Un altro anno e poi le Finals torneranno in Europa. Ma la Brexit non c’entra
Il penultimo evento che ancora abbiamo negli occhi di questo 2019 sono state le ATP Finals di Londra, per noi impreziosite da Matteo Berrettini, primo italiano di sempre a vincere un match nel torneo dei Maestri, seppur nell’ultima inutile sfida tra lui, già sicuro di tornare a casa, e Dominic Thiem, certo di passare il Gruppo Borg da primo. Intanto l’ha fatto e si è messo dietro Panatta e Barazzutti, non proprio due di passaggio nella storia tennistica azzurra. Il 2020 sancirà il commiato di Londra come città ospitante l’evento, dopo 12 anni di onoratissimo servizio. Dal 2021 sarà Torino a ospitare le ATP Finals e noi non potremmo essere più felici, ma certo l’eredità di Londra sarà molto pesante. Come ha detto fin troppo chiaramente lo stesso Berrettini, a proposito di che cosa la città dei Savoia possa offrire di più rispetto alla capitale britannica, “non vedo in cosa si possa fare meglio”.
Non proiettiamoci subito però al Pala Alpitur di Torino, certamente all’altezza di un grande evento (ha ospitato a settembre 2018 i Mondiali di volley) ma con ancora tutto da dimostrare per il torneo più importante del tennis dopo i quattro Slam. Qui vogliamo cercare di trasmettervi l’atmosfera, il fascino e tutto quanto abbiamo provato da inviati, appassionati e spettatori a Londra, provare a darvi un’idea più precisa di quella percepita dalla TV così da valutare se valga o meno la pena programmare la trasferta all’ultima occasione, il prossimo novembre, per poter raccontare, “io le ho viste le Finals all’O2 Arena di Londra”. Intanto, che differenza c’è con gli Slam, dentro ma anche fuori dai loro cancelli
VERDE E NOBILTÀ ATTORNO A ROLAND GARROS E WIMBLEDON
Chi ama seguire i grandi tornei dal vivo, sa che questi sono ubicati in quartieri più o meno periferici della grande metropoli che li ospita, in una zona dove fuori dall’impianto può trovare le ambientazioni più disparate. A Wimbledon e a Parigi, uscendo fuori dai cancelli dei Championships e del Roland Garros si è immersi nel verde.
Nella capitale francese il grande parco di Bois de Boulogne assicura il meglio che ci si può aspettare da una grande oasi verde metropolitana, non solo in termini di quiete o possibilità di fare jogging ma soprattutto dal punto di vista naturalistico, tra laghetti ed esemplari floreali di grande pregio. Strettamente collegate con il torneo, le Serre d’Auteuil s’incontrano a metà del lungo viale alberato che dalla metro di Porte d’Auteuil conduce all’ingresso del Roland Garros, collocate argutamente per invogliare lo spettatore che si appresta a vivere una giornata di grande tennis a spendere ulteriore denaro per non rimpiangere una visita così suggestiva. Magari in una mattinata piovosa o molto umida, che risalta il verde attorno a noi facendoci per qualche istante dimenticare l’ansia per le partite che vengono riprogrammate più tardi, senza la certezza che il tempo migliori.
Fuori dai cancelli di Church Road, ci si può perdere molto piacevolmente tra le vie di uno dei quartieri più ricchi di Londra, a sud ovest del centro città, immersi nel verde dei parchi e ammirando le eleganti abitazioni mono o bifamiliari in mattoni rossi a facciavista, con un giardino perfettamente tagliato e le classiche finestre bianche a ghigliottina. Quelle che in zone ben più centrali sarebbero annerite dallo smog mentre qui sembrano richiamare il candore degli abiti del tennis d’un tempo, quello dei gesti bianchi, delle volée ricamate e dell’aristocrazia scomparsa prima di morire di dolore nel vedere Wimbledon profanato da cultori del tennis dal fondo e da un’erba che nella seconda settimana diventa terba o erba rossa…
Siamo nel quartire di Richmond, che se da Wimbledon continuiamo a percorrere in direzione opposta a Piccadilly, Soho e Trafalgar Square ci conduce fino a un altro grande tempio degli sport inventati dagli inglesi, lo stadio di Twickenham, teatro dei match della nazionale inglese di rugby. Il Wembley della palla ovale, per intenderci. Non è casuale la relativa vicinanza tra Wimbledon e Twickenham: i due massimi palcoscenici di due tra gli sport inizialmente più elitari e rigorosamente dilettantistici, che hanno aperto al professionismo moltissimi anni dopo la loro nascita, situati in una delle zone più facoltose della capitale inglese.
