è allarmato. Tuttavia, poiché non avevo tosse ed ero lontano dal mio Paese da un po’, si sono tutti tranquillizzati. Adesso, dopo aver detto che sono cinese, aggiungo subito che sono venuto via dalla Cina da almeno due settimane”. E l’idea sarebbe di non tornarci a breve. “Ogni volta che i miei genitori mi chiamano” racconta Zhang, “tutto quello che mi dicono è di non tornare in questo momento. Vogliono che me ne stia lontano e al sicuro”. E avverte che “Shanghai non può permettersi di arrendersi al virus come ha fatto Wuhan. È una città imponente. Le persone hanno ricominciato a tornare al lavoro dopo le feste, quindi c’è preoccupazione. Non sappiamo cosa ci aspetta”.
Mentre sono cinque le ragazze in top 100, guidate dalla n. 27 Qiang Wang, il suo 136° posto nel ranking ATP designa Zhang come primo tennista di un movimento maschile che stenta a decollare. Con entrambi i genitori che praticavano sport e che lo hanno avviato a nuoto e tennis, Zhizhen ha scelto il secondo all’età di sei anni perché “il mio allenatore di nuoto era particolarmente severo. All’epoca, era l’opzione più facile. Adesso, so che il tennis è ben lontano dall’esserlo” scherza. Ma alle problematiche individuali, alle difficoltà di emergere che da sempre accompagnano chi cerca di vivere di tennis, ora si aggiungono quelle create dal virus che ha Wuhan come epicentro.
Il gruppo zonale asiatico di Fed Cup è stato rinviato di un mese e spostato a Dubai. Per il momento, quattro tornei del circuito Challenger previsti in Cina per marzo sono stati cancellati, mentre altri sono a rischio. Ciò che significa opportunità di guadagno sfumate per molti, come ha spiegato il tennista indiano Sasikumar Mukund a Sportstar la scorsa settimana: “Non ho un programma, dove giocherò? Per adesso, il piano è di restare in Europa, ma non so cosa accadrà dopo. Le olimpiadi sono a rischio se continua così”. Anche altri tennisti cominciano a preoccuparsi. Al quotidiano argentino la Nación, Guido Pella dichiara che salterà il tour asiatico se la situazione continua. “Ma non ci voglio pensare troppo perché credo che farlo attragga la malattia o predisponga a contrarla. La realtà è che nel mondo ci sono oltre sette miliardi di persone e solo alcune migliaia sono infette. Sono molte, ma non stiamo parlando di un’epidemia di massa”.
Tornando a Zhang, alle prese con la programmazione delle prossime settimane, dovrebbe volare a Dubai e poi negli Stati Uniti per un Challenger, ma il resto è tutto da definire. “Mi preme far sì che il mio compagno di doppio – cinese – si rechi in un altro Paese e resti lì per due settimane [il limite di precauzione] prima di raggiungermi negli USA”. Inoltre, la squadra cinese di Coppa Davis sarà in trasferta in Romania il 6-7 marzo e Zhizhen, già parte del team in due occasioni, potrebbe dover tornare in patria. Insomma, problemi di maggior entità rispetto a quello capitatogli nel 2016, quando il suo mentore Ivan Ljubicic lo mise in contatto con Roger Federer e con lui ebbe occasione di allenarsi a Monte Carlo. “Probabilmente, non sapeva neanche chi fossi” racconta. “Alla fine dell’ora, si avvicinò e mi parlò, ma ero talmente emozionato e con la bocca impastata di fronte al mio idolo che non ricordo nemmeno cosa dissi”.