Wimbledon: Berrettini al cospetto di Federer. Nadal favorito. Gauff, favola finita?

da Londra, il nostro inviato

Roger Federer – Matteo Berrettini (terzo incontro, campo centrale, nessun precedente)

Spunti tecnici: Berrettini, servizio e dritto

Il nostro peso massimo nazionale (1.95 per 90 kg, un fisico alla Juan Martin del Potro, e conseguente potenza quasi allo stesso livello), la sta prendendo con la giusta ironia. “Ho dovuto smettere di tifare per lui quando ho visto per la prima volta il suo nome e il mio nello stesso tabellone“, ha dichiarato in modo assai simpatico, ma lui lo è sempre, in conferenza stampa.

Matteo Berrettini, romano DOC, è allenato dal romano altrettanto DOC Vincenzo Santopadre (“Wow, alla grande”, gli ho detto l’altro ieri incrociandolo tra i campi di allenamento. “Eh sì, ci stiamo divertendo“, mi ha risposto), e sta facendo un signor torneo finora. Non ha sconfitto dei fenomeni, questo va detto: Baghdatis era all’ultimo match in carriera, Bedene e Schwartzman sono ossi duri ma non top-player, anche se l’argentino è stato 11 ATP, però le partite bisogna vincerle, e in particolare il buon Diego, che da gran sportivo qual è si è premurato di fare i complimenti a Berrettini su Instagram“Complimenti Matteo, in bocca al lupo!“, gli ha scritto – per un pelo non lo mandava a casa, avendo fallito tre match point. Dall’analisi delle statistiche, prima della partita, era emerso chiaramente che Schwartzman è uno tra i migliori al mondo in risposta, le conseguenti difficoltà di Matteo erano ampiamente prevedibili, e si sono puntualmente verificate.

Il problema, oggi, è che se “El Peque” è un diavoletto, Roger Federer è letteralmente il Grande Satana. “Non mi ha fatto sentire a mio agio in campo“, aveva detto Berrettini dell’argentino, uno che ti sta attaccato come una zanzara, e punge in modo altrettanto fastidioso. Ma Roger, purtroppo, è in grado di fare ben di peggio. Gli appassionati si fanno comprensibilmente abbagliare dai tocchi sopraffini, dagli anticipi in controbalzo, dall’eleganza regale dei gesti di Federer. Tutto questo luccicare di brillantini e pailettes tennistiche e tecniche, però, nasconde la vera anima del gioco dello svizzero, che prima di tutto è un difensore fenomenale. Fargli punto è un incubo, all’occorrenza è in grado di “remare” e coprire il campo come uno spagnolo anni ’80. Ed è uno tra quelli che sono più perfidi in assoluto nel trovare, cinicamente e scientificamente, i punti deboli degli avversari, incidendo proprio lì senza pietà.

Roger è uno che prima di tutto ti fa giocare male, non ti manda una palla uguale all’altra, e le rotazioni le usa tutte e nel modo più efficiente. Per questo ti costringe a molti errori, o a prendere rischi eccessivi, perché se solo ti azzardi ad accorciare o metterla di là in sicurezza, è lui ad entrare con tutta la sua devastante classe e seppellirti di vincenti. D’altronde, se è il migliore ci sarà un motivo. Matteo è un giocatore perfetto per il tennis moderno, sia fisicamente che come armi da mettere in campo, principalmente il servizio (ben oltre i 220 kmh) e il drittaccio, quasi fosse un novello Andy Roddick. A rete, nulla da dire, è davvero bravo, in particolare se raffrontato al gioco di oggi.

Dal lato del rovescio, ottimo lo slice, onesto e molto migliorato in manovra quello coperto, negli ultimi sei mesi ha saputo lavorare per aggiungere una buona variazione anche in lungolinea. Il punto dolente, dal lato sinistro, è il passante: e se lo so io, come tutti, figurarsi se non lo sa Roger. Il timore è che il colpo bimane di Berrettini venga messo sotto torchio da Federer appena possibile, con palle basse, o aperture che lo costringano a impattare in corsa. Potrebbe essere una trappola da cui uscire è quasi impossibile.