LE FIERE PAESANE ESTIVE E INVERNALI DI NEW YORK E GREENWICH
E queste Finals londinesi, che cosa offrono al di fuori del mastodontico telone che copre e racchiude l’O2 Arena? Che cosa si può ammirare, visitare o gustare appena lasciato il torneo? Niente. O meglio, niente nelle immediate vicinanze. Si arriva all’ex Millenium Dome (struttura inaugurata nel 2000 con un investimento monstre e inizialmente rivelatasi un gigantesco flop, prima di essere riportata a nuova vita con l’arrivo del gigante delle telecomunicazioni che dà l’attuale nome all’impianto) o in autobus o in metro. Con la tube, si prende la Jubilee Line e si scende a North Greenwich. Salendo dalle scale mobili, si voltano le spalle e dopo pochi passi si sbuca in un piazzale con qualche bar e alcuni ristoranti, prima di accedere all’O2 Arena.
Fuori, se non fosse per l’avvento dei tifosi, avremmo un senso di vuoto, quasi di desolazione e voglia disperata di tornare in metropolitana, per riconquistare la Londra sfarzosa e alla moda di Oxford e Regent Street o quella molto più vicina, viva e autentica di Shoreditch, a due passi da Westminster e tra i pub limitrofi al Borough market, autentico portale alimentare alle specialità tipiche delle città e delle contee rurali d’Inghilterra, con formaggi ovini e carni di ogni tipo, riscaldandosi con un sidro o un intruglio analcolico a base di mela e spezie. Il torneo dei Maestri, infatti, è collocato in una zona del tutto anonima, non lontana da Canary Wharf, centro della nuova Londra finanziaria, molto più simile a Wall Street che alla vecchia City, coi suoi grattacieli dalle bande informative con scritte elettroniche rosse sul valore di azioni e obbligazioni e i suoi palazzi algidi e austeri, tanto ordinati e imponenti quanto privi di anima (come il business del resto…).
Usciti dall’O2 Arena, però, anziché procedere verso il centro di Londra si può rimanere a sud del Tamigi verso Greenwich e il suo meridiano, visitare il Royal Observatory, sorseggiare una delle pale ale londinesi più gradevoli e attualmente diffuse dentro e fuori il Regno Unito, la Meantime, direttamente nel locale birrificio e anche spingersi oltre per una passeggiata dentro il quartiere di Greenwich, fino a visitare il Museo della Marina Britannica. Per riempire lo stomaco, però, vale la pena rimanere dentro l’O2 Arena a godersi i variegati ristoranti etnici, dal greco di qualità (che faceva affari anche prima dell’avvento di Tsitsipas, ma mai quanto ora) al rodizio brasiliano dalla carne di qualità siderale. Il doppio che precede il singolare per cui si è pagato il biglietto è perfetto per una breve pennica prima di recuperare i riflessi e godersi il match…
NEI MEANDRI DELL’O2 ARENA
Fuori dalla grande sala stampa, per raggiungere lo stanzone delle conferenze stampa si deve scarpinare non poco in un corridoio freddo e curvo che ripercorre la circolarità dello stadio, circondati da alte pareti in muratura a vista che danno l’idea di essere più a New York che a Londra. Una struttura quasi underground, adatta al grande evento di boxe quasi come il Madison Square Garden e in questo simile ai corridoi interni dell’Arthur Ashe Stadium di Flushing Meadows, con le pareti tappezzate dai grandi tennisti del passato. Per molti, moltissimi punti in comune, infatti, il grande torneo che più assomiglia alle ATP Finals di Londra sono gli US Open di New York.
Le analogie “strutturali” si riscontrano anche nell’accesso ai posti della tribuna stampa, che si dividono tra Lower Seats e Upper Seats, rispettivamente al primo e al quarto piano dello stadio. Dalla sala stampa situata al piano terra si raggiungono con un ascensore che porta a un largo anello di passaggio dove di fianco e di fronte alle porte di accesso allo stadio si susseguono stand di bevande, cibo e abbigliamento sportivo. Come agli US Open il passaggio dal proprio desk di lavoro alla tribuna stampa richiede lo slalom tra i tifosi, coprendo una distanza minore ma nei tempi identica, perché qui l’ascensore è più lento della preparazione al servizio di Rafa Nadal. Si tratta infatti dello stesso elevatore impiegato dagli addetti ai carretti di snack, bibite e pop-corn formato grande o gigantesco in linea col tennis dal vivo in stile cinema (spettatori al buio, giocatori sotto i riflettori) e col cinema in stile USA (pop-corn, snack e bevande maxi, prezzi maxi).