Dall’altro lato, non è che Roger finora abbia a sua volta incantato col rovescio, soprattutto in risposta, e sarà lì che il super-servizio di Matteo dovrà fare danni seri, con alte percentuali, e su ogni palla appena appena aggredibile, via subito con la botta di dritto dall’altra parte, andando a far giocare Federer in allungo sul lato destro, altra situazione di gioco che Roger ama poco, e che a volte lo porta a steccare diversi recuperi. Comunque vada, dal punto di vista degli appassionati italiani, una partita da sogno. Gli unici biglietti legalmente disponibili, quelli rivenduti dai “Debenture Holders”, i titolari dei pacchetti già assegnati per interi quinquenni, ieri sera stavano a 1000 sterline l’uno, oggi siamo già a oltre il doppio. Godiamocela tutti, Berrettini per primo, perché se la è ampiamente meritata.

Prima di Berrettini nell’Era Open avevano raggiunto gli ottavi a Wimbledon altri quattro tennisti italiani: Adriano Panatta (quarti nel 1979), Davide Sanguinetti (quarti nel 1998), Gianluca Pozzi (ottavi nel 2000) e Andreas Seppi (ottavi nel 2013). In tempi ben più lontani, gli 8 azzurri in ottavi erano stati: Uberto de Morpurgo nel 1928 (quarti), Giorgio de Stefani nel 1933 (ottavi), Rolando del Bello nel 1949 (ottavi), Gianni Cucelli nel 1949 (ottavi), Fausto Gardini nel 1951 (ottavi), Beppe Merlo nel 1955 (ottavi), Orlando Sirola nel 1959 e 1962 (sempre ottavi) e per cinque volte Nicola Pietrangeli: quarti nel 1955, ottavi nel 1956 e 1958, semifinali nel 1960 e ottavi nel 1965.

Rafael Nadal – Joao Sousa (ore 14 italiane, campo centrale, precedenti 2-0 Nadal)

Risultato a mio avviso praticamente chiuso in favore di Rafa, con tutto il rispetto possibile per l’ottimo Sousa (primo portoghese di sempre alla seconda settimana qui a Wimbledon). Joao sta giocando benissimo, il match vinto sabato sera sull’inglese Evans, con l’ovvio tifo del campo 1 tutto contro, è stato una prova di forza ammirevole. Però Rafa è Rafa, ieri in allenamento ad Aorangi Park l’ho visto davvero bene sia fisicamente che tecnicamente, in particolare ha dedicato grande lavoro e attenzione (lo fa spesso) alle accelerazioni di dritto con poca rotazione. Niente finale “reverse”, pochi “topponi”, tante fucilate semipiatte che filavano a due spanne dalla rete, di potenza impressionante. Un Nadal “da erba”, bello convinto, che tra l’altro sta servendo come un treno (più ace di Federer qui finora, 32 contro 25) a mio avviso da Sousa non perde mai. A meno che non accadano eventi impronosticabili, o una giornata contemporaneamente tremenda per Rafa e stratosferica per Joao.

Simona Halep – Cori Gauff (secondo incontro, campo 1, nessun precedente)

Il piccolo fenomeno statunitense Cori “Coco” Gauff sta bruciando le tappe a dire poco. Ma siamo alla settima partita per lei (tre di qualificazione, poi in fila le vittorie su Venus Williams, Magdalena Rybarikova e Polona Hercog), praticamente è come se fosse in una finale Slam. Per di più, la buona se non ottima Halep vista finora è difficile da immaginare si faccia irretire dal bel gioco e dalle variazioni della quindicenne venuta dalla Florida. Cori era praticamente già spacciata (6-3 5-2 e match-point) con Hercog, che è una buona giocatrice di seconda fascia (60 WTA), gran servizio, ma non straordinaria nel resto. Simona, su questi campi molto lenti tra l’altro, è durissima da battere. Anche se ne uscisse con le ossa rotte, Gauff potrà tornare a casa con un’esperienza indimenticabile, tanta fiducia, e la strada se possibile ancor più spianata verso una carriera ai massimi livelli. Dovesse invece realizzare l’ennesimo miracolo sportivo (tutto può essere nel tennis, Halep come sappiamo è fortissima tecnicamente ma non un cuor di leone se le cose si mettono male), beh, sarebbe la sorpresa dell’anno.