Il cronista trafelato, già attardatosi a leggere e appuntare sul notebook alcune statistiche sul match – sapendo già che difficilmente riuscirà a riportarle nel pezzo, impegnato a seguire gli scambi, segnarsi i punti e immaginare le righe di sintesi da consegnare appena dopo la fine del match – preferisce allora smettere di aspettare il lift Godot e ricorrere alle scale, che riducono l’ansia ma aumentano la sete. Così, se tra penna, block-notes e pc non ha con sé la borraccia griffata ATP Finals, il ricorso alla bottiglietta di coca cola costa quattro sanguinose sterline, pena pecuniaria efficace per organizzarsi meglio alla prossima cronaca. Destino vuole che si tratti del big match tra Roger Federer e Novak Djokovic, quando si dice presentarsi al momento giusto nell’occasione migliore… se non fosse che il cronista di cui sopra ha al collo un accredito destinato alle Upper Seats.
Per una sfida tra Roger e Nole alle Finals anche la più dolce e permissiva hostess assume la rigidità di Margaret Thatcher, spedendo al quarto piano chi scrive e i suoi ammenicoli. Dove la visuale è del tutto soddisfacente ma è ben altra cosa rispetto al primo livello. Anche se da una posizione così alta e ripida sembra quasi di vedere addensarsi e abbattersi come un temporale i fischi e gli ululati verso la nemesi serba del paladino Federer. Anche se tra il servizio e la fine dello scambio ritorna il silenzio (quasi) come a Wimbledon, prima e dopo i 25 km che separano Wimbledon dall’O2 Arena sembrano più lunghi dei 5700 tra Londra e New York. Dove l’odore persistente di hot dog e patatine fritte, la musica costante e a palla, il via vai di persone dalle magliette colorate in afose giornate assolate fanno di Flushing Meadows una “fiera paesana” (per copiare la definizione che ne diede Rino Tommasi, in contrapposizione alla “chiesa” di Wimbledon).
L’O2 Arena è analogamente una sorta di luna park al coperto di un grande centro commerciale, che per le dimensioni e l’assenza di riscaldamento tra una struttura e l’altra non dà, almeno in novembre, un senso di claustrofobia come invece hanno avvertito diversi colleghi italiani, non entusiasti di passare al chiuso intere giornate di tennis. Tra questi un sempre brillante Stefano Meloccaro. Almeno nel suo caso, siamo tentati di ricondurre questa sensazione a una sorta di rifiuto per un torneo di fine anno dalla formula mai digerita da chi è professionalmente e tennisticamente rinotommasiano, al punto da delegare al proprio inconscio il compito di mascherare l’acerrimo nemico del Grande Tennis – una formula che non elimina chi perde – con un grosso e opprimente telone che copre il torneo dei Maestri, sia dentro che fuori dal campo.
DA LONDRA A TORINO…
Uscendo da questa psicanalisi da… fiera paesana (appunto!), la sfida per chi organizza un evento sportivo di questa portata è avere un ritorno economico a fronte di un investimento enorme. Londra ha saputo accontentare per dodici anni le costose richieste dell’ATP, proprietaria del torneo, anche grazie a un impianto polivalente e collaudato, sede di concerti ed eventi sportivi come i titoli mondiali di boxe, il basket NBA e gare delle Olimpiadi del 2012, facendo leva su un modello commerciale più americano che europeo.
Torino dovrà necessariamente percorrere una strada diversa. Per attrarre il mondo del tennis a casa sua, non potrà permettersi di separare l’offerta turistica della città da quella tennistica dell’evento. I numeri di Londra si potranno avvicinare se le Finals italiane sapranno portare i segni distintivi di Torino all’interno di Piazza d’Armi e del Pala Alpitour. L’automobile, le Alpi, il cinema, la cioccolata e perfino gli agnolotti dovranno essere desiderati anche tra un set e l’altro di Djokovic-Thiem, altrimenti del Masters di tennis in Italia non rimarrà nulla, a parte un enorme debito.